Il settore spaziale europeo, e in particolare italiano, sta soffrendo a causa del predominio di SpaceX, che ha messo in evidenza il ritardo tecnologico in ambiti chiave come i lanciatori e le telecomunicazioni. In Italia, la questione Starlink ha scatenato un dibattito sulla mancanza di una politica spaziale coerente. Per competere con attori globali come SpaceX, l’Europa e l’Italia devono rivedere le proprie politiche spaziali, favorendo un maggiore coinvolgimento del settore privato. L’analisi del generale Lucio Bianchi
31/01/2025
“Non ci hanno visto arrivare…”, la frase che un noto esponente politico proferì vincendo elezioni interne al proprio partito per descrivere, in maniera efficace, la scarsa capacità dell’establishment di leggere con chiarezza i segnali di cambiamento.
“Non lo abbiamo visto arrivare… Musk”, perché, in effetti, nessuno in Europa si è accorto del cambiamento epocale che il tycoon sudafricano ha portato nel mondo spaziale, relegando l’Europa (e non solo) a un ritardo tecnologico dell’ordine di cinque/dieci anni in due settori, veri motori della space economy, i lanciatori e le telecomunicazioni.
Ingiusto, però, addossare genericamente tutte le colpe di questa debacle all’Europa. Ricordo sempre, a me stesso per primo, che la competenza dell’Unione europea nel settore spazio è competenza condivisa, non esclusiva, per cui la Commissione, l’Esa e i vari organismi europei, fanno quello che le nazioni consentono/stabiliscono/autorizzano. E le nazioni europee, in termini di visione strategica e unitaria, in questi anni, non hanno assolutamente brillato. Se guardiamo in casa nostra scopriremo che anche l’Italia, tra i principali attori occidentali spaziali, nei settori in cui Elon Musk ha sbaragliato il campo, non ha mai mostrato grande lungimiranza. Marcello Spagnulo, nel suo articolo di gennaio su Airpress, ha rappresentato in maniera chiara e concisa la fallimentare politica spaziale italiana nel settore delle telecomunicazioni (partecipazioni a provider di servizi come Italsat, Eutelsat ceduta per incassare…) ma anche nella manifattura. Al momento della creazione di Thales (Alcatel) Alenia Space, la competenza manifatturiera nelle telecomunicazioni passò totalmente in mano francese, e solo grazie ai programmi militari (Sicral, capacità irrinunciabile in geostazionario, non sostituibile, ma certamente complementabile da soluzioni in LEO) l’industria nazionale ha potuto conservare una capacità tecnologica. Non deve quindi sorprendere che il progetto europeo IRIS2 sia sotto il controllo di francesi e tedeschi, quale ineluttabile conseguenza di scelte passate. L’altro importantissimo settore, quello dell’accesso alla spazio, vede in Italia la presenza di un gioiello di tecnologia come Avio S.p.A.. Anche in questo settore, la mancanza di visione strategica prolungata negli anni non solo ha lasciato questa azienda nelle mani di fondi americani (prima Carlyle poi Civen) ma l’ha posta a rischio di finire nelle mani dei francesi di Safran, principale competitor europeo.
C’è da dire che storicamente l’argomento spazio, non ha mai raccolto l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica nazionale, quest’ultima continuamente distratta e priva di una visione strategica. Ora che lo spazio ha raggiunto le prime pagine di giornali e telegiornali (in particolare in riferimento a Starlink), si fa comunque fatica a comprendere l’indirizzo nazionale, le priorità e le strategie.
La notizia di Bloomberg su Starlink per l’Italia, ha spiazzato un pò tutto il mondo spaziale nazionale. Il dibattito che ne è scaturito ha ridotto un’esigenza seria, meditata e strategica, come quella descritta dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, alla Camera nel question time di alcune settimane fa, come un rapporto di favori tra compari di militanza politica ed un argomento funzionale a scontri politici.
È noto che il settore delle comunicazioni (terrestri, subacquee e spaziali), da svariati anni stia osservando azioni di contrasto di varia natura, che richiedono l’intervento delle istituzioni civili e militari affinché attuino un’analisi delle minacce e definiscano una pianificazione e un’analisi di rischi e alternative, approfondita e lungimirante. Visto il forte coinvolgimento dell’opinione pubblica sulla questione, importante far notare che, già oggi, l’Italia, come molte altre nazioni anche Nato (compresi gli Usa), soddisfi alcune delle proprie esigenze di comunicazione globale con soluzioni commerciali (perché quindi scandalizzarsi per Starlink?). Ci si chiede, inoltre, quali considerazioni di politica spaziale abbiano reso necessaria l’identificazione di una nuova soluzione come quella che offre Starlink. Una soluzione urgente, forse temporanea (come gap filler?) oppure stabile (ove non si ritengano adeguati alle esigenze nazionali i progetti europei del Govsatcom e IRIS2, o il Mirror GovSatCom nazionale, avviato nel 2018 e scomparso dai radar)? Anche a questa domanda esiste una risposta plausibile: Starlink fornisce una soluzione immediatamente disponibile, unica nella sua rilevante dimensione, operativamente valida, adeguata, resiliente e difficilmente disturbabile/negabile da parte di eventuali avversari.
