Detenuto per omicidio potrà lavorare al canile, dopo dieci anni ottiene la semilibertà

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Viterbo – Imputato un albanese condannato a 17 anni per un delitto commesso nel 2001, estradato in Italia nel 2014 – La difesa: “Un esempio di carcere che funziona”

di Silvana Cortignani

Viterbo – Detenuto per omicidio potrà lavorare al canile, dopo dieci anni ottiene la semilibertà.

È il caso di un detenuto per omicidio del Nicandro Izzo di Viterbo, cui è stata appena concessa dal tribunale di sorveglianza di Roma la semilibertà perché possa continuare il lavoro nel canile cui è stato ammesso nel 2023. 

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Il carcere di Mammagialla


Ha ottenuto la semilibertà dopo dieci anni e mezzo di reclusione nel carcere di Mammagialla un detenuto 42enne di nazionalità albanese arrestato dalla polizia a Tirana nel 2014 ed estradato in Italia dove doveva scontare una condanna definitiva a 16 anni e 9 mesi di carcere inflittagli il 2 novembre 2006 dalla corte di assise del tribunale di Padova per un omicidio commesso nel nostro paese nel 2001, quando aveva 19 anni. 

Il mandato di arresto era stato spiccato sette anni prima, anche per il reato di ricettazione, il 21 novembre 2007, dalla procura della repubblica di Padova. L’imputato si era però nel frattempo reso uccel di bosco, per cui nei suoi confronti è stato allora spiccato un ordine di cattura internazionale.

A Mammagialla l’albanese è giunto il 21 maggio 2014, tredici anni dopo il delitto, commesso nel 2001. Il tribunale di sorveglianza di Roma, che lo scorso 23 gennaio si era riservato, ha accolto il 28 gennaio la richiesta di concesssione della semilibertà dei difensori Marco Valerio Mazzatosta e Luca Ragonesi del foro di Viterbo.

“Il nostro assistito – spiega l’avvocato Luca Ragonesi – ha fatto un percorso esemplare, la cui conclusione con la concessione della semilibertà, quindi la possibilità di lavorare, istruirsi, fare attività fuori dell’istituto di giorno, rientrando in carcere la notte, è una prova ddi giustizia che funziona e assolve al suo compito di reinserire nella società chi ha scontato la sua pena, dimostrando, come nel nostro caso, di avere preso coscienza della gravità del reato commesso, ravvedendosi e riconoscendo il proprio errore”.


Luca Ragonesi

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L’omicidio commesso in Italia dal 42enne è avvenuto a Padova tra la mezzanotte del 30 aprile e l’alba del primo maggio 2001.

Assieme a un connazionale condannato a 22 anni di carcere in Svizzera, ha sparato e ucciso un altro albanese, un 26enne, a bordo di una Fiat Uno rubata. La coppia di complici avrebbe convinto la vittima a salire sull’auto rubata e a guidarla senza una destinazione specifica, costringendolo a fermarsi durante il tragitto e sparandogli due colpi alla testa con una pistola. 

“Non è facile accedere al regime di semilibertà, misura alternativa alla detenzione che in questo caso arriva dopo dieci anni e mezzo, a fronte di un fine pena previsto il 28 maggio 2028. A Viterbo, ad esempio, negli ultimi anni almeno, non risulta sia stata concessa. Qui dobbiamo ringraziare anche i volontari del Gavac, che durante questi anni si sono adoperati per il nostro assistitto”, prosegue Ragonesi.

“L’istanza è ammissibile – si legge nella sentenza – poiché risultano espiati oltre due terzi della pena e non vi sono elementi sintomatici di collegamento con la criminalità organizzata, atteso che i reati non furono commessi in tale contesto e la competente questura non ha fornito utili informazioni in tal senso nel procedimento instaurato per la concessione del primo
permesso premio”.

E ancora: “Dopo un lungo e proficuo percorso trattamentale (con positiva fruizione delle opportunità offertegli in ambito scolastico, lavorativo e culturale), sostenuto anche da consulenze psicologiche, il detenuto ha iniziato a fruire di permessi premio nel luglio 2022. Nell’aprile 2023 egli è stato poi ammesso al lavoro all’esterno e tuttora svolge attività lavorativa esterna alle dipendenze di una cooperativa che gestisce un canile”.

“Il reato – sottolinea il tribunale di sorveglianza – è stato commesso all’età di diciannove anni in danno di un connazionale, in un contesto di spaccio di stupefacenti. L’esperto psicologo evidenzia che il detenuto ha compiuto un serio percorso di rivisitazione critica dell’agito deviante, rispetto al quale egli esprime profondo pentimento, forte autocritica e desiderio di riscatto”.

“L’ormai consolidata sperimentazione esterna, la sua profonda consapevolezza della gravità del reato commesso e la
riscontrata assenza di istanze aggressive ed antisociali consentono di ritenere sussistenti tutte le condizioni necessarie al suo progressivo reinserimento sociale. che del resto è già da tempo in atto con modalità molto simili a quelle del beneficio oggi richiesto. Va pertanto disposta l’ammissione alla semilibertà per continuare a svolgere l’attività di addetto al canile dove lavora”. 

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Silvana Cortignani

1 febbraio, 2025





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