Il Bloody Sunday nordirlandese: la strage del 1972

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Il Bloody Sunday, o la domenica di sangue, del 30 gennaio 1972 rappresenta uno degli episodi più tragici e simbolici del conflitto nordirlandese, i Troubles. In un contesto di forti discriminazioni contro la minoranza cattolica, una marcia pacifica per i diritti civili si trasformò in un massacro quando l’esercito britannico aprì il fuoco sui manifestanti a Derry. Questo evento non solo sconvolse l’opinione pubblica internazionale, ma diede nuovo impulso al conflitto armato, alimentando tensioni che avrebbero segnato profondamente la storia dell’Irlanda del Nord.

La marcia per i diritti civili: un grido di speranza nella manifestazione a Derry

Il 30 gennaio 1972 è il giorno ancora oggi ricordato come il Bloody Sunday. Nella città nordirlandese di Derry, una folla numerosa si riunì per partecipare a una marcia indetta dal Movimento per i Diritti Civili dell’Irlanda del Nord. La protesta, organizzata per denunciare le discriminazioni nei confronti della minoranza cattolica, mirava a ottenere parità di diritti, il diritto alla casa, e l’abolizione delle restrizioni al voto.

Nonostante il freddo invernale, studenti, lavoratori e anziani si unirono pacificamente nel quartiere di Bogside, simbolo della resistenza cattolica. Il corteo era animato da un senso di speranza e determinazione: dimostrare che la via democratica poteva essere un mezzo efficace per ottenere giustizia sociale.

L’intervento dell’esercito e la strage

Quella stessa giornata, il governo britannico decise di inviare un messaggio chiaro e brutale. Il primo battaglione di paracadutisti britannici fu schierato con il compito di reprimere con fermezza qualsiasi segno di dissenso. Quando i manifestanti raggiunsero Bogside, le truppe aprirono il fuoco senza alcun preavviso.

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Il bilancio fu devastante: 13 persone morirono sul posto e un’altra vittima perse la vita in seguito alle ferite riportate. Tra i morti c’erano giovani di appena 17 anni e alcuni manifestanti furono colpiti mentre cercavano di arrendersi. La violenza durò solo pochi minuti, ma il suo impatto fu eterno.

La manipolazione della verità

Subito dopo l’eccidio del Bloody Sunday, il governo britannico si affrettò a giustificare l’azione dei paracadutisti, sostenendo che i soldati avessero reagito a un attacco armato da parte dei manifestanti. Tuttavia, numerose testimonianze e prove balistiche smentirono questa versione, dimostrando che le vittime erano civili disarmati.

Nonostante le evidenze, un’inchiesta condotta in modo superficiale scagionò i militari e rafforzò la percezione che lo Stato britannico non fosse disposto a riconoscere le sue responsabilità.

Nel corso degli anni, la veridicità dei fatti è stata molte volte revisionata: molte volte, si è puntato il vito contro un fantomatico attacco dell’IRA, a cui i militari britannici avrebbero risposto con il fuoco per difendersi. Altrettante altre volte ci sono stati scontri nel Parlamento britannico, dove numerosi deputati hanno chiesto una luce di verità sui fatti del Bloody Sunday.

Le radici del conflitto: povertà e discriminazioni

Per comprendere la portata di quanto accaduto a Derry, è necessario analizzare il contesto storico. Fin dalla sua creazione nel 1921, l’Irlanda del Nord fu teatro di forti discriminazioni nei confronti della minoranza cattolica, legata culturalmente alla Repubblica d’Irlanda. La comunità cattolica viveva in condizioni di estrema povertà, privata di diritti fondamentali come l’accesso equo al lavoro e alla casa.

Negli anni ’60, ispirati dalle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti, gli studenti cattolici di Derry avviarono un movimento non violento per chiedere giustizia sociale. Ma la risposta delle autorità nordirlandesi fu brutale: le proteste pacifiche furono spesso represse con violenza, alimentando il risentimento e la frustrazione della comunità.

Le tensioni culminarono nel 1969, quando scoppiarono violenti scontri tra cattolici e protestanti. A Belfast, centinaia di abitazioni furono incendiate, costringendo migliaia di famiglie cattoliche a fuggire. A Derry, il quartiere di Bogside divenne un simbolo di resistenza, con barricate erette per proteggere la popolazione.

La scritta “You are now entering Free Derry” comparve su un muro all’ingresso del quartiere, segnando il confine di una zona libera dal controllo britannico. Tuttavia, l’esercito inglese fu inviato per ristabilire l’ordine, inaugurando una spirale di violenza che avrebbe raggiunto il culmine con la Bloody Sunday.

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Le conseguenze della strage

La domenica di sangue segnò un punto di non ritorno nella storia del conflitto nordirlandese. Molti giovani cattolici, disillusi dalla possibilità di un cambiamento pacifico, si unirono all’IRA, l’esercito indipendentista irlandese.

Il conflitto, noto come “The Troubles”, continuò per altri tre decenni, causando oltre 3.500 vittime. La strage di Derry attirò anche l’attenzione internazionale, evidenziando la gravita del conflitto e la necessità di una soluzione politica.

Solo nel 1998, con l’accordo del Venerdì Santo, iniziò un processo di pace che pose fine al conflitto. Fu però necessario attendere il 2010 perché il governo britannico riconoscesse ufficialmente la responsabilità dei paracadutisti nella strage.

A distanza di oltre 50 anni, il Bloody Sunday rimane un simbolo delle sofferenze del popolo nordirlandese e un monito contro l’oppressione. Ogni anno, i familiari delle vittime e la comunità di Derry si riuniscono per commemorare quella tragica giornata, chiedendo che la memoria delle vittime non venga mai dimenticata. Le tensioni latenti nella regione, accentuate dagli effetti della Brexit, dimostrano che il percorso verso una pace duratura è ancora fragile e incompiuto e sopratutto che la memoria delle discriminazioni passate produce ancora spiragli di conflitto sociale e politico.

Lucrezia Agliani

 



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