“Per vedere ciò che nessuno vede, bisogna fare cose che nessuno fa”. È così che inizia il racconto di Pietro D’Elia, giovane agroimprenditore campano che ha deciso di trasformare una tradizione dimenticata in un modello agricolo pionieristico. Nel cuore del Vallo di Diano, incastonato tra montagne e vallate verdeggianti, sorge Teggiano, un borgo di settemila anime in provincia di Salerno. Qui un tempo ogni famiglia aveva un orto, una mucca per il latte e mani esperte che coltivavano il peperone Sciuscillone, una varietà locale dal sapore dolce, la forma allungata – tanto da arrivare fino a 36cm – e altamente digeribile, la cui essiccazione avveniva con metodi tramandati di generazione in generazione.
Il ritorno a Teggiano, piccolo paese nella Valle di Diano
Pietro ha visto il cambiamento con i propri occhi: “I miei nonni coltivavano peperoni, mio nonno faceva il lattaio e conosceva la geografia sociale del paese. Poi, pian piano, tutto si è perso”. Lui, come tanti altri giovani del sud, aveva seguito il percorso che sembrava obbligato: laurearsi fuori regione e costruirsi una carriera lontano da casa. Per anni ha lavorato in una multinazionale, fino a quando: “Ho detto ai miei amici: mollo tutto, torno a casa e apro un’azienda agricola per coltivare peperoni. Otto su dieci mi hanno guardato come se fossi impazzito. L’agricoltura, poi, è ancora vista in modo dicotomico: o sei il piccolo contadino genuino ma incapace di evolversi, o fai parte di un sistema industriale che sfrutta la terra. Eppure, questa visione mi pare alquanto antiquata” ci racconta.
La storia de I Segreti di Diano a Teggiano
Pietro, infatti, non voleva fare propria né l’una né l’altra interpretazione. Così, nel 2017, ha fondato la sua azienda agricola, “I Segreti di Diano”, con un’idea chiara in mente: riscoprire il peperone Sciuscillone e trasformarlo in un’eccellenza locale, integrando le competenze artigianali acquisiste da vecchi racconti, con nuovi strumenti di marketing e tracciabilità basati sui suoi studi universitari. “Dopo la laurea in economia, volevo creare qualcosa di mio e invertire la spirale di spopolamento. Dopo 15 anni dalla fine del liceo, solo 3 dei 27 miei ex compagni diplomati a Sala Consilina erano tornati a casa, ovvero appena il 10%”.
Il sistema dei domini per coltivare i peperoni
Quando ha avviato la sua azienda agricola nel 2017, una delle prime difficoltà da affrontare è stata la rigidità dei vincoli imposti dal Parco Nazionale del Cilento, che impedivano la costruzione di serre e limitavano le possibilità di coltivazione su larga scala. Un ostacolo che per Pietro è diventato il punto di partenza per sperimentare un nuovo modello di produzione. Nasce così il sistema dei “domini”, una suddivisione innovativa degli appezzamenti in piccole unità gestite direttamente dai produttori locali. Ogni dominio ha un nome – Antonio, Michele, Davide – che ne identifica anche il proprietario. L’idea alla base del progetto è semplice ma efficace: coinvolgere attivamente i piccoli coltivatori, fornire loro strumenti e supporto, garantire un mercato stabile.
Il vero incentivo sta nel prezzo garantito per il peperone Sciuscillone: mentre in passato i grossisti pagavano tra gli 80 centesimi e 1 euro al chilo per il fresco, l’azienda offre fino a 2 euro al chilo per la prima scelta, assicurando la stessa remunerazione dall’inizio alla fine della stagione. Un elemento che ha così contribuito a dare stabilità economica ai produttori, superando eventuali speculazioni.
Il processo di lavorazione del peperone sciuscillone
Il prodotto germogliato arriva al contadino, successivamente viene trapiantato dal semenzaio al campo aperto. Quando è maturo e dal vivace colore rosso, viene raccolto a mano dai domini e poi spedito in azienda. Allorchè il prodotto arriva allo stabilimento e viene pulito dalle certosine signore dell’azienda, uno per uno, su un tavolo apposito. Ogni peperone viene aperto con cura per il lungo e privato della placenta (la parte interna che contiene i semi), un passaggio particolarmente complesso data la sua forma allungata e fragile. Successivamente i peperoni vengono legati in lunghe collane – le cosiddette “nzerte” – e appesi all’aria per permettere un’asciugatura naturale.
Come si mangia il peperone sciuscillone e come si usa in cucina
Dopo l’essiccazione, i peperoni Sciuscilloni sono pronti per essere conservati così come sono, oppure trasformati ulteriormente. Da un singolo peperone possono nascere diversi prodotti. Prima di tutto il “Cuorno” che si ottiene quando il peperone è perfetto nella sua interezza, un peperone secco pronto da friggere. Le “Starìci” cioè chips di peperone fritto quando l’ortaggio ha qualche piccola imperfezione. Infine quei peperoni che presentano difetti più evidenti diventano ritagli, vengono ridotti in pezzi ancora più piccoli e utilizzati in ulteriori lavorazioni per arrivare ai “cornflakes di peperone”, ottenuti con una tostatura a bassa temperatura (55°C per otto ore). Oppure la “Porva”, polvere di peperone ottenuta dalla macinatura dei ritagli. Ultimo non ultimo, dai ritagli si può anche ottenere un’altra eccellenza: la crema di peperone, per arricchire piatti come pasta e fagioli, oppure per dare una marcia in più a salse e antipasti.
Un sistema intelligente di agricoltura
“Il nostro non è solo un progetto agricolo. Quando ho iniziato questa azienda, volevo dimostrare che si può fare impresa agricola senza cadere nei soliti cliché, senza la narrazione romantica del giovane meridionale che torna alla terra per nostalgia o tradizione. Noi facciamo artigianato agricolo: coltiviamo, trasformiamo, vendiamo, senza essere relegati all’immagine folkloristica del contadino in costume tipico. Il punto è che l’agricoltura non è solo grande distribuzione o tradizione fuori mercato. Esiste una via di mezzo, e quella via siamo noi.
E poi c’è un altro piccolo orgoglio: le signore che oggi puliscono i nostri peperoni prima lavoravano nelle serre, sotto caporali che decidevano tutto, anche se potevano andare in bagno. Oggi hanno le chiavi dell’azienda, un buongiorno e un grazie, sempre. Per noi è fondamentale che un’azienda non sia solo produzione e profitto, ma un posto dove le persone lavorano con dignità, imparano e crescono. Qui hanno acquisito competenze sulla tracciabilità, sulle certificazioni, su come si gestisce una filiera. È un lavoro agricolo, ma fatto con consapevolezza e con etica. Perché il cibo non è solo fatica e sudore. È cultura”.
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