Nelle proteste in Serbia decidono tutto gli studenti

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Da più di due mesi decine di facoltà universitarie in Serbia (almeno 85, secondo i giornali locali) sono occupate dagli studenti che protestano contro il governo. Le manifestazioni erano iniziate dopo il crollo di una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad, una città a circa 60 chilometri dalla capitale Belgrado, lo scorso 1° novembre. Da quel momento sono diventate sempre più estese e partecipate, e avvengono quasi ogni giorno in diverse città del paese.

In Serbia negli anni scorsi erano già capitati periodi di grandi manifestazioni contro il governo, poi finiti nel nulla. Oggi sembra che la situazione sia diversa, e proprio per via dell’impegno e degli sforzi degli studenti, e dei metodi peculiari con cui organizzano e alimentano le proteste.

Chi di loro scende in piazza ha quattro richieste principali: su tutte la pubblicazione dei documenti relativi alla ristrutturazione della stazione di Novi Sad, che al momento sono stati secretati (l’amministrazione di Vučić è spesso accusata di scarsa trasparenza e di una corruzione endemica). Poi ci sono l’incriminazione delle persone accusate di aver attaccato professori e studenti durante le proteste, l’annullamento delle accuse nei confronti degli studenti arrestati nelle proteste e l’aumento dei fondi per l’istruzione.

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Il governo sostiene di avere esaudito le loro richieste, e come gesto simbolico il presidente Aleksandar Vučić – nazionalista e conservatore, che domina la politica serba da una decina d’anni – ha anche spinto alle dimissioni il primo ministro, un suo ex collaboratore. Le proteste però non si sono interrotte: secondo gli studenti non è ancora stato fatto abbastanza.

Gli studenti che protestano in Serbia non hanno un portavoce, un rappresentante o un leader, come loro stessi dicono spesso. Tutte le decisioni relative alle manifestazioni vengono prese nelle facoltà universitarie occupate durante i plenum, assemblee che si riuniscono quotidianamente e che funzionano seguendo i principi della democrazia diretta. È per via di questa particolare articolazione, dicono loro, che le proteste sono diventate così centrali nel dibattito pubblico del paese.

Al plenum di ogni facoltà possono partecipare tutti gli studenti che sono iscritti e che desiderano farlo. «Nell’assemblea ogni studente ha diritto di parola e di voto, gli ordini del giorno vengono decisi in comune, e dopo una discussione le decisioni vengono prese a maggioranza dei presenti», dice una studentessa della Facoltà di Arti drammatiche (Fakultet Dramskih Umetnosti, FDU) di Belgrado, che insieme ad altri è responsabile dei rapporti con i media e che ha chiesto di restare anonima.

Gli studenti della FDU di Belgrado sono stati i primi a occupare la propria facoltà, e il loro esempio è poi stato seguito da moltissimi altri. La decisione è stata presa lo scorso 26 novembre, dopo che alcune persone avevano attaccato gli studenti e i professori che stavano bloccando il traffico nei pressi della sede dell’università, in segno di solidarietà alle vittime di Novi Sad.

«Dopo gli attacchi non sapevamo bene come reagire, così ci siamo riuniti in assemblea: quello è stato il nostro primo plenum, anche se di fatto si trattava di un plenum informale, non lo chiamavamo ancora così», ha detto la studentessa.

Gli studenti della FDU durante un plenum (Concessione degli studenti della FDU)

I plenum si tengono in tutte le facoltà occupate in Serbia, e le votazioni servono per fare in modo che ogni decisione organizzativa rifletta la volontà degli studenti.

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Al tempo stesso, però, le assemblee hanno anche un’importante funzione protettiva per chi decide di protestare. In Serbia gli attivisti e in generale le persone critiche nei confronti del governo subiscono spesso attacchi e intimidazioni da parte delle autorità e dai giornali vicini al governo. Negli scorsi anni diverse organizzazioni internazionali accusarono le autorità serbe di limitare la libertà di espressione e di stampa nel paese, e di avere aumentato le pressioni sulla stampa indipendente e nei confronti dell’opposizione e degli attivisti. Il meccanismo dei plenum, secondo gli studenti, permette di proteggere i singoli partecipanti dai rischi che comporta manifestare ed esporsi politicamente.

