Dialoghi sgradevoli – Centro Studi La Runa

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La storia dei libri è ben strana. Quella del volume di Gianfranco de Turris che stiamo per discutere, Dialoghi sgradevoli. Candide conversazioni tra Simplicio e Filarete per servire la storia italiana del XXI secolo, lo mostra in tutta evidenza. La cartella contenente il testo sparì dal PC dell’autore, per riapparire all’inizio dell’estate del 2023. Un segno del destino! De Turris si rese immediatamente conto che le tematiche in esso dibattute, presentavano ancora una straordinaria attualità, vero e proprio controcanto ai “tic e tabù” culturali e politici del nostro tempo. Da tale constatazione l’idea di riproporlo, subito accolta da Idrovolante Edizioni che, da poco, ha mandato in libreria Dialoghi sgradevoli che raccoglie diciassette dialoghi, originariamente usciti su Il Borghese e Area tra il 2008 e il 2013, ora aggiornati da ulteriori informazioni. (per ordini: idrovolante.edizioni@gmail.com, pp. 219, euro 17,00). Il libro è aperto dalla contestualizzante Presentazione di Guido Andrea Pautasso.

Va innanzitutto rilevato che, in queste pagine, de Turris mostra la propria versatilità intellettuale: fin dagli esordi della sua carriera di giornalista e saggista evidenziò un interesse non comune tanto per la cultura alta (è curatore dell’opera omnia di Julius Evola), quanto per la cultura sbrigativamente definita bassa (fumetto e fantascienza). Tale significativa duplicità della sua formazione la si evince anche nei Dialoghi. La scelta della modalità dialogica, strumento platonicamente finalizzato alla constatazione della “verità dei fatti”, mostra, a un tempo, la natura aperta al confronto intellettuale del nostro studioso, quanto  la verve polemica che non gli è mai mancata. Deuteragonisti sono il dogmatico Simplicio, personaggio del galileiano Dialogo sovra i due massimi sistemi del mondo, e Filarete, amante della virtù e del coraggio, alter ego dell’autore. Il dibattito tra i due si sviluppa, sotto il profilo letterario, in modo fluido. Si tratta di “un botta e  risposta” tra posizioni diverse nel quale viene corretto l’errore ermeneutico di Simplicio, legato alla vulgata del “politicamente corretto”, dominante la scena pubblica da qualche decennio.

Al centro della discussione vi sono politici, statisti, italiani e stranieri, giornalisti e intellettuali, di destra e di sinistra. Alcuni di loro sono ancora su piazza, altri scomparsi. Al termine della lettura si possono trarre due conclusioni: da un lato si comprende, con Tomasi di Lampedusa, che: «in questa nazione tutto cambia perché nulla cambi» (p. 23), dall’altro de Turris riesce a rafforzare nel lettore la vis intellettuale atta a spronarlo alla battaglia culturale contro gli idola della società liquida. Tra questi riveste un ruolo centrale il rifiuto della storia italiana ed europea, del nostro passato, atteggiamento messo alla berlina nel dialogo Della stele e della statua, scritto in occasione della restituzione della Venere di Cirene a Gheddafi e della stele di Axum all’Etiopia. Scelte scriteriate, dettate da mere ragioni di opportunismo politico da parte della “falsa destra” berlusconiana: «In tal modo la destra italica non avrebbe più dovuto sentire le accuse di “fascismo” e di “colonialismo”» (p. 33). Le restituzioni rappresentarono il preludio dell’ideologia Woke, mirata a cancellare qualsivoglia identità storica e tradizionale dell’ “uomo europeo”, ritenuto colpevole di misfatti inenarrabili. La “destra finiana”, rileva Filarete-de Turris nel dialogo successivo, scelse scientemente di rinnegare se stessa, la propria storia, mostrandosi: «Perfettamente in linea con il “politicamente corretto”» (p. 36). Tale scelta tagliò le gambe a quanti avrebbero voluto pervenire a giudizi documentati, oggettivi, sia sul fascismo che sul colonialismo, senza dover assistere a sterili ritrattazioni acritiche (da“Mussolini più grande statista del secolo XX” all’accettazione, di fatto, dell’antifascismo). In realtà, da allora, la “guerra civile” strisciante è rimasta tale in Italia e non si è prodotta alcuna “pacificazione nazionale”.

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In Della libertà di espressione Filarete rileva come tutto ciò abbia notevolmente ridotto la libertà di espressione, sancita a parole dalla nostra Costituzione. Chi sostenga opinioni contrarie a quelle proprie della casta che regge il potere culturale corre il rischio di sottoporsi: «al linciaggio mediatico, di essere colpito da sanzioni amministrative e penali» (p. 81), di essere ridotto alla marginalizzazione sociale. Bernard-Henri Lévy giunse a chiedere, in un articolo apparso sul Corriere della Sera nel 2008, una legge che proibisse il “negazionismo storico”. Nota, di contro, de Turris, che alle tesi “negazioniste” si sarebbe dovuto rispondere semplicemente documentando posizioni contrarie e non imponendo, sic et simpliciter, la tacitazione dell’avversario. Infatti: «per censurabili che possano essere delle affermazioni, tali rimangono» (p. 85). Nessuno ricorda, tra le altre cose, che l’antisemitismo fu praticato anche dai sovietici e si è trasformato oggi in alibi atto a silenziare chi si opponga al senso comune dominante. Un vero “democratico” dovrebbe tollerare le posizioni diverse, non colpirle per via legale. La società occidentale contemporanea è eterodiretta da una élite progressista che ha imposto: «un pazzesco conformismo» (p. 95), attraverso l’esercizio di un’egemonia culturale liberticida che ha, nella “polizia verbale”, il proprio strumento principe.

La democrazia liberale, come sostenne il filosofo Andrea Emo, ha assunto tratto epidemico, i suoi istituti si sovrappongono alla sovranità e alla cultura dei popoli. La “guerra delle parole” ha stravolto il nostro linguaggio: negro (da niger) è diventato “nero”, miope “visivamente svantaggiato”, portatore di handicap “diversamente abile” e guai a chi si sottrae a quella che Guy Hermet chiamò la “lingua macedonia”. Noi tutti, inoltre, viviamo “sotto controllo”, perfino sotto il profilo fiscale. Ogni atto della nostra vita è sorvegliato dall’orwelliano “Grande fratello”. De Turris, pertanto, si confronta in presa diretta con la realtà esistenziale contemporanea: discute i rapporti uomo-donna, la pervasività di Internet e della “religione dei diritti” nella quale il marxismo, sconfitto dalla storia, ha trasfuso il proprio afflato rivoluzionario, divenendo quinta colonna della Forma-Capitale.

Le responsabilità della sinistra e della “falsa destra” sono poste sotto accusa dall’analisi dell’autore. I suoi dialoghi sono sgradevoli e candidi al medesimo tempo. Indicano la via d’uscita dallo stato presente delle cose, individuata in una diversa visione del mondo, quella tradizionale. L’intera vita e le opere di de Turris, intellettuale che non è mai venuto a compromesso con il potere, a tale idee sono state dedicate. Per questo, egli può parlare candidamente ai lettori, da innocente, da uomo che non si è sporcato le mani con i falsi dèi della società liquida.



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