Rigore e rifiuto della strategia di un io politico

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Rossana Rossanda è ormai diventata una autrice classica. “Classico”, come si sa, è un testo o un insieme di testi prodotti da una medesima mente cui si riconosce un permanente e attuale valore. Si dice in genere al maschile perché la cultura era prerogativa del genere dominante. Sono stati raccolti e pubblicati i suoi scritti sul cinema, le sue recensioni e i saggi letterari, le sue interviste a persone famose nel ‘900, gli interventi sul femminismo, le sue conversazioni radiofoniche, molti dei suoi scritti politici, oltre che le ristampe dei libri pubblicati in vita – e probabilmente ho omesso qualcosa.

Si capisce bene così che Rossana non è definibile come d’abitudine: una intellettuale “prestata alla politica” oppure una “politica di professione” con saperi accademici. Che cosa ella stessa fosse ai suoi occhi lo spiega bene nella “Autodifesa di un io politico” raccolta nel volume degli scritti sul femminismo da Lea Melandri, sua cara amica e sua dura critica in nome del nuovo femminismo.

La critica, che sfiorava l’accusa, era di “essersi martirizzata” per aver accettato la “antica dipendenza… dall’universo dell’uomo e dai suoi pubblici comandamenti” anziché lavorare a scoprire la differenza femminile.

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Il suo essere politico ha origine, risponde Rossana, in “una curiosità immensa di capire: me e “l’altro”(persona, cose del mondo, tempo presente nell’arco della mia esistenza)”. Rifiuta l’idea di essere una martire. La fondazione della propria individualità può avvenire ripiegandosi su sé stessa per capire che cosa è femminile e che cosa è stato imposto dall’esterno, cioè dal dominio maschile. Oppure può avvenire fondandola sul riconoscimento dell’altro. Al di la della discussione con il femminismo di cui Rossana riconoscerà, gradatamente, la portata rivoluzionaria per lo scuotimento delle fondamenta stesse di un ordine sociale spregevole, vi è un primato dell’etica in questa posizione della fondazione di se stessi sul nesso con “l’altro”. Il che rende conto del rifiuto di Rossana di praticare la politica come mera tattica.

Da questo l’attrazione per l’Antigone cui dedicò un ampio e documentato saggio nell’87 che intitolò “Antigone ricorrente” in prefazione di una nuova traduzione della tragedia di Sofocle. Rossana a lungo esamina molte delle diverse e talora opposte letture succedutesi nei secoli del sacrificio di Antigone che sceglie la morte per obbedire a supreme leggi morali non scritte piuttosto che accettare la legge dello Stato impersonato dall’autocrate Creonte che le impediva di seppellire il fratello morto insorgendo contro il potere. Chiusa per sempre in una caverna si impicca e il suo promesso sposo si suicida abbracciandola.

Venticinque secoli dopo in una prigione tedesca di massima sicurezza presso Stoccarda vengono trovati impiccati i capi (due donne e due uomini) del gruppo terroristico Rote Armee Fraktion (si parlerà di suicidio ma una sopravvissuta lo nega). A lungo nella città di Stoccarda ci si oppone a seppellirli nel cimitero locale.

La simiglianza con la tragedia di Antigone era palese. Margarethe von Trotta ne farà un film all’inizio degli anni ‘8o molto premiato e molto discusso perché la storia vera della protagonista (Gudrun Ensslin) suicida o uccisa in carcere è quella di una ragazza di buona famiglia, colta, borghese, che si fa terrorista in nome di alti ideali di giustizia.

Anzi, dice Rossana, riprendendo il tema, la soggettività della età moderna se da un lato si fa individualismo e chiusura in se stessi dall’altro si fa “io politico, quindi rivoltoso” e non si limita alla lotta contro il sistema, ma vuole combattere “la cultura esistente tutta modellata sul principio di autorità. E per di più fondato sulle ragioni di una sola classe”.

Hegel aveva riabilitato Creonte, altri esaltato Antigone. Rossana li vede come poli di una antinomia inconciliabile. E dunque: “Sotto questo aspetto Antigone è per sempre”. Rossana non è Antigone, non si identifica con lei ma ne amava molto l’esempio. Nella antitesi inconciliabile di certo non avrebbe scelto Creonte.

Conosciamo Antigone solo nella sua luttuosa fermezza. Ma Rossana non aveva e non voleva avere nulla di cupo o di triste o di enfatico. Nulla “sopra le righe”. Aveva ironia e autoironia in abbondanza. Scherzava sul suo stesso corpo, alla fine inerte, e quando lui, il corpo, le avesse detto che era stufo gli avrebbe detto: “D’accordo. Grazie. Mi sono molto divertita”. Ma tutto questo non contraddiceva la malinconia di fondo, per la condizione umana e per quella delle donne. E la sua combattività perenne.

Totalmente politica, ma di una politica altra.

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Nel ricordo più tenace che ho della sua immagine, il suo volto delicato come un cammeo era serio serio e severo. Entravo in un’aula a gradoni dell’università e lei stava qualche gradino sopra circondata da alcune compagne di studio, tutte con espressione dolente. Era la primavera del ’44, mi dissero che aveva ricevuto la notizia della fucilazione da parte dei fascisti di Salò dello zio che l’aveva cresciuta, l’ammiraglio Mascherpa, reo di aver resistito ai tedeschi in un’isola dell’Egeo. Lei aveva 19 anni e io 17 ma mi consideravo un maturo comunista perché già facevo qualcosa nel Fronte della Gioventù (e dopo qualche mese andrò in carcere). Non avevo esperienza del dolore, solo le grida di una contadina che aveva perso un figlio in guerra. Ma per essere rimasto indelebile nella mente quel dolore trattenuto deve aver fatto subito di Rossana una eroina ai miei occhi.

Dobbiamo essere lieti che le sia stato risparmiata l’offesa di vedere i lontani eredi di quegli assassini tornare al governo e occupare lo Stato e i suoi annessi. E dobbiamo avere la stessa forza e decisione di quel volto serio e severo per rimontare la china.

Articolo pubblicato sul supplemento speciale del manifesto “Il secolo di Rossana Rossanda” (acquistalo sul nostro store)



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