Prima una richiesta di cittadinanza arrivata da un oriundo brasiliano, poi due, poi dieci, poi cinquecento.
Una valanga ingestibile per un paese di 2.778 anime come Val di Zoldo: il municipio si è trovato prima con l’ufficio anagrafe paralizzato dagli atti da smaltire e poi bersagliato dalla citazioni in giudizio al Tar perché le pratiche non venivano completate.
È dal paese bellunese ai piedi del Pelmo, terra di gelatieri in Germania e di emigranti in giro per il mondo, con 1.770 iscritti all’Aire, che ha preso forma la protesta allargatasi poi a tutto il Veneto. E arrivata al provvedimento in Finanziaria che permette ai Comuni di tentare di frenare la marea di richieste imponendo un contributo di 600 euro.
A Val di Zoldo Camillo De Pellegrin, il sindaco, un anno fa ha esposto dal balcone del municipio la bandiera brasiliana – «Comune di Val di Zoldo del Brasile, Stato del Rio Grande do Sul» – suscitando le rimostranze del Consolato brasiliano. Ma il gesto eclatante del vessillo verde-oro fatto sventolare dalla sede municipale è stato solo una tappa di una battaglia che a Val di Zoldo è partita ancora a inizio 2018.
La prima protesta
Una manifestazione sulle cittadinanze
È il febbraio del 2018 quando il sindaco di Val di Zoldo alza la voce: l’ufficio anagrafe sta arrancando davanti ad un anomalo aumento di pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana di cittadini sudamericani, in gran parte brasiliani, con antenati italiani.
La premessa è che la legge 91/1992 sullo “ius sanguinis” garantisce la possibilità di ottenere il passaporto a chi ha un avo italiano, non importa quanto indietro nel tempo: basta che sia morto dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. Ma i tempi, per gli oriundi brasiliani che vogliono ottenere la cittadinanza italiana, sono lunghissimi: dieci-quindici anni di attesa al consolato di San Paolo del Brasile solo per avviare la pratica.
La circolare ministeriale 32 del 2007 apre però le porte ad un’altra strada, permettendo agli oriundi di entrare in Italia senza permesso di soggiorno per avviare la pratica di riconoscimento della cittadinanza direttamente al Comune dove intendono prendere residenza. Mentre prende piede anche la pratica del ricorso al Tribunale per farsi riconoscere quel diritto ad ottenere la cittadinanza che i tempi lunghi della procedura amministrativa di fatto negano.
Nel giro di una manciata di anni, quello che era un fenomeno sporadico diventa una prassi consolidata. Riscoperta delle radici zoldane e bellunesi? Forse. Ma soprattutto l’interesse per la possibilità di ottenere il passaporto italiano, contesta il sindaco De Pellegrin, per poter poi trasferirsi e lavorare in tutta Europa.
Nel febbraio 2018, mentre l’ufficio anagrafe del Comune di Val di Zoldo va in tilt, il sindaco De Pellegrin decide di sollevare pubblicamente la questione, denunciando le anomalie di questa situazione.
«C’è evidentemente qualcuno che gestisce questo andirivieni dal Brasile, perché queste persone spesso non hanno alcun rapporto reale con l’Italia o con Zoldo», è la contestazione De Pellegrin, «tanto da fare spesso fatica a ricordare il nome dell’avo italiano a cui fanno riferimento. Però a gruppi di venti in qualche modo riescono a raggiungere il nostro territorio per poi mettere tutti la residenza nella stessa abitazione a Goima».
È il vaso di Pandora che si scoperchia. Anche perché quello di Val di Zoldo non è un caso isolato: il problema tocca anche molti altri Comuni bellunesi, dal capoluogo Belluno a Seren del Grappa, da Borgo Valbelluna a Longarone.
De Pellegrin sollecita chiarezza sugli intermediari che contribuiscono ad alimentare l’ondata di richieste di cittadinanza, e lo fa rivolgendosi alla questura, ai carabinieri e alla guardia di finanza.
E chiede anche l’aiuto dello Stato, almeno per rafforzare il personale che deve materialmente sobbarcarsi pratiche e ricerche anagrafiche: «Noi piccoli Comuni siamo l’anello debole della catena, dobbiamo essere messi in condizione di far fronte a questa mole di richieste che manda in tilt gli uffici anagrafe».
Avvocati in campo
L’anagrafe di Val di Zoldo cerca di far fronte come può alla situazione, il sindaco De Pellegrin investe del problema anche l’Anci, l’associazione dei Comuni, ma la marea di richieste non si ferma in tutto il Bellunese: a Borgo Valbelluna si accumulano un migliaio di pratiche e il Comune deve cercarsi un impiegato in più solo per quello, a Sospirolo con oltre quattrocento pratiche il personale si trova ad esaurire i fondi a bilancio per gli straordinari.