Il processo di acquisizione della capacità potrebbe seguire un processo diverso? Sarebbe interessante sapere se, ipotizzando che non sia solo l’Italia ad avere una esigenza globale, si sia valutato un approccio di carattere europeo visto che le Agenzie di difesa europee (come Eda e Occar) possono acquisire, per conto delle nazioni interessate, capacità commerciali; questo permetterebbe di aggregare la domanda, ottenere possibili riduzioni di costo (1,5 miliardi di euro per una soluzione gap filler sembra un po’ alto), forse spuntare da SpaceX un adattamento del servizio all’utente militare e, probabilmente, meglio salvaguardare i clienti dai potenziali “capricci” dell’uomo Musk (scenario da non sottovalutare, ma al quale io non credo). Oppure se si sia pensato di acquisire il servizio attraverso accordi di tipo Gov-to-Gov, e quindi con una garanzia di servizio/costo del governo Usa. Il dibattito che è seguito alla notizia di Bloomberg ha anche esposto una apparente assenza di coordinamento e di armonizzazione a livello di strategia nazionale (nonostante la presenza di un organismo come il Comint). Il recente Documento di programmazione pluriennale della Difesa (Dpp), ad esempio, non indica finanziamenti indirizzati a soluzioni di gap-filler (anche se non è obbligatorio che siano usati fondi difesa, in caso Starlink sia visto come elemento capace di soddisfare l’esigenza nazionale del “digital divide”), ma cita piuttosto una costellazione Satcom Leo per la Difesa (realmente fattibile?) senza meglio definirne tempi e costi.
Parimenti, i documenti di strategia della presidenza del Consiglio e dell’Asi non fanno riferimento a finanziamenti per costellazioni di telecomunicazioni a bassa latenza e solo il 26 dicembre 2024 il Comint, ha incaricato l’Agenzia spaziale italiana di elaborare uno studio per definire un livello di ambizione realistico, i costi e il percorso per la realizzazione di una costellazione satellitare nazionale in orbita bassa…
Tale richiesta sembra mostrare l’intenzione di seguire un processo logico, ma appare un pò tardiva. Tante domande sul presente, ma anche tante questioni aperte anche per il futuro. Mentre in Italia e in Europa si discute e si analizza, negli Usa, SpaceX, stimolata dal DoD sta, già da alcuni anni, lavorando ad ulteriori obiettivi strategici. SpaceX sta infatti creando una nuova unità aziendale per la sicurezza nazionale chiamata Starshield che, oltre a implementare potenziate capacità di lancio e di comunicazione satellitare a bassa latenza (indirizzate questa volta al solo cliente difesa) introdurrà tecnologie disruptive anche nel settore dell’osservazione della Terra (Eo), sia tattico che strategico. L’Unità, più in particolare si occuperà di: studiare la realizzazione di una costellazione di bassa latenza per coprire le esigenze della difesa per comunicazioni più protette da passare in proprietà al governo statunitense (in numero di centinaia di ulteriori specifici satelliti, in numero cioè di un paio di ordini di grandezza inferiore ai numeri della costellazione civile); per conto del National reconnaissance office (Nro), portare in orbita un ulteriore lotto, il settimo, di satelliti di nuova generazione con carrozze Starlink modificate per ospitare tecnologia avanzata di Intelligence, sorveglianza e ricognizione (Isr); di rendere disponibili le proprie carrozze per ospitare payload sperimentali realizzati da parte del DoD.
Dopo aver osservato l’effetto dirompente delle soluzioni SpaceX nel mercato delle comunicazioni satellitari e di accesso allo spazio, le aziende del settore dell’Osservazione della Terra, anche in Europa, dovranno monitorare con molta attenzione lo sviluppo di questa nuova iniziativa Starshield, per comprenderne pienamente effetti e sviluppi futuri.
Il coinvolgimento di SpaceX nell’Osservazione della Terra per la difesa potrebbe rappresentare infatti una grande sfida per le aziende del settore, in quanto le applicazioni per i clienti difesa coprono una larga fetta del mercato statunitense dell’Eo, arrivando a circa i due terzi dei 6,6 miliardi di dollari di fatturato registrati nel 2023.
Tutto questo può quindi rappresentare un passaggio chiave per il futuro dei servizi militari, sia tattici che strategici, e può essere di grande impatto nel settore commerciale. Anche se non ufficialmente collegato, è possibile ipotizzare che l’iniziativa SpaceX possa rispondere anche all’esigenza di fornire alla Space Force una capacità Gmti basata sullo spazio (Gmti – Ground moving target identification) che consenta di distinguere tra bersagli a terra in movimento e statici, e di tracciarne le attività nel tempo.
