Le nostre “incrociazioni” con Francesco Stella risalgono oramai al decennio scorso (per la precisione alla stagione teatrale 2012/2013), quando questa testata non esisteva ancora, ma questo significa veramente poco. Quello che conta è che da allora abbiamo sempre con molto piacere seguito la carriera di questo giovane attore/autore romano, con la passione della bicicletta e dotato di un coinvolgente ed empatico sorriso.
Di conseguenza l’invito ad assistere all’anteprima della sua nuova prova attoriale (proporsi in un monologo non è mai come stare sul palco con altri) ci ha fatto da una parte molto piacere, dall’altra ci ha molto incuriositi (come di dovere da parte di ogni giornalista teatrale che si rispetti). Porta in scena un suo testo, assistito dalla regia di Nicola Pistoia, questo ce lo aspettavamo, incentrato sul caporalato nelle campagne dell’Agro Pontino, spesso – purtroppo – alla ribalta della cronaca, ma non di quella della “terza pagina”. In precedenza lo stesso tema era stato oggetto di un podcast di 20 puntate nel 2022 (recuperabili in Rete). Inutile puntualizzare, ma lo facciamo ugualmente, che non si tratta di racconti di fantasia.
Si apre il sipario e facciamo l’immediata conoscenza del protagonista, Jasnoor, un giovane indiano che per motivi di sopravvivenza viene spedito dal padre in Italia dove troverà “facilmente” lavoro come bracciante agricolo, sarà ben pagato (1500/2000 euro al mese) e potrà “rapidamente” rientrare del debito contratto per tutta la “logistica” e “organizzazione” del suo trasferimento. Sceso dall’aereo il povero Jasnoor si renderà ben presto conto che la realtà è un’altra, visti i modi burberi di chi lo sta aspettando all’aeroporto e dal cattivo odore del furgoncino che lo porterà in quella che da quel momento sarà la sua nuova casa, un alloggio fatiscente da dividere con altri sei “poveri cristi” (cit.) come lui.
Al lavoro, i tanti campi coltivati della zona, si parlano principalmente tre lingue: l’italiano, con forte caratterizzazione romano/laziale, i proprietari; gli idiomi slavi, i “caporali”; i vari idiomi indiani, i braccianti, anche se sarebbe meglio definire tutte e tre le categorie/etnie con i propri nomi, ossia – nell’ordine – gli sfruttatori, gli aguzzini e gli schiavi. I proprietari terrieri, mettendo a sistema le “pratiche” dei loro predecessori, hanno ben presto dimenticato i nonni che nella prima parte del secolo scorso hanno dovuto abbandonare le famiglie e cercare fortuna altrove, trasformandosi, quando andava bene, in minatori sottopagati o altro tipo di maestranza di basso profilo, da tenere a lato delle società benestanti dell’epoca, esattamente come avviene oggi nella culla della civiltà (autoproclamata) del Mediterraneo. Anche il compenso dei tanti “indianini” è altamente e drammaticamente ridimensionato: meno di 500 euro al mese per 12/14 ore di lavoro durissimo, con la schiena piegata sui campi, a cui sottrare, ovviamente, le spese di alloggio, vitto, trasporti o altro.
Jasnoor, mente libera e intelligente, ha un solo modo per riuscire a sopravvivere: ispirarsi al saggio nonno, correre sulla sua bicicletta rosa da donna (che l’unico italiano generoso incontrato gli ha regalato) e magari riuscire a battere “Ferrari”, un altro bracciante, prendendogli la scia su qualche rettilineo, e tenersi scrupolosamente fuori dai guai. La sua resistenza trova conforto anche nel “kabaddi”, gioco nazionale indiano che ha sempre praticato e che assume la valenza di un cardiotonico naturale, utile per “non vedere” le mille sopraffazioni, ingiustizie, iniquità – del pubblico e del privato – che ne costellano la vita, giorno dopo giorno. Ma giorno dopo giorno riuscire a trovare un motivo per vivere diventa sempre più difficile.
Come da nostro costume, evitiamo di delineare il racconto fino alla fine, il pubblico vada a scoprire tutta la vicenda di Jasnoor e relative sfaccettature nei teatri dove, speriamo, “Uomini e caporali” sarà prossimamente in scena. Entrando in sala, suggeriamo di apprezzare la prova di attore (Francesco Stella sta facendo come un buon vino, con l’età prende sempre più consistenza), ma allo stesso tempo riservare parte della nostra attenzione all’indignazione per come esseri umani (fortunatamente nati in un luogo) si comportano con altri esseri umani (che per “colpa” sono nati altrove).
Potremmo usare altre decine e decine di parole per accentuare e stigmatizzare i comportamenti (altrui), ma servirebbe a qualcosa? Per considerarci persone civili, volendolo ovviamente fare, basterebbe mentalmente porsi dall’altra parte e riflettere almeno sui seguenti argomenti: “Ma se io fossi lui?”, “Se in quel campo ci lavorassi io?”, “se su quell’aereo ci fosse stata mio figlio?”. Il testo di Francesco Stella non ha sicuramente la pretesa di cambiare le teste delle persone, ma ci piace considerare che aiuti almeno a pensare e a riflettere. Siamo certi che anche senza averglielo chiesto, sarà d’accordo con noi.
ASCS
presenta
UOMINI O CAPORALI
di e con Francesco Stella
regia Nicola Pistoia
scena Francesco Montanaro
suono Francesco Stella
luci Nicola Pistoia e Francesco Stella
tecnico audio/luci Andrea Pelliccia
voce fuori campo Enrico Selleri
durata un atto unico di circa 80 minuti
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