Jen Bridges-Chalkley, suicida a 17 anni per non aver ricevuti aiuto

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Il 12 ottobre 2021, Jen Bridges-Chalkley si è uccisa a casa di sua madre, Sharren Bridges. Aveva 17 anni.

All’inchiesta, conclusasi nell’aprile 2024, il medico legale ha affermato che il suo suicidio sarebbe potuto essere evitato se avesse ricevuto il supporto di cui aveva bisogno “in modo tempestivo”. È stato “un fallimento multi-agenzia”, ​​ha concluso nel rapporto, che è un documento devastante: 81 pagine di occasioni mancate, cattiva comunicazione e pessime decisioni.

“C’è stata una mancanza da parte delle agenzie nel lavorare insieme in modo efficace per garantire che le esigenze di Jen fossero soddisfatte – ha scritto il medico legale, aggiungendo che la mancanza di tutela, il fallimento da parte degli istituti scolastici e dei servizi di salute mentale per bambini e adolescenti (Camhs), siano stati in gran parte responsabili della sua morte – Per molto tempo, tra maggio 2018 e giugno 2020, era in lista d’attesa per la terapia dal team di psicologi e attendeva la valutazione”. Eppure, continua, la Camhs non è riuscita a “valutare, diagnosticare e curare correttamente Jen, al fine di gestire le sue condizioni e ridurre al minimo il suo rischio di suicidio”.

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Nel Regno Unito Camhs è il servizio offerto dal sistema sanitario nazionale per bambini e adolescenti con problemi emotivi, comportamentali e di salute mentale. Il suo personale comprende psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti e assistenti sociali. Mira a fornire supporto e trattamento, tra cui terapia, farmaci e cure ospedaliere. Ma nel caso di Jen Bridges-Chalkley si è rivelato inefficiente, come denuncia sua madre al Guardian, affidando le sue parole al giornalista Sam Wollaston.

Alla ragazza è stato diagnosticato un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) a 10 anni e un disturbo dello spettro autistico un anno dopo. Entrambe le diagnosi hanno richiesto molto tempo. Sharren Bridges si era rivolta inizialmente al suo medico di base quando la figlia aveva appena cinque anni, poi di nuovo quando ne aveva sette, sospettando che avesse l’ADHD, ma è passato del tempo prima che la diagnosi fosse effettivamente confermata, mentre quella di autismo, dice la madre, “è stata uno shock”.

Nel 2015, a 11 anni, Jen Bridges-Chalkley ha mostrato comportamenti autolesionisti, tagliando i suoi capelli e ferendosi diverse volte, per il trauma del passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria; una transizione che la ragazzina ha fatto fatica ad accettare, e che ha minato notevolmente la sua autostima.

Eppure, anche negli anni a venire  non è mai stata inserita in piani educativi, sanitari e assistenziali (EHCP) speciali, se non solo nel 2019. Il coroner che si è occupato del suo caso ha scritto nel rapporto che i bisogni educativi speciali di Jen Bridges-Chalkley erano “evidenti” fin dalla scuola elementare, e che il non usufruirne, il non essere compresa, ha “probabilmente contribuito alla sua crescente ansia e al deterioramento dell’autostima e dello stato mentale, inclusa la sua tendenza al suicidio“, di cui ha cominciato a parlare fino ai 14 anni.

Dopo aver parlato dell’intenzione di uccidersi anche con un membro dell’istituto scolastico che frequentava, il Camhs la visitò, classificando le sue probabilità di togliersi la vita come alte e il suo caso come “urgente”.

Eppure, anche in quel frangente la minaccia dell’adolescente e la valutazione del Camhs vennero bollate come non fondate, visto che lo screening del rischio di suicidio mostra risultati più alti per le persone con un disturbo dello spettro autistico. Il fatto che Jen Bridges-Chalkley avesse un disturbo di questo tipo non ha fatto ritenere le sue minacce troppo credibili.

Sharren Bridges spiega però di ritenere che, a quel punto, la figlia sarebbe stata inserita in un piano di terapia personalizzato, e in effetti la ragazza è stata iscritta alla lista d’attesa nel settembre del 2018: l’attesa prevista era di quattro mesi al massimo, diventati però per lei due anni.

Nel frattempo, Jen Bridges-Chaklley è cresciuta, ha sperimentato alcol, droghe e ha avuto relazioni sentimentali, una delle quali, terminata, ha generato in lei ulteriore ansia e attacchi di panico; nel delirio di quei mesi, la sedicenne avrebbe anche detto di essere rimasta incinta e di aver avuto un aborto spontaneo, cosa fermamente respinta dalla madre.

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All’1.45 del 3 gennaio 2021, madre e figlia hanno parlato con un addetto alle chiamate di crisi del Camhs dopo che la ragazza aveva tentato il suicidio. È stata ricoverata in un reparto pediatrico e al mattino ha parlato con un’infermiera di salute mentale che lavorava per il Community Crisis Intervention Service all’interno del Camhs, tramite video dall’ospedale, ma successivamente dimessa.

Jen Bridges-Chalkley è stata ricoverata e dimessa più volte dagli ospedali a causa di crisi, tutto questo sempre rimanendo in attesa di un piano terapeutico personalizzato che l’aiutasse a risolvere i suoi problemi di salute mentale; per questo motivo sua madre è fortemente arrabbiata con il sistema sanitario nazionale, che l’ha abbandonata. “Jen è una persona, è mia figlia, è il mio tutto, e non c’è più perché le persone non hanno fatto il loro lavoro – si sfoga al Guardian – Non hanno fatto il loro lavoro quando aveva cinque anni, non hanno fatto il loro lavoro quando ne aveva 11, non hanno fatto il loro lavoro quando ne aveva 14, 15, 16, 17, e ora non supererà i 17 anni.”

In una dichiarazione, Graham Wareham, amministratore delegato del Surrey and Borders Partnership NHS Foundation Trust, ha affermato: “Siamo profondamente addolorati per la tragica morte di Jennifer e abbiamo espresso le nostre più sentite condoglianze alla sua famiglia. La nostra indagine sul supporto che abbiamo fornito a Jennifer ha scoperto che, sebbene abbiamo prestato attenzione e considerazione per fornire un approccio terapeutico incentrato sulla persona per soddisfare le esigenze di salute mentale di Jennifer, riconosciamo che ci sono state delle carenze.

Jennifer ha ricevuto supporto terapeutico durante il periodo in cui è stata sotto la cura del trust – ha aggiunto – Ha anche ricevuto supporto immediato dai nostri servizi di crisi di salute mentale 24 ore su 24, 7 giorni su 7, quando necessario. Riconosciamo che c’era stato un rinvio per un supporto psicologico specialistico che non era stato consegnato al momento della sua dimissione concordata. I tempi di attesa per la psicologia in quel momento non erano quelli che volevamo per bambini e ragazzi. I nostri tempi di attesa per la psicologia sono ora notevolmente ridotti per migliorare l’esperienza per bambini, ragazzi e le loro famiglie”.



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