Così i medici scappano dalla Campania al Nord: 600 euro per ogni turno e stanza con bagno assicurata

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di
Francesco Parrella

Al telefono con una coop che recluta gettonisti in Campania: qui c’è tanto lavoro

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«La nostra cooperativa ha vinto un appalto con l’ospedale veneto di Chioggia fino al 31 dicembre. Poi, potrebbe esserci una proroga, e nel frattempo usciranno altri appalti in altre regioni del Nord. Da noi insomma il lavoro non manca e, a differenza del settore pubblico, è ben pagato».
Risponde così l’inserzionista di un annuncio di lavoro pubblicato su un portale gratuito che ricerca in Campania, per conto di una cooperativa della provincia di Milano, medici di Pronto soccorso, a partita Iva, per turni di guardia medica. «Nella nostra cooperativa — spiega l’interlocutore — lavorano medici quasi tutti delle Regioni del Sud». Un fenomeno, quello dei medici «gettonisti», che negli ospedali italiani rappresenta da alcuni anni una problematica di rilevanza nazionale. Dal 2019 al 2023 i «gettonisti» sono costati allo Stato 1,7 miliardi di euro. Vengono chiamati o per colmare le carenze di personale o per coprire turni particolarmente intensi.

 «In Campania – dice il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli e provincia, Bruno Zuccarelli – i “gettonisti” che vanno al Nord sono qualche centinaio, anche se non abbiamo una cifra precisa, essendo questa un’attività a partita Iva, come tale difficilmente tracciabile. Nella maggior parte di casi si tratta però di colleghi in pensione». Tornando all’interlocutore della cooperativa milanese, l’uomo, di origini campane, prova a persuadere chi è dall’altra parte del telefono, che crede interessato al lavoro, sulla bontà dell’offerta. «Se un medico appena specializzato assunto in una struttura pubblica guadagna 2.800 euro al mese, facendo 26 turni mensili, da noi — dice — può guadagnare questa somma in 5-6 turni. Poi, ciascuno può decidere quanti farne al mese. Io — prosegue — consiglio sempre di provare, di iniziare gradualmente, e se ci si trova bene di aumentare poi il lavoro, tanto stanno per essere pubblicate molte gare d’appalto anche in Piemonte, il lavoro davvero non manca».




















































Per chi dalla Campania, o dalle altre regioni del Sud, dovesse temere la lontananza da casa, ecco pronta la risposta: «Si possono fare 5 turni giornalieri, ognuno pagato 5-600 euro, e poi si ritorna nella propria regione d’origine per una settimana, e così via. In questo modo non c’è neanche bisogno di affittare una casa al Nord. In Veneto – sostiene – siamo in grado di garantire al professionista anche una camera con bagno, stesso all’interno dell’ospedale. Per un giovane, poi, che magari non avverte quella nostalgia da casa tipica di noi meridionali, io consiglio sempre di aprirsi anche uno studio medico, qui al Nord le cliniche private lavorano tantissimo. Non si butti nel pubblico — incalza — non perché voglio portare acqua al mio mulino, ma perché è troppo sacrificato: turni massacranti, straordinari, gerarchie, e stipendi che non hanno nulla a che vedere con i nostri». 

Poi sostiene: «Ci piacerebbe lavorare anche in Campania, ma ci abbiamo rinunciato, perché negli ospedali del Nord si lavora meglio, c’è un’ottima gestione interna, le regole si rispettano, c’è meno assenteismo tra il personale, e pagano le fatture nei tempi. Nulla di paragonabile al Sud. E lo dico con dispiacere viste le mie origini campane». In Campania, dice il presidente Zuccarelli, «la Regione per fortuna ha detto no all’ingresso delle cooperative socio-sanitarie nelle strutture pubbliche, proprio per evitare questa patologia che in Veneto prolifera da oltre 10 anni. Qui la loro presenza riguarda esclusivamente alcune strutture accreditate come il Fatebenefratelli, il Pineta Grande Hospital, o alcuni ospedali religiosi». 

E aggiunge: «Ci siamo opposti a questo sistema perché utilizzare medici professionisti in questo modo significa esimerli dalle responsabilità nei confronti dell’azienda. Il problema purtroppo è che la sanità pubblica non è più attrattiva, e molti colleghi scelgono di lavorare nel privato per ragioni remunerative e qualità lavorativa. L’unica alternativa che lo Stato ha per salvare la sanità pubblica è di investire più risorse, eliminando gli sperperi, perché altrimenti i pochi medici che ci sono o andranno nel privato o all’estero. La situazione nel pubblico è talmente allarmante perché non solo mancano i medici ma quelli che ci sono chiedono di andare in pensione anticipatamente. Tant’è che oggi stiamo dando incarichi a chi è al secondo o al terzo anno di corso triennale: stiamo mandando insomma le reclute al fronte».

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9 febbraio 2025 ( modifica il 9 febbraio 2025 | 07:21)

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