L’avvocato Conidi a difesa dei collaboratori di giustizia: “Sempre più disparità trattamentali”

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Microcredito

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  09 febbraio 2025 12:06

Microcredito

per le aziende

 

di MARIA CLAUDIA CONIDI RIDOLA*

Da segnalare e considerare altro addentellato alla normativa anti collaborazione con la giustizia, è l’orientamento ormai assunto dall’A.G. , in specie il TAR Lazio, in tema di istanze di ammissione al beneficio del gratuito patrocinio  cui soggiacciono anche i c.c.d.d. collaboratori di giustizia e dunque anche i testimoni di giustizia-

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E’ previsto ai fini della loro effettiva fruizione da parte dello Stato quali fonti di prova nei procedimenti penali in materia di “mafia “e dunque di competenza della DDA, un’assistenzaeconomica con erogazione mensile di un contributo di naturaalimentare. 

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Infatti secondo la normativa in materia e precisamente ex art. 8 n. 5 Lett. D) del D.M. n. 161/2004, agli stessi viene riconosciuto un assegno di “mantenimento” nel caso di impossibilità di svolgere attività lavorativa,  secondo  le  modalità  e  nei limiti fissati dall’articolo  13, comma 6, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e dalla Commissione centrale.

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6. Le misure di assistenza economica indicate nel comma 5 comprendono, in specie, sempreché a tutte o ad alcune non possa direttamente provvedere il soggetto sottoposto al programma di protezione, la sistemazione alloggiativa e le spese per i trasferimenti, le spese per esigenze sanitarie quando non sia possibile avvalersi delle strutture pubbliche ordinarie, l’assistenza legale e l’assegno di mantenimento nel caso di impossibilità di svolgere attività lavorativa-

Tanto la legge recita. In materia infatti di assistenza legale posta a carico del Ministero degli Interni , secondo il DPR 115//2002 ART. 115 così prevede:” Liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore di persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia.

L’onorario e le spese spettanti al difensore di persona ammessa al programma di protezione di cui al decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall’articolo 82 ed è ammessa opposizione ai sensi dell’articolo 84. Nel caso in cui il difensore sia iscritto nell’albo degli avvocati di un distretto di corte d’appello diverso da quello dell’autorità giudiziaria procedente, in deroga all’articolo 82, comma 2, sono sempre dovute le spese documentate e le indennità di trasferta nella misura minima consentita.

Pertanto i presupposti sono i medesimi di quelli previsti per il  gratuito patrocinio, ovvero l’impossibilità oggettiva a potersi pagare non solo i debiti con l’erario, ma anche il proprio difensore, tant’è che gli stessi continuano a percepire il loro mensile fin quando il loro difensore presta l’attività lavorativa nelle varie sedi giudiziarie nel loro interesse e anche finché gli stessi loro procedimenti non siano del tutto esauriti, anche fin dopo la loro fuoriuscita dal programma economico,  conservando a ciò stesso, tale beneficio assistenziale, presupponendosi che il beneficiario non possa ancora poter far fronte alle spese legali dovute in forza della sua scelta collaborazione con la giustizia, dovendosi impegnare il proprio denaro frutto di capitalizzazione per reinserirsi  nel mondo del lavoro e dunque per risocializzare operativamente.

E se questa è la legge e i presupposti per assistere il collaboratore di giustizia e chi lo difende, mi domando perché in materia di gratuito patrocinio, cui il collaboratore è equiparato ex lege dall’art. 115 del d.P.R. n. 115 del 2002( che prevede che la liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore di persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia, ai sensi dell’art. 13 del d.l. n. 8 del 1991, conv. dalla l. n. 82 del 1991, è regolata dalle norme che disciplinano il patrocinio a spese dello Stato, anche se solo per quanto riguarda la misura e il procedimento di liquidazione e di opposizione, non per l’individuazione del ministero legittimato passivo nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione;) si possa negare loro l’assistenza legale , qualora con istanza di ammissione rivolta al Ministero di Giustizia, nei casi in cui l’assistenza legale non rientri per materia(Fatti non ricompresi nella collaborazione, sia di natura penale che civile o amministrativa)-

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Invero per far ciò si fa ricorso a un’interpretazione della legge assolutamente penalizzante per chi vive sotto protezione e dunque con un contributo alimentare mensile-

Infatti l’argomentazione su cui si regge il rigetto alle istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato parte dal presupposto secondo il quale

<<l’importo del contributo percepito come collaboratore autocertificato in domanda è superiore al limite previsto dall’art. 76 commi 1 e 2 del T.U. n. 115/2002;>>, come se tale contributo non fosse di natura alimentare , dunque un vero e proprio assegno di mantenimento.

Così operando si nega di fatto al collaboratore di giustizia l’assistenza legale per impugnare anche un’eventuale revoca del programma di protezione, qualora ve ne fossero i presupposti legittimanti, dovendo lo stesso sobbarcarsi la spesa di 1800,00 euro di contributi per l’iscrizione a ruolo al TAR competente(ROMA), per non parlare poi di quelli raddoppiati per poter fare appello al Consiglio di Stato-

È stata la S.C. di Legittimità a statuire con sentenza (la n.1038/2010 che ha richiamato una pronuncia della Corte Costituzionale la n. 382/1985 ) che “nella nozione di reddito ai fine dell’ammissione al beneficio in questione, devono ritenersiricomprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici purché non saltuari lui prestati in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi,.- 

Ma a ben vedere il contributo che ogni collaboratore percepisce, e si ripete, di natura prettamente alimentare, ed è di fatto aumentato di un tot dalla compresenza di ogni convivente a “carico” del collaboratore medesimo e dunque , anche alla luce delle argomentazioni derivate  da dette pronunce giurisprudenziali e mutuate nella ratio dalle stesse dalle varie Autorità che si pronunciano negativamente sulle istanze di ammissione, risulta “minore” a quello previsto dalla legge in materia di gratuito patrocinio, poiché il collaboratore che vive da solo , senza nessun convivente, vive mediamente con un  assegno non di certo superiore ai 1000,00 euro, alcuni con familiari con nucleo scisso percepiscono , infatti, addirittura soli 300,00 euro mensili! E ciò perché ogni nucleo protetto percepisce un assegno pro-capite intorno ai 500 euro mensili-

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Dunque anche operando tale calcolo sarà necessario espungere gli aumenti previsti per ogni familiare protetto convivente col collaboratore titolare di programma di protezione, così come la ,legge sul g.p. impone un aumento per ogni convivente per raggiungere il tetto massimo per l’ammissibilità della richiesta di gratuito patrocinio, proprio perché bisogna considerare ai fini del reddito quello effettivamente percepito dal richiedente e non già quello avuto dallo Stato quale mero contributo per i conviventi.

Ma a ben vedere se volessimo applicare la legge senza considerare la priorità della legge speciale sui collaboratori e testimoni di giustizia, si dovrebbe applicare in primis l’art. 28 del c.p. che nega al condannato che abbia vista applicarsi nei suoi confronti l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, lafruizione di qualsiasi stipendio, delle pensioni e degli assegnida parte dello Stato-

E quale collaboratore degno di questo nome, mi domando, non ha avuto una condanna che la implichi e dunque lo renda impossibilitato ad essere “beneficiato” dallo Sato?

Spero di non aver dato con ciò un assist  al  Ministero degli Interni o a chi possa ancora una volta trarre vantaggio, a discapito della popolazione “protetta”.-

Questo, per me, è lo Stato dei disvalori.

*Avvocato



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