Nel luglio del 2023 il problema diventa però anche di natura legale. Il Comune di Val di Zoldo riceve la prima diffida da parte di un avvocato che contesta la mancata trascrizione anagrafica del riconoscimento della cittadinanza, ottenuta da un brasiliano per via giudiziaria ricorrendo al Tribunale di Roma.
È il preludio alla prima citazione in giudizio davanti al Tar, che arriva puntualmente qualche mese dopo, in inverno.
Una nuova fase ancora più complicata per Val di Zoldo e gli altri Comuni bellunesi: ora non ci sono solo le pratiche accumulate da smaltire ma vanno investiti soldi del bilancio per ingaggiare avvocati e difendersi davanti al Tribunale amministrativo. E bisogna giocoforza dedicare ancora più tempo del personale alle pratiche di cittadinanza, per scongiurare nuove citazioni in giudizio.
È il gennaio 2024 e ancora una volta Val di Zoldo fa riaccendere i riflettori sul problema. Il sindaco De Pellegrin affigge un cartello al portone del municipio: i cittadini di Val di Zoldo troveranno chiuso l’ufficio anagrafe un giorno in più alla settimana, perché il personale dovrà dedicarsi solo alle pratiche provenienti dal Brasile.
«Ci occuperemo prima delle cittadinanze iure sanguinis e poi dei nostri residenti, visto che questo vuole lo Stato», è la protesta del sindaco. Che, dal balcone del municipio, mette a sventolare la bandiera del Brasile: «A tutti gli effetti l’ufficio stato civile, l’anagrafe e l’elettorale lavorano prevalentemente per questo Paese, non più per i cittadini italiani».
Una polemica che suscita la protesta del consolato brasiliano in Italia e che diventa ulteriormente materia di contesa giudiziaria. Un nuovo ricorso al Tar contro il Comune per le pratiche non completate, notificato a maggio 2024, contesta proprio le dichiarazioni del sindaco «che lasciano trasparire non una difficoltà, bensì una scelta di non dare ottemperanza ed esecuzione ai provvedimenti».
«Io non scelgo un bel nulla. Io contesto la norma e i miei uffici lavorano come possono con i carichi che hanno. Io non comando ai miei uffici di non trascrivere. Semplicemente non ce la fanno», è la risposta a stretto giro del sindaco zoldano.
Intanto, però, le citazioni in giudizio toccano anche altri enti locali. È il caso di Seren del Grappa, che si trova costretto a seguire la stessa strada: incaricare un avvocato e stanziare fondi comunali per difendersi, e intanto lasciare indietro altre pratiche per completare quelle contestate e far così decadere il motivo del contendere.
Finisce così con il ricorso andato a sentenza il 19 dicembre scorso al Tar di Roma. I giudici amministrativi, però, assegnano a Seren del Grappa almeno un riconoscimento morale, sancendo che anche che il cittadino autore del ricorso si pagherà la sua parte di spese, «tenuto comunque conto della documentata situazione di cronico sotto-organico in cui si trova l’amministrazione intimata, la quale non si limita soltanto alla pedissequa iscrizione, ma richiede una serie di accertamenti sulla regolarità e completezza della documentazione (risalente anche di secoli) che spesso comportano inevitabili lungaggini nella procedura».
Un freno dalla finanziaria
Un riconoscimento più pratico arriva intanto dal Governo, negli stessi giorni di fine 2024, con un articolo della Finanziaria che permette agli enti locali di imporre il pagamento di un balzello per le pratiche di cittadinanza e per le ricerche anagrafiche.
«Con la nuova Finanziaria lo Stato ha voluto darci un contentino», dice il sindaco De Pellegrin, «la possibilità di introdurre il contributo da pagare per le pratiche di cittadinanza e le ricerche anagrafiche. Questa cosa non farà venire meno le richieste, le farà solo risultare più costose a chi le presenta, ma comunque lo applicheremo e valutiamo di farlo con l’importo massimo previsto».
Detto, fatto: con la delibera del 21 gennaio, l’amministrazione di Val di Zoldo ha formalizzato l’obbligo di pagare un contributo amministrativo di 600 euro per ciascun richiedente maggiorenne del riconoscimento della cittadinanza “iure sanguinis” e di 300 euro per il rilascio di certificati o di atti di stato civile risalenti ad oltre un secolo fa, quelli cioè necessari per le pratiche di cittadinanza.
E sulla stessa strada si sono mossi anche altri enti locali bellunesi, da Borgo Valbelluna a Longarone.
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