In cantina – Davide D’Alterio e la rivoluzione culturale del vino

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Quando da bambini ci chiedono che mestiere vogliamo fare da grandi, la risposta generalmente è l’astronauta, il calciatore o la principessa. Non è stato questo il caso di Davide D’Alterio. Lui, fin da piccolo, aveva un sogno ben preciso: diventare il responsabile di un ristorante e guidarlo con la stessa armonia di un direttore d’orchestra. Un desiderio che, tra alti e bassi, lo ha accompagnato fino a oggi.

La sua avventura inizia in cucina, ma il destino ha riservato piani diversi. Quando nasce la sua bambina, è costretto a deviare verso l’impresa edile del padre. «Mentre lavoravo come muratore, sentivo il desiderio di studiare, di imparare qualcosa che mi appassionasse veramente», racconta con un sorriso.

È proprio in quel momento che scopre il mondo del vino, un incontro destinato a cambiare la sua vita per sempre. Un po’ come un filo invisibile che lega in modo indissolubile due anime, quello del vino diventa per lui una passione travolgente. «Iniziai a studiare con fervore e la cosa divenne un’ossessione», ricorda.

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La sua prima esperienza professionale arriva nel 2015, quando inizia a lavorare in sala in un ristorante a San Frediano, che ospitava la prima enoteca biologica di Firenze.

Davide si iscrive al corso dell’Associazione Italiana Sommelier (AIS) e si prepara a una prima sfida: partecipare al concorso per il titolo di Miglior Sommelier di Toscana. Un esame arduo, che lo vede arrivare terzo al suo primo tentativo, quindi vincitore l’anno venturo. «Quando arrivi primo, ti rendi conto che è solo l’inizio», afferma. È così che decide di mettersi alla prova con una missione insolita: diventare ambasciatore del Lambrusco e poi del Sangiovese.

Ogni passo è una conquista, ma ciò che più lo affascina è la continua crescita e l’inevitabile incontro con nuove persone e visioni.

La sua carriera prende una piega importante quando arriva a Borgo San Jacopo, dove incontra Salvatore Biscotti. Con lui approfondisce un concetto fondamentale: il vino non è solo una questione di gusto, ma anche di organizzazione, gestione e soprattutto, di numeri. «Occorre capire che il vino è anche vendita, e fare in modo che un cliente sia soddisfatto di ciò che ha acquistato, è una parte essenziale della ristorazione. Mi ha dato una nuova prospettiva», confessa.

È qui che arriva il grande salto: l’Enoteca Pinchiorri, un mito per chi lavora nel mondo del vino.

«Fin da piccolo, i miei nonni mi raccontavano di quando andavano a bere un bicchiere lì, perchè lo davano in mescita. Ma la prima volta che mi sono trovato davanti a quel tempio della ristorazione, non capivo nemmeno quale fosse l’ingresso, tanto era imponente», ricorda ancora emozionato.

Con determinazione, riesce a ottenere un colloquio con il direttore Alessandro Tomberli. Una delle prime frasi che gli viene rivolta lo colpisce profondamente: «Se ti chiedo che ore sono, mi rispondi guardando l’orologio; ma se c’è un meccanismo che non funziona, non dirai che è quel singolo meccanismo a non andare, ma che è l’intero orologio a non funzionare. Ecco, anche all’Enoteca Pinchiorri funziona così: tu sei uno dei meccanismi e se non dovessi funzionare, il pensiero sarà che tutto il ristorante non funziona».

Il direttore dell'Enoteca Pinchiorri, Alessandro Tomberli

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Il direttore dell’Enoteca Pinchiorri, Alessandro Tomberli

Davide ricorda con un sorriso il suo primo servizio in sala. Le mani tremavano quando, doveva aprire una bottiglia di vino, mentre un’altra la stappava il direttore, in perfetta sincronia.

Il legame che questo sommelier ha con il vino non è un amore tradizionale, ma qualcosa di più profondo. «Per me il vino è come l’arte: riesce a esprimere idee, emozioni e storie che solo poche altre cose riescono a fare». Davide non parla solo di emozioni, ma di un valore che va al di là del semplice piacere. «C’è un ritorno che non è solo emotivo, perché il vino insegna, arricchisce ed è importante trasmettere qualcosa che, poi, duri nel tempo».

E torna con il ricordo all’Enoteca Pinchiorri: «Mi mancano le luci della ribalta: quando il sommelier entrava in sala, era come uno showman con l’opportunità di coinvolgere le persone». Ma questo lavoro non è solo una questione di spettacolo. “Vederle arrivare scettiche per una degustazione da 700 euro e poi osservarle mentre vanno via contente, regala una soddisfazione incredibile. E questo perché le parole hanno un potere straordinario: se riesci a trasmettere tutto con il giusto entusiasmo, aumenti il valore dell’esperienza e puoi davvero far capire quanto un vino riesca a dare».

Ma cosa c’è dietro al lavoro di un sommelier in un luogo come l’Enoteca Pinchiorri?

Davide ci spiega: «Quando studi per anni un vino e poi te lo ritrovi tra le mani, tremi. Non è paura, ma il profondo rispetto per quello che stai per fare. Sai tutto su quel vino, perchè l’hai studiato e, in quell’attimo, cogli l’opportunità di viverlo appieno».

