Adista News – I primi e gli ultimi. Il dio tribale di Trump (e di Meloni)

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Adista Segni Nuovi
n° 5 del 08/02/2025

Abbiamo sentito il nuovo Imperatore (non del mondo, ma dell’Occidente) attribuire all’intervento divino il provvidenziale evento della sua mancata uccisione da parte dell’attentatore che lo prese di mira in Pennsylvania il 14 luglio scorso. Questa autoinvestitura a uomo della Provvidenza da parte di Donald Trump, che si sente predestinato a grandi imprese salvifiche per il suo popolo, per noi italiani non è una novità. Esattamente un secolo fa, noi l’uomo della Provvidenza l’abbiamo già avuto: e sappiamo con quali nefaste conseguenze.

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Ecco perché è importante che riflettiamo ancora su questa nefanda consuetudine, perseguita da troppi uomini e donne di potere, di tirare in ballo la religione per dotarsi di un’investitura sovrumana, ergendosi nello stesso tempo a difensori della (loro) religione e dei suoi intangibili valori. (Vedi, per l’Italia, la “donna-madre-cristiana” Giorgia Meloni.) Anche se siamo già nel 2025, non é solo Trump infatti a usare il sacro per fini di potere: la commistione fra religione e potere, tre secoli abbondanti dopo la nascita dell’Illuminismo, è ancora tremendamente diffusa e praticata nel mondo. Basta citare gli integralisti islamici, il fondamentalismo della destra ipersionista israeliana, l’alleanza fra il trono e l’altare in Russia, la pervasività dell’Islam nello stato iraniano e nel regime talebano, il suprematismo indù che sorregge il potere di Modi in India, il nazionalismo cristiano dell’ungherese Orban e del cattolico polacco Morawiecki favorevole alla pena di morte.

Dovremmo essere sconcertati, in quest’epoca supertecnologica (ma solo in minima parte secolarizzata), dalla sopravvivenza di questo uso della religione anche in Occidente, dove sovranisti e nazionalisti si professano impunemente e impudicamente difensori del cristianesimo (e chi gliel’ha mai chiesto?), quando in realtà sono soltanto retrogradi nostalgici della cristianità, cioè di un modello sociale e istituzionale pervaso da linguaggi e simbologie religiose che ormai hanno fatto il loro tempo. Non dovremmo essere da tempo entrati nell’era irreversibile della laicità dello Stato e del pluralismo sia culturale che religioso (come anche non religioso)? Ma non è ancora così. Guardiamo intanto a Trump e alla tronfia superbia con la quale si gloria di essere scampato all’attentato per volontà divina. Non scandalizziamoci. Negli USA è la stessa Costituzione a collocare il teismo (non il cristianesimo a dir il vero) alla base dell’edificio sociale e statale e a fondamento della legislazione. Che il Dio in questione sia quello cristiano è dato erroneamente per scontato (in quanto il presidente giura sulla Bibbia): a essere precisi, dietro il Dio protestante dei Padri Pellegrini dobbiamo riconoscere l’ombra del Dio dei Massoni, veri artefici della statualità americana. In un modo o nell’altro, è sempre in nome e per conto di Dio che anche in America il potere politico celebra se stesso: per non dire del potere del dollaro, arma micidiale del dominio quasi universale dell’ economia planetaria, che esibisce con assoluta improntitudine il motto (che a me pare del tutto blasfemo) “in God We Trust”.

Ma di quale Dio parla in realtà Trump quando si sente investito della missione di fare gli Usa “great again”? Di un Dio cinico e feroce, o forse soltanto cieco, che ha avuto la prontezza e la delicatezza – secondo lui – di salvarlo da quella pallottola ma non ha avuto la gentilezza di preservate 20.000 bambini di Gaza dai missili e dalle bombe di Israele. Per non dire delle stragi in Ucraina e nelle cento guerre dimenticate del mondo, per non citare le infinite sofferenze di cui gronda l’umanità.

