“Gestiremo la Striscia”. Israele prepara l’evacuazione

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Dopo aver sbalordito il mondo con il progetto avveniristico di una Riviera turistica su quanto resta della Striscia di Gaza, il presidente Usa, Donald Trump, ha trovato opportuno ieri fare qualche passo indietro. All’opinione pubblica interna – preoccupata dal rischio che militari Usa si vedano costretti ad intervenire – ha precisato che “la Striscia sarà consegnata agli Stati Uniti da Israele al termine dei combattimenti”, ossia dopo la sconfitta definitiva di Hamas. Ha inoltre assicurato che la ricostruzione non graverebbe sulle spalle dei contribuenti degli Stati Uniti: si tratterebbe semmai di un impegno che coinvolgerebbe “squadre di sviluppo da tutto il mondo”. I suoi collaboratori hanno anche assicurato che la rimozione di masse di palestinesi da Gaza sarebbe “temporanea” e che appena possibile sarebbe reso possibile il loro ritorno in un ambiente molto gradevole. I media Usa, intanto, si sforzano di capire le motivazioni di una simile mossa di Trump.

Il Washington Post fa quattro ipotesi. La prima è un tentativo di distrarre l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica da un’altra presa di possesso, quella del governo, con tagli drastici, epurazioni, deregulation e le mani di Elon Musk ovunque. La seconda è che si tratti di un’arma negoziale, per premere su Riad per la normalizzazione delle relazioni con Israele, rinunciare allo Stato palestinese ed erogare fondi per la ricostruzione, minacciando lo sbarco Usa se le due maggiori potenze regionali non trovano un accordo. C’è poi la madman theory, la teoria dell’uomo pazzo. Infine, una svolta dall’isolazionismo dell’America First alle ambizioni “imperialiste”.

Nel frattempo i palestinesi della Striscia devono cimentarsi con i rigori invernali: dall’area umanitaria di Moassi, nel sud della Striscia, sono giunte ieri immagini drammatiche di sfollati impegnati a lottare per ore in tende precarie contro venti impetuosi e piogge torrenziali. In una intervista alla Fox News il premier Benjamin Netanyahu ha espresso un appoggio esplicito ai progetti di Trump: “L’idea di consentire alla gente di Gaza di partire e poi di tornare, è la prima buona idea che io abbia sentito. Un’idea stupefacente”. Il ministro della difesa d’Israele, Israel Katz, non ha perso tempo e ha convocato una consultazione dei vertici militari. “Ho dato istruzione – ha detto – di preparare piani per aiutare quanti vogliano lasciare Gaza, diretti verso ogni Paese che li voglia accogliere. Il piano prevede opzioni diverse: via terra, via mare o per via aerea”. Katz ha anche sollevato screzi diplomatici affermando che gli sfollati da Gaza dovrebbero cercare ospitalità in Spagna, Irlanda e Norvegia: Paesi che durante il conflitto si sono schierati con i palestinesi. Nell’estrema destra israeliana si respira un’atmosfera euforica.

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“È un dato di fatto – ha detto il ministro Bezalel Smotrich alla emittente filo-governativa Canale 14 – che a Gaza non sara’ possibile abitare per i prossimi dieci anni. Occorrono allora alternative umanitarie”. Smotrich non ha pero’ escluso che in futuro a Gaza siano costruite nuove colonie ebraiche: “Dove non abbiamo insediamenti, non abbiamo sicurezza”.

Fra i palestinesi c’è indignazione nella constatazione che Trump ha lanciato i suoi progetti su Gaza senza consultarsi con i diretti interessati. Sul piano politico i collaboratori di Abu Mazen ribadiscono che quei piani sono incompatibili con gli accordi di Oslo e con la formula dei Due Stati. Re Abdallah di Giordania, che sarà ricevuto da Trump l’11 febbraio, ha già espresso la propria totale contrarietà. Dei 12 milioni di cittadini della Giordania, diversi milioni sono di origine palestinese: un afflusso forzato di masse provenienti da Gaza potrebbe accrescere la instabilità politica. Analoghi timori giungono dal Cairo. Fonti ufficiali hanno avvertito che la rimozione da Gaza di masse di sfollati potrebbe essere in contrasto non solo col diritto internazionale ma anche con gli accordi di pace con Israele.

Molti occhi sono intanto puntati su Hamas, dopo che Trump ha confermato che il movimento non avrà alcun ruolo nella ricostruzione di Gaza. Nella Striscia ci sono ancora 79 ostaggi israeliani che il residente vuole assolutamente liberare. Ma ora che Hamas si sente minacciato crescono i timori per il transito dalla prima alla seconda fase della tregua.



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