Pericolo stangata, l’Europa è in ansia. Dalle auto alla moda ecco cosa rischiamo

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«Chi siete? Cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino!». Col suo carico di dazi del 25% appena applicati a Canada e Messico, del 10% (per ora) alla Cina e quelli con cui colpirà l’Europa,

Trump il Gabelliere ci riporta a Non ci resta che piangere. Con quel suo Nuovo Rinascimento che poggia sull’idea di riportare le lancette della storia al 1912, l’ultimo anno in cui tutte le entrate del governo Usa erano garantite dalle tariffe doganali. L’assunto è tanto anacronistico quanto sbagliato, almeno per due motivi. Il primo è che la Grande Guerra venne finanziata per buona parte con le risorse messe a disposizione dalla Federal Reserve, creata nel ’13, e dalle imposte sul reddito introdotte nello stesso anno. Un salto epocale rispetto al precedente regime protezionistico. Il secondo motivo è che i dazi funzionavano oltre 100 anni fa, quando la spesa pubblica ero lo 0,05% di quella attuale. Elon Musk intende usare il napalm per disboscare la giungla delle uscite federali (tagli nell’ordine dei duemila miliardi di dollari, pari all’intero disavanzo del 2024): resta da vedere se e come se ci riuscirà.

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Ma in un mondo così interconnesso, la fortezza impenetrabile non esiste. Il Wall Street Journal, non a caso, ha dedicato ieri un acuminato editoriale sulla «più stupida guerra commerciale della storia», in cui si sottolinea come il Tycoon sia convinto «che gli Stati Uniti non debbano importare nulla, che l’America possa essere un’economia perfettamente chiusa che produce tutto in casa. Questo si chiama autarchia e non è il mondo in cui viviamo». Solo con Canada, Messico e Cina gli Stati Uniti fanno infatti affari per un controvalore di 1.600 miliardi di dollari. E, come ricorda il WSJ, «nel 2024 il Canada ha fornito quasi il 13% delle importazioni statunitensi di ricambi auto e il Messico quasi il 42%». Con benefici per l’economia Usa: oltre 800 miliardi garantiti dall’automotive; 9,7 milioni di posti di lavoro garantiti sul suolo statunitense.

Queste poche cifre dimostrano che i rapporti commerciali oltre confine fortificano l’economia interna. Ma il rischio è che a dominare la scena saranno le rappresaglie commerciali: il Canada ha già minacciato dazi del 100% su Tesla e su tutto il vino, la birra e gli alcolici made in Usa. E così farà l’Europa, come già successo quando il Tycoon iniziò a colpire in prima battuta alluminio e acciaio, perché sotto lo schiaffo dei dazi finiranno interi comparti in cui l’export è tra le voci principali di bilancio. Alcuni calcoli misurano in oltre 500 miliardi le perdite che potrebbero essere provocate in caso di tariffe aggiuntive del 10%. E anche l’Italia, che nel primo semestre 2024 ha esportato negli Usa merci per un controvalore di 38,82 miliardi, ne patirebbe le conseguenze: tra i più colpiti ci sarebbero il settore della meccanica, la chimica e la farmaceutica. Per non parlare della moda e dell’agroalimentare che già devono fare i conti con l’aggressività protezionistica Usa. Di recente, il Fondo monetario internazionale ha stimato che tariffe del 10% ridurrebbero quest’anno dell’1% la crescita sia in America sia nel Vecchio continente. Confartigianato paventa un calo dell’export tricolore di 11 miliardi, ma non tutti concordano con il pericolo di un impatto devastante. Uno studio dell’Ocse prevede per esempio che con dazi del 10% il made in Italy in America subirebbe un contraccolpo di circa 3,5 miliardi su 67; se invece fossero del 20% il calo atteso sarebbe tra il 10 e i 12 miliardi. Auspicabile quindi che con Trump si riesca a raggiungere un compromesso, sulla falsariga di quello sottoscritto nel 2018 da Bruxelles che era incardinato su maggiori acquisti di gas naturale liquefatto e soia dagli States.

Davanti all’Ue si presenta comunque un’occasione forse unica per modificare il proprio modello di sviluppo, facendo anche leva sul

mercato interno. È ciò che ha promesso la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Speriamo sia la volta buona. Per non dover poi piangere le solite lacrime da coccodrillo al casello daziario del Gabelliere Trump.



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