chiede di fare lavori utili. L’autista si metterà a disposizione delle associazioni di volontariato

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Il 20 giugno dell’anno scorso, mentre procedeva con l’auto lungo via Caneppele a Trento, non era riuscito ad evitare la signora in bici che si era messa ad attraversare dopo essere sbucata da una laterale. E anche se il conducente aveva frenato e si era spostato per evitarla l’impatto era stato inevitabile.

La ciclista aveva riportato così gravi traumi che non le avevano dato chance di sopravvivenza: . Il conducente dell’utilitaria, un giovane di 22 anni di Trento, indagato per omicidio stradale, ora che la Procura ha chiuso le indagini preliminari, ancora prima della richiesta di rinvio a giudizio (di fatto scontata), attraverso il suo legale, l’avvocato Claudio Tasin, ha già chiesto di poter essere ammesso a un programma di messa alla prova, quindi di giustizia riparativa, che prevede la sospensione del procedimento e l’affidamento ai servizi sociali. In particolare il giovane vorrebbe poter estinguere il reato – ed è appunto possibile per quelli con una pena massima fino a 4 anni di reclusione – facendo lavori utili, mettendosi a disposizione di associazioni di volontariato del territorio. Un programma di lavori utili, questo, che dovrà essere elaborato in accordo con l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) e che dovrà passare il vaglio del giudice.

La consulenza cinematica
La Procura di Trento a giugno scorso, aperto un fascicolo per omicidio stradale e iscritto il nome del 22enne sul registro degli indagati, aveva anche delegato una consulenza cinematica a un ingegnere e perito meccanico per ricostruire le esatte dinamiche e responsabilità della tragedia.
A quanto appurato quel pomeriggio del 20 giugno 2024 l’indagato procedeva lungo via Caneppele a Trento, verso sud, quindi verso via Maccani. Mancavano pochi minuti alle 13.50 quando Annamaria Frioli, che aveva un ufficio nello spazio di coworking della sede di Confesercenti, si era messa ad attraversare la strada per raggiungere la sua casa di Roncafort per la pausa pranzo. Superata la ciclopedonale, si era immessa su via Caneppele per arrivare dall’altra parte: lo ha fatto in corrispondenza dell’intersezione di via Goito, all’altezza del cavalcavia della tangenziale, proprio mentre sopraggiungeva la Volkswagen Polo a una velocità di 60 chilometri all’ora, di poco superiore al limite previsto in quel tratto.

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Il conducente, quando l’ha vista attraversargli la strada da sinistra a destra, ha piantato il piede sul freno e si è spostato sulla sinistra. Ma l’impatto c’è stato comunque, violento: la ciclista è stata caricata sul cofano e proiettata in avanti, finendo sull’asfalto in condizioni molto gravi, a oltre una ventina di metri dal punto in cui è stata urtata, mentre la sua bici veniva scaraventata oltre la strada, nell’aiuola all’altezza del marciapiede. La settantenne, all’arrivo degli operatori sanitari con l’ambulanza, era stata intubata e portata con la massima urgenza all’ospedale Santa Chiara, ma non era sopravvissuta. L’automobilista, sconvolto, aveva detto di non averla vista arrivare se non quando se l’è trovata sulla sua carreggiata che attraversava in sella alla bici, in un tratto sprovvisto di strisce pedonali.

Velocità, limiti superati
Secondo il consulente della Procura – che si è basato anche sulla relazione della polizia locale Trento Monte Bondone e sulle immagini registrate da alcune telecamere della zona – l’indagato non avrebbe dovuto superare il limite dei 50, oltre ad usare la massima prudenza. Se avesse appunto proceduto a velocità più ridotta avrebbe anche potuto scongiurare il tragico incidente. Quanto al cellulare – all’epoca sequestrato assieme alla vettura – non c’è certezza che stesse usando il telefono poco prima dell’impatto.
Dall’altra la povera vittima, che si era immessa sulla strada principale da una secondaria, da poco prima del cavalcavia, avrebbe dovuto dare la precedenza alla vettura (c’era tanto di segnale).

Insomma, per gli inquirenti ci sarebbe stato un suo concorso nella responsabilità dell’incidente, aspetto questo che escluderebbe un risarcimento da parte dell’indagato ai familiari della settantenne (i due figli sono assistiti dall’avvocata Marina March). Ma proprio su questo, in merito ai danni, ci sarebbe già contatti tra le rispettive assicurazioni.



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