Questa capacità rappresenta un indirizzo condiviso con l’Aeronautica militare statunitense che considera il Gmti space-based una funzione in grado di sostituire gli aerei di sorveglianza e gestione del campo di battaglia come l’E-8C Joint surveillance target attack radar system (Jstars) e, nel futuro, l’Awacs con assetti spaziali; questo in continuità con quel processo di migrazione nello spazio di capacità attualmente fornite da sistemi aeronautici, considerati troppo vulnerabili, (di questo argomento si è parlato nella conferenza CeSMA del 12 Dicembre 2024 dal titolo “Spazio al futuro – L’Aeronautica militare oltre la linea di Karman”). Indipendentemente dalle capacità reali dei satelliti Starshield per Nro, il vantaggio di rivolgersi a SpaceX, leader nella realizzazione e gestione di ampie costellazioni di piccoli satelliti, sono chiari. Storicamente, alcuni dei più rilevanti limiti dei tradizionali satelliti Isr sono stati l’incapacità di essere “ovunque” e la scarsa rapidità con cui possono essere riassegnati su specifiche zone di osservazione, veri limiti all’uso tattico della risorsa spaziale. Peraltro, anche i movimenti di questi satelliti, essendo prevedibili, possono essere monitorati dagli avversari con l’obiettivo di “nascondere” attività operative militari, nel momento di previsto sorvolo. L’uso di una costellazione potrebbe rendere estremamente difficile, se non impossibile, nascondere attività militari e, con ratei di rivisitazione estremamente bassi, vicini a zero, potrebbe persino conseguire una copertura continua, in streaming, delle aree di interesse. Nel complesso, pur rimanendo aperte domande sulla scala, la portata e i progressi del sistema Starshield per satelliti Isr, non si può non cogliere l’impatto davvero rivoluzionario che tale iniziativa rappresenterà nel panorama dell’industria spaziale, sia upstream che downstream, non solo militare.
L’iniziativa SpaceX nel settore Eo deve necessariamente portare a seri approfondimenti in Europa, a nuove modalità di identificazione e supporto di sviluppi tecnologici promettenti, eventualmente condividendo l’indirizzo chiaro che proviene da Usa e Cina di promuovere una sempre più ampia connessione tra difesa e settore civile e commerciale. Sono ormai alcuni anni che in Europa si parla di cambio di traiettoria, e il Rapporto Draghi sulla competitività dell’industria europea ha confermato ancora una volta questa esigenza anche nel settore spaziale. In questa prospettiva, Europa e Italia dovrebbero abbandonare modalità tradizionali di procurement perché non adeguate nei nuovi scenari di competizione e di space economy. Mentre negli Usa si fa affidamento sull’iniziativa privata, in Italia si continua, ad esempio per la realizzazione del sistema Iride, a seguire un approccio statalista. Il progetto è, a mio avviso, impostato a non favorire (anche se con qualche eccezione – di rilievo la capacità di on-board computing del satellite Pathfinder di Argotec) l’adozione di soluzioni innovative (per l’impostazione del Pnrr, strutturalmente risk-adverse), e non ha sollecitato né un coinvolgimento “responsabile” dei potenziali utenti istituzionali né un ruolo più attivo da parte industriale. Per rispondere alle esigenze delle istituzioni nazionali (apparentemente principali utenti della costellazione), sarebbe stato auspicabile un approccio più moderno ed efficace. Partendo da un’analisi “indipendente”, di conferma della consistenza del mercato istituzionale nazionale, i Ministeri/Organismi interessati avrebbero dovuto assumere un impegno formale di acquisizione dei prodotti (una sorta di Anchor Tenancy) e le aziende, motivate da un business di base credibile e garantito, avrebbero avuto la spinta a co-investire nel progetto, implementando prodotti di interesse di clienti commerciali e, possibilmente, anche appetibili per utenti della difesa, non solo italiana.
Si sarebbe evitato così di utilizzare fondi a debito (Pnrr) e si sarebbe creata una possibile soluzione commerciale e/o di compartecipazione pubblico/privata per la sostenibilità economica della costellazione (con l’attuale impostazione è immaginabile che anche il mantenimento della costellazione dopo il 2026 sarà a carico di fondi pubblici).
Come detto, il Rapporto Draghi sollecita un cambio di paradigma in particolare nel procurement e nella governance e auspica più investimenti pubblici; più investimenti pubblici, non assistenziali ma virtuosi, che mettano in moto creatività e innovazione e che facilitino la partecipazione di capitali privati e, in analogia con la policy delle più grandi potenze spaziali, promuovano una maggiore integrazione tra militare e civile. Nel futuro quindi, per non dover continuare a rincorrere Musk, occorre cambiare traiettoria, favorendo innovazione e uso di investimenti privati, nonché assumendo una visione più ambiziosa che punti a creare l’ambiente favorevole al pieno dispiegamento della “space economy” in Europa, ancora poco sviluppata.
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