Possiamo definirlo il Dio di Trump? Sì, si chiama Dio tribale (o nazionale, è la stessa cosa, in proporzione). Lo stesso Dio tribale che il nostro uomo della Provvidenza chiamò dalla propria parte quando inventò l’ipocrita parola d’ordine italo-cattolica “Dio, Patria, Famiglia”: lui, l’ateo che con il Concordato del ’29 si comprò l’interessata e calcolata acquiescenza della Chiesa Cattolica al regime fascista e alle sue sciagurate imprese. Genialmente perversa l’astuzia di Mussolini, che riesumò ancestrali, inconsce memorie collettive, per legare il termine Dio alle parole Patria e Famiglia: Patria per dire nazione (cioè per dare solenne consacrazione all’insieme dei nati in questo territorio), Famiglia per evocare come i latini la devozione ai Lari protettori del clan (cioè, appunto, della Tribù). Ma non possiamo dimenticarlo: il Dio tribale è stato inventato per proteggere la comunità di sangue: è questo che legittima ed eccita – col fanatismo religioso – anche la xenofobia, l’odio per gli stranieri specialmente se migranti, il suprematismo razziale. Eccoci serviti: quello di Trump (come quello di Meloni) é ancora il dio tribale arcaico che non ha nulla a che fare con il Dio di Gesù di Nazareth, anche se lo sprovveduto e poco esperto di vangelo Salvini agita pateticamente nei suoi comizi Bibbia e rosario.

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Un Dio tribale, quello di Trump, che però la vescova della Chiesa episcopale di Washington Mariann Budd ha sconfessato davanti al neopresidente investito di un potere immenso appena 24 ore prima, contrapponendogli il Dio di Gesù di Nazareth per nulla disponibile a benedire le brutali politiche xenofobe e anti lgbt rese subito operative da Trump. Un doveroso atto di chiarezza da parte della vescova, non un clamoroso e temerario atto di coraggio come molti hanno scritto: il minimo sindacale che si richiede all’autorità di una Chiesa cristiana e che meriterebbe di essere imitato dai tanti vescovi cattolici italiani.

Ovviamente il tribalista Donald ha dichiarato sgradevole e poco rispettosa questa sconfessione delle sue politiche da parte della Dunne. Che altro ci si poteva aspettare? Ma noi sappiamo per certo che la vescova di Washington non tacerà certo nei giorni a venire, come non taceranno coloro che, anche negli Usa (e sono molti), conoscono la differenza fra ogni Dio nazionale e nazionalista e il Dio di Gesù.

Ecco perché, in questo periodo così critico è travagliato della storia europea, con il presidente USA che farà di tutto per disgregare l’Unione, noi europei abbiamo qualcosa da rivendicare e da difendere con orgoglio: la laicità dello Stato. Mentre gli USA persistono a considerarsi (come del resto Israele, l’Iran, l’Afghanistan, insieme con tutti gli Stati confessionali) la nazione eletta da Dio che abita nella (nuova) Terra Promessa, noi europei ci siamo da tempo svincolati dalla superstizione del dio nazional-tribale, per assumerci la responsabilità di gestire il nostro presente e progettare il nostro futuro senza ricorrere ai vincoli di una religione di Stato, riconoscendo invece la superiorità dello Stato laico come garanzia del pluralismo in ambito non solo culturale ma anche religioso.

E possiamo perciò a ragione affermare che, benché più forti e più ricchi, sotto questo profilo gli USA, con la loro pervasiva, accecante e prepotente influenza delle confessioni cristiane fondamentaliste, sono ancora molto arretrati rispetto a noi. E possiamo affermare che Trump, autoinvestendosi di un mandato divino, riporta gli americani alle mitologie delle più arcaiche monarchie, secoli e millenni prima di Cristo. Ugualmente retrograda è dunque la nostra premier che, dall’angolino in cui l’hanno relegata insieme a Milei nella cerimonia dell’investitura di Trump, si spella le mani per applaudire (credendo di difendere i valori della cristianità) quando il tycoon-imperatore circondato dai super ricchi della terra fa i suoi beceri proclami antimigranti e anti-lgbt.

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L’americana più moderna si è dimostrata la vescova che non ha avuto soggezione dell’Imperatore muskizzato e ha ricordato che quello di Gesù di Nazareth non è un primitivo dio tribale, ma esercita anzi la sua preferenza per i vinti della terra di ogni etnia e per coloro che vivono con coraggio la propria diversità rispetto agli stantii stereotipi sessuali di una religiosità arcaica e repressiva.

Teniamocela perciò cara, e con orgoglio, e difendiamola, la laicità della concezione europea dello Stato e quella (è il caso di dirlo, per noi sacrosanta) della nostra Costituzione. 

Gilberto Squizzato è regista televisivo, saggista, da anni teorico di una fede “laica” e oltre le religioni. Tra l’altro, ha pubblicato “Il miracolo superfluo. Il Dio che non è ‘Dio’” e “Se il cielo adesso è vuoto. È possibile credere in Gesù nell’età post-religiosa?” 

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*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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