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“Una lingua contemporanea, informale, che risente molto del parlato e lascia alle spalle la tradizione letteraria”, “poche parolacce, pochi disfemismi qua e là”, “una certa omogeneità, legata probabilmente al fatto che un gruppo ristretto di autori firma una buona parte delle canzoni” e soprattutto “niente scandali”. È il giudizio, “a una prima lettura dei testi”, sulle canzoni in gara a Sanremo formulato da Lorenzo Coveri, già professore ordinario di Linguistica italiana nell’Università di Genova e accademico della Crusca, tra i massimi studiosi della lingua della canzone italiana.
“Premetto che senza aver ascoltato la musica il giudizio sulle canzoni non può essere completo”, spiega il linguista, da sempre attento alla comunicazione giovanile e al linguaggio dei media. “Sanremo intanto è condizionato ormai dalle piattaforme, dalle radio: non si scrive più la canzone per vincere il festival, ma per durare almeno sei mesi, arrivando possibilmente fino ai tormentoni estivi”, fa notare. “E poi andando al festival si entra nel mainstream, e questo fa da filtro, crea una specie di media, anche linguistica: anche più trasgressivi all’Ariston si moderano”, sorride Coveri, che da anni condensa la sua analisi linguistica dei brani in schede pubblicate sul magazine web Mente Locale e sul profilo Instagram dell’Accademia della Crusca. “Le scelte di Carlo Conti si collocano nel solco dei cinque anni di Amadeus, cercando di dare spazio a tutti i generi: a ben guardare, però, la quota cantautori è ristretta, quella dei rapper è più piccola rispetto alla realtà del mercato, il rock e le band sono assenti… Insomma siamo nel pieno del pop: di tutto un pop, potremmo dire. E c’è ben poco da scandalizzarsi”.
A partire dal testo di Tony Effe, preceduto dalle polemiche sul concerto di Capodanno a Roma e sui testi violenti e sessisti: “Damme Na Mano è una canzone in romanesco in cui non c’è niente che possa turbare la serenità del pubblico sanremese. Cita esplicitamente Califano e ‘non fare la stupida stasera’. Se questo doveva essere lo scandalo, lo scandalo non c’è”. A colpirlo, in particolare, Brunori Sas e Lucio Corsi: “Nel suo L’Albero delle Noci Brunori, da cantautore classico, celebra, con un testo nettamente autobiografico, l’arrivo della figlia Fiammetta, con invenzioni e immagini molto belle, a parte qualche tratto del passato come rime baciate”. “Molto originale e fresco” è Corsi, con Volevo Essere Un Duro: “Racconta la difficoltà di crescere con ironia e immagini divertenti: è un uomo pronto ad affrontare i pericoli della vita ma con un’anima da bambino”. Shablo feat. Guè, Joshau, Tormento, con La Mia Parola, “è interessante soprattutto per i linguisti perché pesca e piene mani nel gergo dell’hip hop: è una street song, tu fai chatty chatty io faccio parlare il mio flow, è rap e blues e gin e juice, si gioca anche con le rime in funzione ironica”. Una citazione merita Willie Peyote, che in Grazie Ma No Grazie “affronta tempi più impegnati, a sfondo sociale. In genere le canzoni di Sanremo, come i critici hanno notato, quest’anno parlano soprattutto di amore, preferibilmente sfortunato, e di disagio, a anche di depressione, come nel testo di Battito di Fedez. Evidentemente la misura del nostro tempo è proprio questa”.
Quanto all’uso del dialetto, “oltre a Tony Effe si nota nei testi di Serena Brancale e Rocco Hunt. Il napoletano è comunque un dialetto nobile, è quasi la lingua della canzone italiana. E il romanesco è molto vicino al toscano e quindi all’italiano”. Tra le curiosità, Coveri cita il testo di Clara (Febbre), “molto sofisticato, con qualche termine francese”. E Bresh, con La Tana del Granchio: “Con l’aiuto della banca dati Le parole di Sanremo (a cura di Massimo Arcangeli e Luca Pirodda, ndr) possiamo rilevare che tana è apparso una sola volta al festival, in un testo del 1996, e granchio è un hapax, ossia una novità assoluta”. Inedito è anche il titolo Cuoricini dei Coma_cose, “mai usato prima a Sanremo, che sembra anche alludere a un certo understatement rispetto all’inflazionatissimo cuore”.
Secondo il professore spiccano solo Brunori Sas – “letterario, con immagini sofisticate, figure retoriche di livello. Interessante, intimo, autobiografico, nel parlare della gioia e della responsabilità di mettere al mondo una figlia” – Lucio Corsi – “il testo più fresco di tutta la rassegna: 9 anche a lui. Usa immagini inattese, giovanilismi e gergo in modo intelligenti, l’ironia»”– e Shablo – “Originale, esce dai binari” -. Coveri è deluso da Gabbani, da cui si aspettava di più viste le edizioni precedenti: “Senza infamia e senza lode”. Assolutamente insoddisfatto dai Modà: “Versi pesantissimi, lunghissimi, più che una canzone sembra la predica di un prete. Siamo al limite dell’incomprensibile. Fa cadere le braccia”, sentenzia al Corriere della Sera. Bocciata anche Elodie: “Testo pessimo, come se parlasse a telefono. Prosa di una banalità sconcertante: nelle parole non c’è ritmo, magari ci sarà nella musica”. Secondo il prof fanno male anche i testi di Massimo Ranieri e Giorgia, ma i due si salveranno grazie alla voce. Fatica pure Olly. E Fedez (che potrebbe essere prossimo al ritiro)? “Diamo 6 a un testo deprimente che parla di depressione, si salva qualche giochetto di parole sui nomi dei farmaci, poi rime discutibili come carne viva – mente schiva. Cita Mary Poppins col cianuro al posto della pillola che va giù. Mi cadono le braccia”.
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