AI e lavoro: nuove tecnologie, vecchie disuguaglianze

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Daron Acemoglu, nelle conclusioni della Nobel Lecture tenuta il 4 dicembre scorso, delinea l’impatto economico dell’intelligenza artificiale. La prospettiva storica ampia richiama l’attenzione sul rapporto tra progresso tecnico e occupazione. La questione ha trovato una risposta precisa dal punto di vista teorico, ma rimane controversa la valutazione dell’impatto effettivo e, sul piano delle politiche, la definizione di strumenti operativi capaci di affrontare i problemi che pone.

Da un lato, l’automazione e il progresso tecnico aumentano la produttività dei settori in cui trovano applicazione, con riduzione della domanda di lavoro per unità di prodotto. Dall’altro lato, l’aumento della produttività riduce i prezzi, aumenta la domanda di quel bene o di altri beni dal momento che la capacità di acquisto delle famiglie aumenta per effetto della diminuzione dei prezzi. Il saldo sull’occupazione complessiva dipende dalla combinazione di questi diversi effetti e, nella storia economica degli ultimi due secoli, il progresso tecnico si è accompagnato all’aumento del potere d’acquisto e dell’occupazione.

Acemoglu sottolinea però che nei momenti di forte trasformazione tecnologica – come quello caratterizzato dall’introduzione dell’intelligenza artificiale – le “regole” che governano in modo esplicito o implicito la distribuzione della ricchezza, vengono sottoposte ad una pressione non comune. Coloro che promuovono e vogliono sfruttare l’innovazione chiedono più spazio e meno regole, mentre l’elite economica e politica che basa il suo potere sul “business as usual” vede minacciata la sua posizione e può reagire contrastando l’innovazione o limitandone l’accesso o riducendo i diritti dei lavoratori, per recuperare parte delle risorse messe a repentaglio dall’innovazione nei settori tradizionali.

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“E’ sbagliato domandare: che cosa farà AI al lavoro? La domanda giusta è: che cosa decideremo di fare con AI e come impatterà sulle disuguaglianze?” L’attuale sentiero di utilizzo e sviluppo di AI e ML (machine learning) punta a controllare i lavoratori, ridurre la loro autonomia, aumentare il livello di automazione, mettere in disparte il lavoro e forse rendere ancor più deboli i membri deboli della nostra società)[1].

Acemoglu guarda, allora, al governo dell’economia e al funzionamento della democrazia, richiamando le origini della rivoluzione industriale e le sue ambivalenze: le catastrofiche conseguenze sulla salute dei lavoratori e della famiglie inurbate si sono accompagnate alle straordinarie conquiste scientifiche, economiche e tecnologiche.

L’obiettivo è un maggiore equilibrio tra gli interessi in campo con una distribuzione del potere che lasci spazio alla possibilità di guidare, mitigare l’impatto della rivoluzione tecnologica, in primo luogo restituendo ai lavoratori un potere di contrattazione sui posti di lavoro. Quel potere si era affermato con la nascita e il consolidamento dei sindacati ed ha contribuito in misura decisiva alle grandi conquiste del welfare tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo. Si è realizzato, tra conflitti sociali e scontri violenti, un bilanciamento dei poteri che ha assicurato una base sociale sufficientemente stabile per l’imponente sviluppo industriale, tecnologico economico e sociale del Ventesimo secolo. Acemoglu invita quindi al realismo: lasciando da parte il tecno-ottimismo eviteremo di rimanere paralizzati davanti alle frequenti delusioni che in molti settori le applicazioni dell’intelligenza artificiale produrranno per effetto di una sopravvalutazione delle sue potenzialità e soprattutto per i sistematici sprechi delle capacità umane che la sua sperimentazione comporterà.

David Autor, economista che ha condiviso con Acemoglu gli studi sull’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro, ritiene che AI abbia le potenzialità per invertire gli effetti negativi della digitalizzazione, purché si punti sull’aumento delle capacità dei lavoratori che la utilizzano. L’effetto aumento potrebbe, infatti, più che compensare l’effetto automazione che porta alla sostituzione di lavoro con AI[2].

