I rapporti tra USA ed Europa sono freddi, nelle ultime settimane. Freddi in senso letterale, poiché al centro di una delle tante discussioni tra le due sponde dell’Atlantico c’è la Groenlandia, terra verde di nome ma in realtà regno di ghiaccio. I fatti sono noti: in più occasioni il presidente Donald Trump ha palesato un grande interesse per acquisire la Groenlandia che, dal 982 d.C., è possedimento danese. Le reazioni alle sparate a stelle e strisce sono state, manco a dirlo, abbastanza fredde, tanto in Danimarca quanto nella stessa Groenlandia. Sembra finita qui, se non fosse che la situazione della Groenlandia vada inserita in scenari più ampi.
In primo luogo, la questione della “Terra Verde” si inserisce in un contesto strategico e difensivo per gli americani, non soltanto per la posizione strategica che l’isola ricopre e che da sempre l’ha resa obiettivo delle mire americane; non è la prima volta, infatti, che gli “yankee” cercano di metterci le mani sopra, avendo offerto 100milioni di dollari ai danesi ai tempi della guerra fredda. Ma la strategia non è soltanto geografica, lo è anche per le ricchezze minerarie che si celano sotto i ghiacci: secondo stime recenti del servizio geologico di Danimarca e Groenlandia nel sottosuolo si troverebbero 6 milioni di tonnellate di risorse naturali di grafite, 36,1 milioni di tonnellate di terre rare, 235 mila tonnellate di litio e 106 mila tonnellate di rame.
Quantitativi non indifferenti che gli USA e le loro industrie, Tesla su tutte, non si possono permettere di perdere, se è vero che già navi russe e cinesi incrociano nelle acque di Groenlandia. Il presidente Trump è fiducioso che i 55mila abitanti della Groenlandia sceglieranno di aderire agli USA e che la Danimarca, leggi l’Europa, non si opporrà, perché sarebbe una scelta compiuta per “difendere il mondo libero”. In realtà la difesa del mondo libero, buttata lì non tanto a caso, implica che, ancora una volta, gli americani sono gli unici a poter difendere l’occidente, che l’Europa da sola non sarebbe in grado e che, quindi, è ben chiaro chi comanda.
Da qui all’annessione della Groenlandia la strada è ancora lunga; prima di tutto dovrà esserci un referendum per concludere il complicato percorso verso l’indipendenza, intrapreso da tempo e non ancora definito, che si terrà sicuramente dopo le elezioni politiche della prossima primavera; poi i due parlamenti, groenlandese e danese, dovranno pronunciarsi, anche se l’esito appare scontato, visto che la maggioranza parlamentare e cospicui settori della minoranza danesi non sono contrari all’indipendenza. A questo punto entreranno in gioco fattori economici: attualmente il 50% del bilancio della Groenlandia viene dalla madrepatria sotto forma di contributi a fondo perduto. In caso di indipendenza, tali sovvenzioni spariranno, quindi i groenlandesi dovranno porsi il problema della sopravvivenza: unirsi all’UE, perché e con quali garanzie, è il primo tema; cedere a Trump è il secondo. Perché la Danimarca cadesse dalla parte dell’UE, però, ci vorrebbe la capacità e il desiderio di tenere testa a Trump: l’Europa può essere unita da questo punto di vista? O Trump può incominciare a parlare con Orban, con Meloni, con la Polonia, facendo come se Bruxelles non esistesse? E Bruxelles, sarebbe in grado di impedirglielo, visto che al momento non appare vicina neppure l’attivazione di una Commissione Europea che in ogni caso, lo sappiamo, in materia di politica estera e difesa conta veramente poco?
Tutte domande a cui non c’è risposta, se non la certezza che l’alternativa è un’Europa più forte o nessuna Europa. Un’Europa più forte anche sotto il profilo tecnologico; oltre al divide et impera, infatti, Trump può contare su forniture fondamentali per l’Europa, da Starlink alle dotazioni militari. E se la tecnologia USA non sparisse, ma diventasse improvvisamente molto, molto più cara?
Senza tenere conto di un dettaglio: i groenlandesi sono circa 55mila. Offrire 350mila dollari a ciascuna famiglia per accettare l’annessione agli USA costerebbe agli americani molto, molto meno che una guerra, ancorché improbabile, per l’annessione e, soprattutto, molto meno del valore delle risorse minerarie che acquisirebbe.
A Bruxelles, però, paiono avere perso il pallottoliere. E forse anche l’atlante.
Alberto Manzo
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