Auto ibride 2035, l’Unione Europea valuta il rinvio? La Campania respira

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Tanto tuonò che piovve? Potrebbe essere così alla luce dell’anticipazione pubblicata ieri dall’affidabile settimanale tedesco der Spiegel secondo cui l’Ue starebbe valutando la possibilità di consentire anche alle auto ibride plug in di restare sul mercato dopo il 2035, l’anno che al momento impone il divieto di vendita di auto a benzina e diesel. Sarebbe il primo obiettivo di una trattativa in corso da qualche tempo tra la Commissione e le maggiori case automobilistiche, sulla quale certamente pesa (e non poco) anche il paper di Italia e Repubblica Ceca, firmato successivamente da altri 13 Paesi, in cui si chiede di anticipare al 2025 il riesame delle scadenze previste per il Green Deal del settore (come nel caso del 2035, ad esempio). In quello stesso documento, sostenuto da Confindustria, dalla filiera dei costruttori europei dell’auto (Acea), dalla filiera nazionale della componentistica (Anfia) e rilanciato anche l’altro giorno dal ministro Adolfo Urso, che ne è stato promotore, si sollecita inoltre la sospensione delle sanzioni previste già da quest’anno per l’industria automobilistica qualora non riuscisse a vendere un numero di auto elettriche superiore a quelle con altre motorizzazioni (si parla di almeno 16 miliardi di multe).

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Di quest’ultimo tema non si fa riferimento nell’articolo del giornale tedesco ma tutto lascia intendere che entrerà anch’esso nel Piano d’azione che la stessa Commissione Ue ha annunciato per il prossimo 5 marzo. Intanto, in base alle anticipazioni, Bruxelles sarebbe orientata a inserire nel novo accordo anche i cosiddetti «range extender», le auto cioè con piccoli motori a benzina che hanno il solo scopo di ricaricare la batteria elettrica utilizzata per l’alimentazione. Ma pure gli e-fuel, i combustibili sintetici, potrebbero potranno entrare a far parte del progetto europeo di riduzione delle emissioni dovute alle auto. Lo scorso anno le auto ibride plug-in hanno avuto una quota di mercato del 7,1% sul mercato europeo, contro il 13,6% delle elettriche pure (Bev) e il 30,9% delle ibride non ricaricabili. Queste ultime, però, non sarebbero incluse nella proroga oltre il 2035, secondo l’anticipazione dello Spiegel.

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Le prospettive

«Se confermata dalle prossime decisioni ufficiali in sede europea, l’apertura ai motori tradizionali anche dopo il 2035 sarebbe una notizia importante e gradita», commenta Nicola Giorgio Pino, Cavaliere del Lavoro e patron del Gruppo Proma. Leader nella componentistica, che di recente ha acquisito un importante marchio tedesco nella produzione di sedili per auto. Ma aggiunge: «Diventa adesso ancora più decisivo lo stop alle multe che viene già sollecitato da più parti e che, se non si torna indietro, rischia di stravolgere l’attuale e precario assetto del nostro settore». Di sicuro, anche su questo punto occorreranno tempi il più rapidi possibile per evitare, come osserva ancora l’imprenditore di origini calabresi ma casertano di adozione, che «si possa in condizionare negativamente anche i futuri programmi di produzione delle singole case automobilistiche, invogliandole a ridurre le quote di produzione di certe motorizzazioni a vantaggio di altre pur di restare nel range di legge dei limiti anti-inquinamento».

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In ogni caso, per la componentistica nazionale, e quella made in Sud in particolare, direttamente collegata alle sorti del Gruppo Stellantis, i nuovi scenari che sembrano delinearsi aprono prospettive incoraggianti. Nonostante il perdurante, vistoso calo delle immatricolazioni, la frenata delle produzioni anche negli stabilimenti Sud più avanzati tecnologicamente come Pomigliano a Melfi, e il conseguente ricorso alla Cassa integrazione, l’automotive made nel Mezzogiorno rimane un asset determinante per il futuro economico della macroarea. È qui che si continua a concentrare oltre il 54% della produzione totale di auto in Italia, ma è soprattutto il valore assoluto della filiera a testimoniarne l’assoluta rilevanza: parliamo di 13 miliardi in termini di valore aggiunto, secondo la stima contenuta nell’ultimo Rapporto Svimez, con circa 300mila addetti riconducibili, direttamente o non, al settore, più della metà dei quali in Campania e Puglia, ma con numeri significativi anche in Molise e Basilicata. E se è vero, com’è vero, che la rete meridionale della componentistica auto è meno sviluppata di quella delle altre regioni, è pur vero che essa conta su oltre 20mila addetti diretti e su realtà di respiro internazionale, dal Gruppo Adler Pelzer alla Sada, alla stessa Proma per restare solo in Campania.

La retromarcia Ue, se di essa alla fine si tratterà, di sicuro apre prospettive solo immaginabili, al momento. C’è chi giudica comunque complessa una valutazione approfondita osservando, ad esempio, che se le vetture range extender sono una rarità nei listini, le plug-in hybrid sono invece una realtà concreta anche in Europa. Il guaio è che in Cina rappresentano già una produzione in larghissima scala: in base ai dati della China Association of Automobile Manufacturers, nel Paese orientale nel 2024 sono state prodotte 7,758 milioni di auto elettriche, con una crescita del 15,7% rispetto al 2023, ma il dato relativo alle plug-in hybrid ha toccato quota 5,125 milioni, con un incremento del 78,1% rispetto ai 12 mesi precedenti. Sene potrebbe dedurre, dunque, che nonostante i dazi imposti alla Cina, Bruxelles stia uniformando la sua politica sul futuro della mobilità a quella di Pechino, dove non a caso auto elettriche e ibride plug-in vanno a formare insieme la categoria di Nev, ovvero New Energy Vehicles.

In ogni caso, l’Ue ha già messo al centro del dialogo con le compagnie automobilistiche una serie di punti chiave: e cioè, innovazione, transizione pulita e decarbonizzazione, competitività, relazioni commerciali, nonché semplificazione normativa e ottimizzazione dei processi. In altre parole, Bruxelles ha già lasciato intendere di essere aperta a modifiche per andare incontro alle esigenze di competitività dell’industria. I numeri, d’altro canto, impongono già da tempo interventi e soluzioni strategiche in tutta Europa. La crisi del settore automotive finora è costata il posto a 55 mila lavoratori tedeschi, solo tra il 2020 ed il 2024. Se il trend non migliorerà, la proiezione è di 186mila posti a rischio entro il 2035 con inevitabili riflessi in Italia, a partire dall’indotto. Le immatricolazioni globali degli ultimi 4 anni sono da profondo rosso: la produzione automobilistica europea ha perso oltre 2 milioni di veicoli, quella statunitense 1 milione, mentre quella cinese ha incrementato i propri volumi di oltre 4 milioni di unità. «In Italia per il secondo anno consecutivo ci dovremmo fermare sotto 1 milione e 780.000 veicoli immatricolati, 350.000 in meno rispetto al 2019» avverte il presidente Anfia Roberto Vavassori.





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