Al posto della lista con i tre nomi degli ostaggi da liberare, alle 15 del pomeriggio è arrivata la protesta di Hamas per i «ritardi di Israele nell’attuazione del protocollo umanitario riguardante gli aiuti e la ricostruzione». È il portavoce Abed Latif al-Qanua a chiedere ai mediatori egiziani e qatarioti di intensificare le loro pressioni su Israele «affinché attui il protocollo prima di effettuare lo scambio» degli ostaggi.
Poi, con due ore di ritardo, Hamas consegna i nomi dei tre ostaggi: Eli Sharabi, Ohad ben Ami e Or Levy. In cambio dovrebbero venire rilasciati 183 prigionieri palestinesi: 18 condannati all’ergastolo, 54 con lunghe condanne e 111 imprigionati durante i combattimenti nella Striscia di Gaza. Comunque il ritardo nella comunicazione dei nomi degli ostaggi è un segnale di un accordo sul cessate il fuoco sempre più fragile dopo la promessa di Donald Trump di fare della Striscia di Gaza «la riviera del Medio Oriente» deportando buona parte degli sfollati palestinesi in altri Paesi come Egitto e Giordania. Infatti, mentre il governo egiziano intensificava gli sforzi diplomatici per compattare i Paesi arabi – a cominciare da Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – contro il piano di Donald Trump, dal premier israeliano Netanyahu arriva una nuova provocazione in una intervista a Channel 14: «I sauditi possono creare uno Stato palestinese in Arabia Saudita, hanno molta terra laggiù», ha affermato. Più tardi, però, era lo stesso Trump a precisare che «non c’è assolutamente fretta» sul piano per Gaza.
Intanto l’accusa di violazione dell’accordo sugli aiuti umanitari non ha fermato lo scambio dei prigionieri: solo 8.500 camion dei 12.500 previsti sono entrati nella Striscia, secondo Hamas, mentre delle 200mila tende e dei 60mila caravans previsti è stato consegnato il 10%. Cifre contestate dalla Difesa di Israele secondo cui 12.600 i camion con aiuti sono già entrati nell’enclave.
Ma è chiaro che, se l’avvio della trattativa sulla “fase 2” della tregua è iniziato informalmente martedì scorso alla Casa Bianca, dopo l’annuncio del piano Trump tutto il negoziato procede su un crinale sempre più impervio. La conferma viene dalla partenza per Doha di una delegazione di funzionari del Mossad e dello Shin Bet di basso livello con il compito di trattare sull’applicazione della prima fase, ma non per discutere dell’attuazione della seconda fase dell’accordo che prevede il rilascio di altri 60 ostaggi e il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia.
Il centro di Gaza completamente distrutto – Ansa
Al proseguimento della trattativa sta lavorando l’inviato Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff che, dopo le consultazioni con Benjamin Netanyahu, ha incontrato il premier del Qatar. E le distanze fra le due parti stanno aumentando: il leader dello Stato ebraico spinge per estendere la “fase uno”, puntando a ulteriori round di scambi ostaggi-prigionieri palestinesi, con l’intento di evitare il ritiro dell’esercito dal corridoio Filadelfia, previsto per il cinquantesimo giorno dall’inizio della tregua. 50 e da lui duramente avversato. Se Trump ha ribadito di volere tutti gli ostaggi liberati, minacciando in caso contrario «più violenza», Netanyahu deve procedere fra le pressioni dell’opinione pubblica per il completamento dell’intesa e il ritorno di tutti i rapiti e le sollecitazioni dell’estrema destra che punta alla ripresa della guerra e sogna, ancor di più dopo l’arrivo di Trump, una Striscia senza palestinesi.
I profili dei tre liberati
Eli Sharabi, 52 anni, era stato rapito dal Kibbutz Be’eri durante l’attacco del 7 ottobre 2023. Sua moglie e le sue figlie erano state assassinate nella loro casa e Eli Sharabi era stato preso prigioniero insieme al fratello Yossi, di cui è stata, purtroppo, confermata la morte. Ohad Ben Ami, che ha 56 anni, era stato anche lui rapito a Be’eri, insieme alla moglie Raz Ben Ami che era stata rilasciata nel corso della tregua di una settimana del novembre del 2023. Una sua foto è apparsa sui social media due settimane dopo il 7 ottobre, in maglietta mentre veniva trascinato da un terrorista. Or Levy, 34 anni, era stato rapito mentre partecipava al rave Supernova vicino al kibbutz Re’im mentre sua moglie Eynav, 32enne, è stata uccisa.Or era arrivato con la moglie e il piccolo Almog di due anni, pochi minuti prima del raid. Dopo l’uccisione della donna, Or è stato portato via, mentre il bimbo è stato abbandonato.
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