Acque fatali per i burocrati

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Quando la politica ci mette lo zampino finisce col fare danni. Il precedente della sanità. Ma Schifani resiste

Per evitare la chiusura dei rubinetti agli agricoltori del Trapanese, “vittime” del provvedimento con cui il Ministero delle Infrastrutture – per ragioni di sicurezza – ha abbassato i volumi idrici della Diga Trinità, Schifani ha dovuto adottare misure estreme: cioè il commissariamento del Dipartimento regionale Acqua e Rifiuti. Il quale s’era reso protagonista di alcune inadempienze: il ritardo nell’emanazione dell’avviso di pericolo, l’assenza di comunicazione alla Presidenza della Regione della situazione critica e la grave carenza di interlocuzione con gli uffici ministeriali nonostante le sollecitazioni. Un disastro certificato dall’incontro, qualche giorno prima, fra lo stesso Schifani e il direttore del Dipartimento, Arturo Vallone.

E pensare che il governatore, in trincea contro la “sciatteria” dei burocrati, aveva anche provato a passarci sopra (si fa per dire). Concordando con lo stesso Vallone la nomina di un consulente per gli accertamenti propedeutici a risolvere le criticità strutturali della diga. Il Dipartimento, denuncia Palazzo d’Orleans, “però non ha mai dato seguito a questa disposizione. Da qui la decisione di affidare tutto alla Protezione civile a cominciare dalla nomina dell’esperto”. Si tratta di un punto di non ritorno: non solo nei rapporti con Vallone e dei suoi funzionari, ma dell’intera filiera amministrativa che governa i processi alla Regione. E che spesso li ostacola.

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La crisi della Diga Trinità, che peraltro arriva all’indomani dalla terribile siccità che ha investito l’intero territorio siciliano, potrà essere “utilizzata” a mo’ di esempio da Schifani la settimana prossima, quando sarà necessario dare vita al turnover dei capi dipartimento. In scadenza ci sono 17 contratti e il governatore, anche sulla scorta delle direttive dell’Anac, ha intenzione di applicare un profondo restyling, lasciando a piedi almeno quattro degli attuali direttori. Questa presa di posizione si scontra con i desiderata di alcuni assessori – come il forzista Tamajo e il leghista Turano – ma anche dei partiti, che nelle posizioni di vertice hanno sempre trovato il modo e il tempo di collocare le proprie pedine. Se prevarrà la linea di Schifani sarebbe un chiaro segnale di svolta.

Svolta che servirebbe anche nella sanità, terra di conquista di certa politica, dove la lottizzazione delle poltrone più importanti – qui il merito conta ancor meno che nei dipartimenti regionali – ha portato a conseguenze nefaste. Basti vedere cosa è accaduto all’Azienda “Villa Sofia-Cervello” di Palermo. Mettendo per un attimo da parte l’esito di alcuni episodi di malasanità (vedi la morte di un paziente 76enne che aveva atteso venti giorni per un intervento ortopedico), è chiaro che le dimissioni in serie del Direttore sanitario e del Direttore generale, su cui pende la (ir)responsabilità gestionale di alcuni processi, è la sconfitta di un metodo. Anche se difficilmente segnerà la resa di certa politica.

L’addio di Rizzo prima e di Colletti poi (rimpiazzati da Marilù Furnari e Alessandro Mazzara) è arrivato all’indomani di un confronto con Schifani. E suona come un avvertimento per tutti gli altri manager che la politica ha scelto in maniera scientifica, senza vergogna: non tenendo conto della preparazione né dell’esperienza di taluni profili, ma basandosi sulla loro appartenenza e sulla possibilità, grazie a loro, di penetrare il sistema così da guadagnarne consenso. Che la sanità siciliana sia marchiata a fuoco dall’influenza dei partiti – che di certo non hanno alcuna competenza nell’affrontare i problemi degli ospedali – lo ha ribadito di recente anche il governatore siciliano: “Trovo una sanità figlia di una stratificazione politica che ha portato nei decenni a scelte che non sono ricadute sui migliori, ma su coloro i quali venivano indicati più vicino a quel partito o l’altro”.

Villa Sofia, in sostanza, ha fatto la stessa fine del Dipartimento Acqua e Rifiuti. Perché il cancro è il medesimo: cioè le nomine decise a tavolino, con l’avallo della famosa commissione Affari istituzionali dell’Ars (che al momento di vagliare le singole posizioni, almeno nel caso della sanità, si è appellata al principio del ‘silenzio assenso’). A denunciare le forti ingerenze dei partiti e dei cacicchi, che in alcune province sono ancora più pressanti dei partiti e credono di poter indirizzare la nomina dei primari e i trasferimenti degli infermieri, era stato poco più di un anno fa Vincenzo Spera. Cioè l’ex commissario straordinario dell’ASP di Trapani che, all’ultimo giro, non ha trovato spazio da nessuna parte: “La cosa più difficile che ho incontrato nella gestione dell’Asp di Trapani – aveva detto – è stata dovere convincere i deputati regionali che nei concorsi vincono i migliori. Siamo stanchi delle raccomandazioni”. Su Spera era calato il gelo. E il manager, pur trovandosi nell’elenco dei 48 ‘maggiormente idonei’, è rimasto fuori dalla lotteria.

Verrà il tempo in cui i migliori torneranno nelle posizioni che meritano, e in cui la burocrazia non sarà più d’ostacolo alla pubblica amministrazione. Che sia la sanità, o un dipartimento ai Rifiuti qualunque. Già, ma quando?





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