«Il plenum in quanto assemblea rappresenta tutti noi: per questo motivo non esistono portavoce o capi di questa protesta, e questo ci protegge, perché impedisce che il governo possa trovare qualcuno da attaccare direttamente», ha spiegato la studentessa della FDU.

La FDU è occupata da quasi tre mesi: di norma nessuno, tranne gli studenti e le persone che ci lavorano, può entrare. È una comunità chiusa e autogestita, insomma, e ogni singola questione che la riguarda viene discussa e affrontata dal plenum e dai diversi gruppi di lavoro costituiti al suo interno: tra gli altri, ne esiste uno che si occupa della sicurezza; uno che si occupa di organizzare le attività all’interno della facoltà; uno che si occupa di gestire le donazioni fatte da vicini e simpatizzanti, soprattutto di medicinali, prodotti per l’igiene e cibo. Tra le tantissime decisioni che prende sulla vita quotidiana all’interno della facoltà, il plenum approva o rifiuta anche le richieste dei giornalisti che chiedono un’intervista con gli studenti: occorre presentarsi, fare richiesta, e aspettare che il plenum decida con una votazione.

«Uno dei motivi principali per cui abbiamo iniziato questa occupazione è che non ci sentivamo al sicuro, né all’interno della facoltà né, più in generale, nel resto del paese. Chiunque poteva passare per strada e attaccarci», ha detto la studentessa. «Adesso però la nostra facoltà è il posto in cui ci sentiamo più al sicuro, perché possiamo gestirci da soli e perché possiamo votare e stabilire le regole su ogni aspetto della vita al suo interno».

Le proteste e le occupazioni stanno andando avanti in tutto il paese, e la coordinazione tra le varie assemblee è una questione importante. Ogni plenum infatti è unicamente responsabile di quanto viene deciso dalla propria facoltà: anche se esistono meccanismi di coordinamento a livello superiore, assicurare una certa armonia nelle azioni di tutti gli studenti del paese non è facile. Generalmente gli studenti di ogni città sono a loro volta rappresentati da un plenum a cui vengono inviati rappresentanti di ogni facoltà: questi delegati però cambiano di volta in volta, proprio per evitare che delle persone in particolare possano emergere come leader della protesta.

La sede occupata della Facoltà di Filosofia, a Belgrado

La sede occupata della Facoltà di Filosofia, a Belgrado (Il Post/Rodolfo Toè)

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Nell’ultimo periodo gli studenti di diverse città hanno iniziato a collaborare spesso, un indicatore del fatto che i meccanismi di coordinamento funzionano. Lo scorso 1° febbraio degli studenti di Belgrado hanno raggiunto a piedi Novi Sad, dove è stata organizzata una grossa manifestazione per ricordare le persone morte nel crollo della tettoia. Quell’incontro, ha spiegato la studentessa della FDU, è stato importante anche perché ha dimostrato la capacità di collaborazione tra i plenum di varie città e la loro capacità di creare una rete.

Svetozar, uno studente di 26 anni che frequenta la Facoltà di Agricoltura di Novi Sad, dice che il plenum della città di Kragujevac ha deciso di invitare gli studenti di tutta la Serbia a una grossa manifestazione programmata per il prossimo 15 febbraio. Le assemblee di diverse facoltà hanno già accettato di partecipare, tra cui quella di Svetozar: «Adesso però dovremo discutere e votare per stabilire come andarci», aggiunge, visto che le due città distano più di 200 chilometri.

Il presidente Aleksandar Vučić nelle prossime settimane dovrebbe decidere se convocare oppure no elezioni anticipate. Gli studenti hanno dichiarato in diverse occasioni di non essere interessati a trasformare l’esperienza dei plenum in un movimento politico, e hanno rifiutato qualunque affiliazione con i partiti dell’opposizione. Finora la protesta è stata apartitica. Dicono che le proteste e le occupazioni continueranno fino a quando le loro richieste non saranno soddisfatte.



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