Si definisce «hacker cattiva pentita». Quando ha iniziato negli anni Novanta, gli schermi erano a tubo catodico e lei aiutava qualche signora gelosa a sbirciare nel telefono del marito. Esperta di cyber intelligence da ventisei anni, Michaela Odderoli si occupa di spionaggio industriale. In passato è stata indagata, processata e poi assolta per aver bucato il sistema di sicurezza di due banche. «Dopo quel lavoro, iniziò a contattarmi chiunque avesse bisogno di un’hacker: divise, aziende, fino all’ultimo delinquente».
Molti giovani vengono notati così. Come il trentenne romano Andrea Stroppa, che cura gli affari in Italia del miliardario Elon Musk. In una lettera al Fatto Quotidiano scrisse: «Ho commesso dei reati e ne ho risposto di fronte al tribunale dei minori». A diciassette anni, Stroppa collaborava con il collettivo Anonymous Italia di “hacktivisti”, responsabili di attacchi informatici contro ministeri e forze dell’ordine.
«C’è stato un salto generazionale», spiega Odderoli, «prima nessuno divulgava e il sapere ti dava potere». Oggi tutto è accessibile online e i giovani iniziano guardando i tutorial su YouTube, dove le informazioni non sempre sono affidabili. C’è l’intelligenza artificiale, che ha semplificato la scrittura di codici. E i malintenzionati possono usare WormChatGtp, una versione illegale di ChatGtp disponibile sulla piattaforma Telegram. «Ti permette di scrivere malware e ransomware con grande facilità. Ma se non si ha un forte background, le scorciatoie fanno commettere errori», aggiunge. Quando si è hacker inesperti capita di lasciare tracce: «Ti senti invincibile, l’azzardo è sempre dietro l’angolo. E poi commetti una leggerezza».
È successo a un quindicenne di Cesena, indagato dopo che, dalla bravata di eliminare le insufficienze prese tra i banchi, si è messo a dirottare petroliere e navi commerciali. I giornali hanno scritto che, dalla sua cameretta, fosse riuscito a bypassare la sicurezza del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Notizia smentita da una nota del governo, secondo cui si trattava di «un accesso non autorizzato al registro elettronico» gestito dalla scuola. «Sembrava capace di spostare le navi con il pensiero», scherza Odderoli, «in realtà entrava nel registro scolastico, che magari non aveva neanche un firewall».
Per i crimini informatici si può andare in galera, come accaduto a Carmelo Miano, 23 anni, siciliano, arrestato nella Capitale a ottobre su mandato della procura di Napoli. Aveva scardinato la cybersecurity di Ministero della Giustizia, Guardia di Finanza, Tim e Telespazio, per raccogliere informazioni su delle denunce per truffa a suo carico. Poi il ragazzo ha violato i profili dei pubblico ministeri titolari dell’inchiesta e la casella postale del procuratore capo di Napoli. Fino a impossessarsi di quarantasei password di altrettanti magistrati inquirenti, tra Firenze, Perugia e Torino. Miano si è fatto incastrare dopo aver visitato un sito pornografico. La polizia aveva installato delle microcamere nella sua casa mentre l’informatico era in vacanza.
«È facile finire sulla cattiva strada, soprattutto per gli adolescenti», spiega Alessandro Zanier, hacker della nazionale italiana TeamItaly, «perché non pensano alle conseguenze delle loro azioni, sentono di avere un potere mai provato prima». Classe 2004 di Udine, Zanier ha scelto un percorso virtuoso: «Nel 2021 ho partecipato alla CyberChallenge.IT», una competizione rivolta a scuole e università. «Ero in terza superiore e non andò bene, ma nell’ultima edizione sono arrivato in finale», prosegue lo studente, «l’idea è darti una scatola protetta dove allenarti, senza il timore di fare qualcosa di illegale». Qualche anno prima aveva partecipato Aldo Santo, ventisettenne calabrese esperto di sicurezza informatica: «Faccio divulgazione sui social, perché voglio condividere la mia passione. Non c’è nulla di misterioso, ma se non si conoscono, gli hacker sembrano maghi».
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