Di fronte al sisma che si sta registrando nel settore bancario e assicurativo, con scosse e novità di ogni genere i sismografi delle autorità di controllo e vigilanza restano immobili.
Alle offerte pubbliche di scambio di Unicredit su Banco Bpm e di Mps su Mediobanca, alla piattaforma Generali-Natixis, si aggiungono l’opa di Piazza Meda su Anima e quella di Banca Ifis su Illimity, nonché il recente ingresso azionario a Trieste della banca guidata da Andrea Orcel con funzione di ago della bilancia nella contesa tra la Milano di piazzetta Cuccia e la Roma del terzo polo bancario.
Esistono ancora i regolatori?
Sono ormai innumerevoli gli interrogativi che si pongono gli operatori a proposito di come andranno a finire queste battaglie. Ma tra i tanti quesiti cui una risposta la darà solamente il mercato, ne spunta uno sulla necessità di un confronto tra i vari organi di vigilanza: che fine hanno fatto il Cicr e il Comitato per le politiche macroprudenziali?
Sono organismi consultivi che, almeno a leggere gli archivi, non si riuniscono ufficialmente da anni o quanto meno non se ne dà notizia. Eppure servirebbero per avere una regia condivisa che per ora è in mano solo al governo di Giorgia Meloni. Anche il ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha notato che sul mercato «c’è confusione» e non lo ha fatto a caso.
Che cos’è il Cicr
Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) è un organismo presieduto dal ministro dell’Economia e delle Finanze al quale il Testo Unico Bancario del 1993 attribuisce compiti di alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio.
Esso interviene sulla regolamentazione dell’attività delle banche e degli intermediari finanziari, deliberando i criteri che regolano l’attività di vigilanza della Banca d’Italia, su proposta della Banca d’Italia stessa, e sulla trasparenza delle condizioni contenute nei contratti per servizi bancari e finanziari, ancora su proposta della Banca d’Italia d’intesa con la Consob.
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Negli anni passati, prima dell’euro, fu utilizzato dai partiti per le nomine all’interno delle banche pubbliche, pratica che fu cancellata con la loro privatizzazione e l’avvento del sistema delle banche centrali.
Il Comitato per le politiche macroprudenziali
Il Comitato per le politiche macroprudenziali è invece composto dal governatore della Banca d’Italia, che lo presiede, dal presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), dal presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) e dal presidente dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), in rappresentanza delle rispettive autorità; il direttore generale del Tesoro partecipa alle sedute senza diritto di voto.
Il Comitato è l’autorità indipendente designata per la conduzione delle politiche macroprudenziali in Italia, in virtù di una passata raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico, e contribuisce a salvaguardare il sistema finanziario italiano prevenendo o mitigando i rischi che possano comprometterne la stabilità.
Se si interpretano questi comitati in un’ottica difensiva si può ben dire che essi oggi non servano perché non siamo in presenza di una crisi finanziaria come ai tempi dello spread o del fallimento di Lehman Brothers. Ma ora c’è in ballo la ristrutturazione del sistema bancario italiano che gestisce oltre 5.000 miliardi di risparmi.
Come si può leggere nell’inchiesta di MF-Milano Finanza sull’ops che riguarda Mediobanca– Mps-Delfin-gruppo Caltagirone e Generali, di fronte ad operazioni destinate a cambiare la faccia della finanza italiana e che coinvolgono una buona fetta della capitalizzazione di Piazza Affari, uno scambio di opinioni tra personaggi autorevoli come il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, il presidente dell’Ivass Federico Signorini e il presidente della Consob Paolo Savona potrebbe essere utile.
Anche senza usare comitati, romperanno il silenzio e si vedranno? (riproduzione riservata)
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