L’arresto e la scarcerazione del torturatore e trafficante di migranti libico Najem Osama Almasri sollevano interrogativi. Il governo fornisce chiarimenti sulle procedure e risponde alle polemiche dell’opposizione
Il 18 gennaio è stato il giorno centrale nella vicenda dell’arresto e della successiva scarcerazione di Najem Osama Almasri, un trafficante di migranti libico accusato anche di torture. La discussione parlamentare ha preso il via intorno alle 12.30 a Montecitorio, in un’aula gremita. Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ha aperto l’informativa: «Il 18 gennaio, la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di arresto internazionale, eseguito dalla Digos il 19 alle 9.30. La comunicazione del fermo è stata inviata dalla Polizia al ministero alle 12, in forma informale e senza dati identificativi. Il 20 gennaio è stato trasmesso l’intero carteggio dalla procura presso la corte d’Appello, seguito poco dopo dalla documentazione della Cpi. Pertanto, l’arresto è avvenuto prima della ricezione ufficiale dei documenti dal Ministero della Giustizia».
Nordio ha spiegato che il ritardo nella sua comunicazione al Parlamento è dipeso dall’arrivo tardivo, il 28 gennaio, della notifica dell’iscrizione al registro degli indagati.
Procedure complesse e perplessità giuridiche
Il ministro ha sottolineato che i rapporti con la Corte penale internazionale seguono una normativa complessa, mai applicata prima in Italia: «Il Ministero della Giustizia è l’unico titolare di tali rapporti, e il ministro deve concordare le azioni con altri dicasteri e organi dello Stato». Nordio ha difeso il ruolo del suo ministero, chiarendo che non si tratta di una semplice attività burocratica, ma di una valutazione approfondita delle azioni da intraprendere.
Il ministro ha espresso perplessità sui capi d’accusa a carico di Almasri, sottolineando che i presunti reati risalgono a un periodo in cui Gheddafi era ancora al potere in Libia. Questo elemento è cruciale poiché la competenza della Corte penale internazionale interviene solo quando un Paese è considerato in guerra. Una revisione del mandato, avvenuta solo il 24 gennaio, ha corretto l’errore temporale, ma ormai Almasri era stato già rilasciato: «Se avessimo trasmesso l’atto così com’era, sarebbe stato considerato nullo». Nordio ha quindi annunciato l’intenzione di chiedere chiarimenti alla Corte.
Scontro con le opposizioni: accuse e risposte
Il dibattito si è acceso quando Nordio ha ribadito che gli atti erano in lingua inglese e necessitavano di approfondimenti. Alle contestazioni dell’opposizione, in particolare del deputato Angelo Bonelli, il ministro ha risposto accusando i parlamentari di non aver letto correttamente la documentazione. Ha poi lanciato un messaggio diretto alle forze di minoranza: «Se pensate che questa vicenda ci freni nell’attuazione della riforma della giustizia, vi sbagliate. Anzi, ci ha compattato ulteriormente».
Piantedosi e il fronte della sicurezza
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha preso la parola per spiegare la gestione del caso Almasri sotto il profilo della sicurezza nazionale. Ha dichiarato che il generale della Rada, citato in alcune ricostruzioni, non è mai stato un interlocutore del governo italiano nella gestione dei flussi migratori.
Piantedosi ha ripercorso i movimenti di Almasri nei Paesi dell’area Schengen, evidenziando che il 13 gennaio era entrato in Germania, dove il 15 gennaio era stato sottoposto a un controllo senza che vi fosse un mandato di arresto in vigore. Il ministro ha elogiato l’efficienza della Polizia italiana che, nella notte del 18 gennaio, ha rapidamente eseguito l’arresto dopo il passaggio da nota blu a nota rossa.
Dopo la mancata convalida del fermo, Piantedosi ha spiegato che era evidente il rischio che Almasri rimanesse a lungo in Italia, una situazione considerata pericolosa per la sicurezza nazionale. Per questo motivo si è optato per il rimpatrio con un aereo di Stato: «Era una scelta necessaria per motivi di sicurezza e per la rilevanza strategica della vicenda».
Nessuna pressione indebita: il governo respinge le accuse
Piantedosi ha concluso la sua informativa smentendo categoricamente qualsiasi ipotesi di pressione o minaccia da parte di soggetti esterni durante la gestione del caso: «Il governo ha agito esclusivamente nell’interesse della sicurezza nazionale e continuerà a farlo».
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