Il lavoro del professor Lanucara mette a confronto località italiane e americane a proposito di «sviluppo culturalmente sostenibile»
Ravenna è tra i casi di studio dell’Università del New Mexico come esempio virtuoso di economia turistica. Merito di una ricerca sullo “sviluppo culturalmente sostenibile” condotta dal pugliese Lucio Lanucara, docente di relazioni internazionali alla facoltà statunitense, che mette a confronto alcune località turistiche italiane e americane per analizzarne i pregi e le criticità.
Professor Lanucara, cosa significa “turismo culturalmente sostenibile”?
«È un modello di sviluppo economico fondato sulla tutela e la valorizzazione delle risorse culturali di un territorio, intese in senso ampio. Non si tratta solo di eventi, musica e arte, bensì di tutto ciò che costituisce la storia e l’identità di un luogo, compresi gli aspetti paesaggistici. Per sostenere la comunità anziché distruggerla, lo sviluppo turistico deve essere coerente con l’identità locale. Preservando la propria cultura, una località può restare una meta turistica nel medio e lungo periodo; mentre se segue le mode, rischia di entrare in crisi nel giro di pochi anni. Ravenna è un esempio positivo in questo senso».
Uno dei problemi dell’economia turistica è la dipendenza da una domanda esterna, che può venire meno da un giorno all’altro a causa di motivi incontrollabili. La cultura può essere un antidoto a questo rischio?
«Sì, a patto che un territorio non converta la sua intera economia al turismo. Vivere al 100 percento di turismo è un errore, proprio perché può venire a mancare all’improvviso. Invece lo sviluppo culturalmente sostenibile prevede che le istituzioni, le imprese e la società civile creino un modello in cui il turismo è solo una parte dell’economia locale, intrecciata alle altre attività».
Perché l’overtourism è un problema?
«L’eccesso di turismo distrugge le risorse e i territori. Se tutti mettono in affitto la propria casa su Airbnb, non resta più nessuno a vivere in una città e perciò viene a mancare la sua identità. Se un travel influencer di Instagram porta una marea di persone in un luogo, può attirarle altrove l’anno successivo. Passate le mode, resta il deserto».
Quali località, oltre a Ravenna, ha preso in esame come esempi di turismo sostenibile?
«Piombino, Assisi, Tivoli, Ponza, Taormina, Pantelleria e alcune città pugliesi, che sto comparando con alcune città del New Mexico. Tra queste Hatch, nota in tutto il mondo per la produzione del peperoncino Jalapeño, e la capitale Santa Fe, che ha un forte patrimonio culturale e architettonico che attira molti turisti. Mi interessano i territori in cui la popolazione e le istituzioni si oppongono al fenomeno che negli Usa è definito “walmartizzazione”: quando arriva il grande capitale, le piccole attività locali scompaiono e i profitti vanno fuori dal territorio. Se si punta a far crescere il turismo, bisogna fare molta attenzione a queste derive che generano impoverimento. È sempre meglio preservare le attività e i lavoratori locali, generando una ricchezza diffusa ed equa».
Perché a Ravenna non è avvenuta la walmartizzazione?
«C’è un tessuto economico e politico che resiste nel difendere un certo modello turistico, fatto di piccole aziende a conduzione familiare che prestano una grande attenzione individuale e specifica a ogni cliente. Il contrario di ciò che fa il grande capitale. D’altronde in Romagna il mare non è il migliore d’Italia, perciò sono stati costruiti altri vantaggi competitivi, che stanno nel miglioramento dell’esperienza».
Con l’aumento del turismo in corso, c’è il rischio che il grande capitale arrivi anche qui?
«Il pericolo maggiore è con l’applicazione della direttiva Bolkestein. Mettendo a gara le concessioni sul mercato, magari in grandi lotti, sarebbe immancabile l’arrivo del grande capitale. Che farebbe ampio ricorso al lavoro esternalizzato e sottopagato, nonché agli arredi e materie prime acquistati all’estero anziché dagli artigiani locali. In generale, porterebbe la ricchezza altrove anziché lasciarla sul territorio».
Quali sono le migliori caratteristiche di Ravenna per il turismo?
«A fare la differenza è la sua unicità storicoculturale. Una bella spiaggia si trova anche in Egitto o in Albania, mentre i mosaici e i monumenti bizantini sono solo qui. Inoltre sono fondamentali il patrimonio gastronomico e i costi contenuti».
E i difetti?
«La carenza di strutture ricettive nelle località balneari, con pochi alberghi e spesso vetusti».
Sulla costa ravennate, l’assenza di alberghi è anche un elemento positivo: qui non è arrivata la cosiddetta “riminizzazione”, perciò in spiaggia domina la pineta anziché il cemento.
«Questo è un valore aggiunto; tuttavia gli alberghi si possono costruire anche a due chilometri dalla costa e mantenendoli sotto certe altezze. Altrimenti, con l’aumento della domanda turistica, c’è il rischio del dominio di Airbnb. Che porterebbe a distruggere il tessuto sociale ed economico del territorio».
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