Pensioni, Stop alla continuità di iscrizione per i professori universitari senza assegni

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Se durante il periodo di aspettativa senza assegni dall’università stipulano un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato presso un altro datore di lavoro. L’università non dovrà più versare i contributi. I chiarimenti in un documento dell’Inps.

Stop alla continuità di iscrizione ai fini pensionistici per i professori e ricercatori universitari di atenei pubblici statali che nel periodo di aspettativa senza assegni sottoscrivano contratti di lavoro a tempo determinato. In tal caso, infatti, l’assolvimento degli obblighi contributivi IVS non sarà più a carico dell’università originaria bensì del nuovo datore di lavoro, sarà commisurato sulla base delle retribuzioni effettivamente corrisposte e sarà assolto presso la gestione assicurativa del datore di lavoro.  Lo rende noto l’Inps nella Circolare n. 28/2025 in cui rivede le indicazioni fornite in un primo tempo con Circolare n. 6/2014.

La questione

I chiarimenti riguardano l’assolvimento degli obblighi IVS nei confronti dei professori e ricercatori universitari di atenei pubblici statali collocati in aspettativa senza assegni. Originariamente gli articoli 12 e 13 del Dpr n. 382/1980 al fine di garantire l’unitarietà della posizione assicurativa dei docenti, hanno indicato che l’università, anche in assenza dell’effettiva prestazione lavorativa, è tenuta a garantire la continuità della posizione assicurativa del professore per l’intera durata dell’aspettativa, provvedendo al versamento della contribuzione IVS presso la CTPS, nonché al Fondo ex Enpas ai fini del trattamento di fine servizio e del trattamento di fine rapporto (TFS/TFR) e alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali (Fondo Credito).

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Per il calcolo della contribuzione, la base imponibile di riferimento è commisurata alla retribuzione virtuale e cioè alla retribuzione che avrebbe percepito l’interessato se fosse rimasto in servizio; conseguentemente, la retribuzione deve essere corrispondente alla posizione giuridico-economica posseduta dall’interessato al momento del collocamento in aspettativa e di volta in volta adeguata in relazione alla dinamica contrattuale.

Tali norme sono state applicate anche all’ipotesi di cui all’articolo 7 della legge n. 240/2010 che consente ai predetti soggetti di essere collocati in aspettativa senza assegni per un periodo massimo di cinque anni, anche consecutivi, per lo svolgimento di un’attività presso soggetti o organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

Ai fini TFS/TFR

Con messaggio n. 6501/2015 l’Inps, tuttavia, ha mutato orientamento per quanto riguarda la maturazione le prestazioni di fine lavoro. Siccome il DPCM 20 dicembre 1999 aveva istituito il diritto al Tfr (anche) in relazione a servizi prestati nell’ambito di rapporti di lavoro a tempo determinato presso pubbliche amministrazioni l’Inps ha ritenuto che la particolare tutela del Dpr 382/1980 fosse stata sostituita, in queste ipotesi, dal diritto al TFR. In tale sede, pertanto, è stato precisato che in caso di attivazione di un contratto di lavoro a tempo determinato i periodi di servizio successivi al provvedimento di aspettativa vengono valorizzati ai fini della maturazione del TFR e l’indennità di buonuscita (TFS), relativa alla posizione di docente universitario, viene commisurata ai periodi che precedono e seguono quelli in aspettativa senza assegni.

Inoltre, in relazione agli adempimenti contributivi, per i periodi di svolgimento di rapporti di lavoro a tempo determinato la contribuzione deve essere commisurata alle retribuzioni effettivamente corrisposte e deve far carico all’amministrazione presso la quale si svolge il servizio, diversamente da quanto previsto per gli altri periodi di aspettativa di cui agli art. 12 e 13 del Dpr 382/1980.

Trattamento di Quiescenza

Nel documento di rito l’Inps spiega che il nuovo orientamento riguarda anche il versamento della contribuzione previdenziale. In particolare in caso di attivazione di un contratto di lavoro a tempo determinato da parte del professore o ricercatore universitario collocato in aspettativa senza assegni ai sensi degli articoli 12 e 13 del Dpr 382/1980 o dall’articolo 7 della legge n. 240/2010, la contribuzione previdenziale deve essere assolta dal nuovo datore di lavoro (non più dall’università), deve essere commisurata alle retribuzioni utili effettivamente corrisposte (non più sullo stipendio virtuale) e deve essere versata presso la gestione previdenziale del nuovo datore di lavoro (che potrebbe, quindi, non essere più la CTPS bensì il FPLD).

Il nuovo datore di lavoro, peraltro, trattandosi di un contratto di lavoro a tempo determinato sarà tenuto al versamento anche della contribuzione naspi (1,31%) e del contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, destinabile al finanziamento dei fondi interprofessionali pari allo 0,30% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Anche il contributo dovuto al Fondo credito, essendo parametrato all’imponibile pensionistico, deve essere calcolato in base alle retribuzioni effettivamente corrisposte.  

Ciò significa che ai fini pensionistici il professore potrebbe trovarsi con una duplicazione delle posizioni assicurative IVS e, quindi, per valorizzare la contribuzione derivante dal nuovo incarico, essere costretto ad effettuare un cumulo ai sensi della legge n. 228/2012 oppure una ricongiunzione ai sensi della legge n. 29/79.

Il nuovo orientamento, spiega l’Inps, per tutelare il principio del legittimo affidamento negli adempimenti contributivi trova applicazione a decorrere dalla data di pubblicazione della circolare e, pertanto, dal 30 gennaio 2025. Conseguentemente il nuovo datore di lavoro dovrà assolvere gli obblighi contributivi e dichiarativi in merito al contratto di lavoro a tempo determinato.

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Le novità non riguardano i professori o ricercatori universitari in aspettativa senza assegni per mandato elettivo. In tal caso, infatti, è l’Inps ad assolvere gli obblighi contributivi salvo la possibilità che una quota dell’onere ricada sullo stesso lavoratore (Cfr. Circolare n. 72/2018).

Documenti: Circolare Inps 28/2025



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