Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 3436/2025, udienza del 17 gennaio 2025, ha chiarito le conseguenze dipendenti dall’omessa compilazione, ad opera del richiedente il reddito di cittadinanza, del Quadro F del modulo predisposto dall’INPS ove va attestata la sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio.
In fatto
Il Procuratore generale presso la Corte territoriale chiede l’annullamento della sentenza del 10 giugno 2024 della Corte medesima che ha confermato l’assoluzione, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., di BD dai reati di cui agli artt. 7 d.l. n. 4 del 2019 e 316-ter cod. pen., perché il fatto non costituisce reato.
Secondo la contestazione BD, per beneficiare del reddito di cittadinanza, aveva omesso di dichiarare nelle dichiarazioni sostitutive del 7 dicembre 2020 e 16 giugno 2021 di essere sottoposto, dal 28 luglio 2020 a misura cautelare in carcere, sostituita il 10 febbraio 2021 con la misura degli arresti domiciliari e dal 16 giugno 2021 a detenzione in carcere a seguito di condanna irrevocabile, così conseguendo, indebitamente, il reddito di cittadinanza.
Il ricorrente deduce che la Corte di appello, nella parte in cui ha ritenuto insussistente “l’elemento soggettivo doloso compiutamente configurato, mancando i connotati di una volontà compiutamente formata” ha violato l’art. 5 cod. pen. a mente del quale l’ignoranza penale non scusa, salvo che sia inevitabile.
La Corte di merito ha errato nella parte in cui ha ritenuto che la volontà del dichiarante non si fosse compiutamente formata trascurando che le dichiarazioni pre-compilate, dallo stesso sottoscritte, erano formulate in termini chiari con riferimento alle condizioni soggettive del dichiarante, previsioni che integrano la struttura del precetto penale di cui agli artt. 2 e 7 del d. I. n. 4 del 2019.
La Corte di merito ha trascurato la valutazione della modulistica prodotta in appello soffermandosi esclusivamente sul contenuto di quella in atti.
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza con annullamento con rinvio in relazione ai reati ascritti a BD.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso è inammissibile.
Non possono ritenersi controversi i principi richiamati dal Procuratore generale ricorrente con ampia citazione delle sentenze della S.C. che ricostruiscono la struttura della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 2 e 7 del d.l. n. 4 del 2019 e della sua natura penale.
Si tratta, infatti di fattispecie “incomplete” in cui l’una contiene il precetto (cioè, l’obbligo di menzionare l’assenza del requisito ostativo per l’ammissione alla misura di sostegno) e l’altra la sanzione.
La giurisprudenza di legittimità, sia pure con riferimento ad altro beneficio a favore di categorie di cittadini in condizioni economiche svantaggiate (il patrocinio a spese dello Stato) ha precisato che deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art. 47, cod. pen., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015).
Cionondimeno, nel caso in esame, la decisione dei giudici del merito è fondata sulla mancanza in atti della “dichiarazione sottoscritta dal richiedente” contenente dati falsi ovvero incompleti: nella documentazione acquisita, infatti, non è contenuto il cd. Quadro F del modulo predisposto dall’INPS che avrebbe dovuto contenere le dichiarazioni del richiedente in merito alla sussistenza delle condizioni per l’ammissione, carenza che non può essere supplita dalla produzione del modulo scaricato dal sito INPS che il Procuratore generale aveva allegato a sostegno dell’appello.
Oggetto della condotta sanzionata dall’art. 7, comma 1, d.l. n. 4, cit., sono, infatti, i dati essenziali alla erogazione stessa del beneficio, dati che sotto il profilo strutturale e funzionale concorrono a delineare la condotta del reato e che devono essere stati comprovati attraverso la dichiarazione sottoscritta dal richiedente.
La descritta carenza, che non è di poco rilievo poiché la sottoscrizione della dichiarazione contenenti dati falsi concorre a delineare la condotta materiale, non può essere supplita dal rilievo generale secondo cui, rispetto alle misure di sostegno “il dato caratterizzante la tipicità del fatto penalmente rilevante è rappresentato dalla violazione del patto di leale collaborazione tra cittadini e Stato, in funzione antielusiva delle regole e dei limiti entro i quali si ritengono meritevoli di sostegno e aiuto specifiche categorie di appartenenti alla comunità“. L’argomentazione, mutuata da una sentenza della Suprema Corte che attribuiva rilievo, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 7, d.l. n. 4 cit., alle omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l’ammissione al beneficio, è stata smentita dalle Sezioni unite penali secondo cui tale “dovere di lealtà” sembra concepito nella previsione della misura di sostegno quale corrispettivo di un beneficio “graziosamente” concesso al cittadino, piuttosto che in forza di un diritto espressamente riconosciuto per legge sulla base di dati oggettivi e verificabili, laddove ciò che giustifica la sanzione penale non è la violazione di un generico “dovere di lealtà”, bensì il fatto che il mendacio possa ledere (o effettivamente leda) gli interessi pubblici alla cui tutela il beneficio economico è finalizzato (Sez. U , n. 49686 del 13/07/2023).
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