È necessario, quindi, andare oltre l’esperienza pratica, e dedicare del tempo allo studio, alla lettura. «Se mi dicessero che non posso più leggere o imparare qualcosa di nuovo sul vino, non potrei fare più parte di questo mondo. Il vino è una continua scoperta, un terreno che va sempre approfondito. Non me ne posso staccare. Ricordo ancora quando all’Enoteca mi invitavano a descrivere un vino anche solo dall’etichetta, senza averla mai assaggiata. Se non riesci a farlo, cosa puoi fare davvero?».

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Nel suo percorso di formazione, uno degli autori che ha avuto un impatto decisivo è Armando Castagno. «È stato lui a farmi capire come il vino possa emozionare non solo per le sensazioni che regala, ma anche culturalmente. Pensiamo alla sua approfondita ricerca sulla Borgogna: è una vera fonte di ispirazione. Qualche tempo fa avevo scritto un post sullo Chablis, facendo un po’ di confusione e Castagno mi scrisse per dirmelo. Mi chiese se avessi voglia di ascoltare una spiegazione sulla differenza tra i vari stili e mi tenne un’ora al telefono, un gesto di generosità, un tempo dedicato senza riserve».

Nel suo nuovo ruolo, Davide si occupa di guidare le visite e raccontare la storia di Tenuta Fratini. Quando arriva a Bolgheri, però si rende conto che la percezione di questa zona vitivinicola è spesso imprecisa, ridotta a una visione un po’ superficiale. «Molti pensano che Bolgheri sia una zona bruciata dal sole, piantata sulla sabbia. Ma in realtà ci sono anche vigne che crescono su rocce metallifere, in mezzo ai boschi e a pochi chilometri dal mare».

Per Davide, la vera sfida sta nel ridefinire l’eccellenza di Bolgheri che, pur essendo un territorio conosciuto per i suoi grandi brand, è stato per troppo tempo visto come una terra di desolazione per le piccole aziende. «C’è una parte di Bolgheri, tra le colline e i boschi, che è davvero degna di nota. La vera sfida è farne emergere la bellezza e la potenzialità che ora è espressa solo parzialmente».

Un progetto ambizioso, ma radicato nella storia di chi ha gettato solide basi nel territorio come la famiglia Fratini, in precedenza proprietaria di Tenuta Argentiera, che nel 2016 ha dato vita al suo nuovo progetto. Che include anche l’arte: l’intera tenuta, infatti, è costellata di opere contemporanee che dialogano con il paesaggio. Un connubio che riflette la filosofia della famiglia Fratini: raccontare Bolgheri attraverso il vino, l’arte e un approccio profondamente innovativo.

Gli spazi di Tenuta Fratini

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Grazie a collaborazioni internazionali con Eric Boissenot, consulente di Château Latour, Lafite-Rothschild, Margaux e Mouton-Rothschild, l’enologo Emiliano Falsini, l’agronomo Gianni Moscardini e Pedro Parra, celebre per i suoi studi sulle radici profonde delle vigne, ogni etichetta di Tenuta Fratini è pensata per esprimere proprio quell’unicità.

«Tenuta Fratini mi ha affascinato fin da subito. Lavorare con persone di questo calibro mi ha dato immediatamente la sensazione che ci fosse la possibilità di fare una piccola rivoluzione culturale, supportato in ogni scelta da Corrado Fratini».

Eppure non c’è rivoluzione senza tener conto delle nuove generazioni. «Uno dei più grandi errori che abbiamo fatto noi ristoratori è stato arrivare in un momento in cui la ristorazione aveva molta visibilità e, così, abbiamo perso la voglia di trasmettere davvero. Io ho cercato di rimediare – continua – e di non risparmiarmi mai. Ho insegnato e condiviso con i ragazzi il più possibile: libri, bottiglie, esperienze, tutto pur di farli appassionare al vino».

Il risultato è stato sorprendente. «Vederli analizzare un concetto che avevo spiegato loro il giorno prima e assaporarlo, poi, per settimane era incredibile. Il mio entusiasmo, alla fine, diventava un po’ come benzina per loro, li spingeva ad andare a fondo, a migliorarsi sempre di più. E credo che sia proprio questo l’unico modo per far crescere una ristorazione di livello: quella che emoziona davvero. Perché, alla fine, a nessuno importa della goccia che cade sul tavolo. Ciò che conta per davvero è che l’esperienza rimanga dentro: la tovaglia si lava, ma il sentimento resta».

Davide guarda al futuro con speranza e determinazione.

Per lui, il mondo del vino deve riscoprire la bellezza della lentezza, di un approccio più profondo e meditato. «Spero che ci sia un ritorno a un modo di comunicare più genuino affinché le persone possano prendersi del tempo per apprezzare davvero ciò che bevono».

Come affrontare al meglio questo cammino?

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«Datevi, non posticipate la sveglia, alzatevi subito, agite. Approfondite, domandate, chiedete a chiunque, informatevi e soprattutto, siate un po’ sovversivi. Solo così riuscirete a dare un senso a ciò che fate».

Davide, infine, ha un sogno che sta prendendo forma proprio all’interno di Tenuta Fratini, dove è in fase di progettazione uno spazio dedicato alla cultura del vino. «Stiamo creando delle sale conferenze, dove non solo si parlerà di Bolgheri, ma di vino in generale, di cultura e di passione. Un posto dove i giovani possano venire a studiare e sentirsi accolti e ispirati. Uno spazio senza barriere per crescere insieme».

E conclude: «Quando guardo al futuro vedo un mondo del vino che riscopre la sua essenza più pura. Un mondo dove le nuove generazioni, con curiosità e passione, torneranno a raccontarlo, a viverlo, a emozionarsi e se ci riusciremo, quello sarà il nostro vero successo».



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