Effetti immediati di ChatGPT sulla domanda di lavoro

L’impatto immediato di ChatGPT sulla domanda di lavoro è stato stimato con indagini sulle professionalità più colpite, attraverso l’analisi delle offerte di lavoro online. La ricerca ha preso in esame una piattaforma di lavoro free lance che presenta circa 1,4 milioni di post per il lavoro dal luglio 2021 al luglio 2023. Con un algoritmo di classificazione delle descrizioni dei post sono stati individuati tre grandi sottoinsiemi di prestazioni professionali:

  • intensamente manuali (data entry, servizi video e audio),
  • esposti all’automazione (scrittura, ingegnerizzazione, software, app, sviluppo web),
  • e lavori di generazione di immagini (graphic design, modellazione 3D).

Nella classificazione AIOE (esposizione dell’occupazione all’intelligenza artificiale), questi sottoinsiemi si associano ad una diversa suscettibilità rispetto agli strumenti di larghi modelli di linguaggio (LLMs), cui appartiene ChtaGPT[3].

Il confronto tra i lavori più esposti e quelli meno esposti (manuali) indica che al momento del lancio di ChatGPT, i job post per i lavori più a rischio sono diminuiti del 21% più di quelli dei lavori meno esposti. I free lance a cui sono richiesti lavori più ripetitivi, come scrittura, sviluppo web site, engineering hanno visto ridursi le offerte di lavoro rispettivamente del 30%, del 21% e del 10%. L’introduzione dei generatori di immagini con modelli GenAI quali Midjourney, Stable diffusion e DALL-E 2 ha portato ad una riduzione dei post per graphic design del 18% e per 3D modeling del 16%.[4] Questa caduta della domanda ha comportato anche una maggiore competizione tra coloro che cercano lavoro: nei settori con AIOE più elevato le ricerche sono aumentate dell’8% dopo l’introduzione di CahtGPT. [5]

La ricerca su Google indica che l’interesse aumenta al crescere delle difficoltà di reperimento dell’offerta di lavoro: dopo l’introduzione di ChatGPT l’indice dei volumi di ricerca di Google (SVI) è aumentato in modo significativo per le attività più esposte all’impatto di AI mentre non si è modificato per i lavori meno esposti, come si vede dalla figura 1.

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Per scrittura, engineering e sw-sviluppo web, assistiamo ad un aumento significativo delle attività di ricerca: trovare incarichi diviene più difficile e la durata della ricerca più lunga.

L’aumento della precarietà e la riduzione della remunerazione

Se, per le figure professionali più esposte all’impatto di AI, la durata della ricerca di lavoro aumenta, ciò significa che il periodo di disoccupazione o di inattività parziale aumenta: il lavoratore accetterà condizioni di occupazione sempre meno favorevoli. Uno studio recente sul salario di “riserva” ovvero sulla remunerazione minima per la quale una persona è disposta a lavorare, dimostra che una durata della disoccupazione di un anno porta ad riduzione del “salario di riserva” del 5%.[6]

I valori potrebbero essere sottostimati rispetto alla realtà del lavoro free lance, dove vi è una maggiore reattività rispetto al mercato del lavoro tradizionale. I dati della figura  dimostrano che AI aumenta la precarietà e riduce i livelli retributivi della fasce più esposte. Ci troviamo di fronte ai rischi che Acemoglu segnala.

Con AI aumenta l’asimmetria che già affligge i rapporti di forza tra le aziende tecnologiche e i lavoratori. L’azienda tecnologica disegna il suo percorso di sviluppo, pianifica l’introduzione delle innovazioni, ne controlla i risultati, decide il livello della domanda di lavoro necessario, la sua qualità, la sua precarietà. L’asimmetria di conoscenze e di potere mette in forse l’equilibrio dei poteri nella società democratica-liberale i cui check and balance risultano compromessi. L’azienda non ha più alcun incentivo a fidelizzare i lavoratori, come accadeva per quelli che rappresentavano il capitale umano che l’azienda non intendeva perdere, neppure nei momenti di crisi. Il ricorso alla cassa integrazione e al cosiddetto “labour hoarding” (il tesoreggiamento del lavoro nei momenti di caduta dell’attività per non perdere le risorse umane più affidabili e competenti) erano forme di tutela del patrimonio professionale di un’azienda, strumenti per non disperderlo. Si trattava di una forma di tutela dei propri investimenti in formazione e al contempo una manifestazione di responsabilità sociale dell’impresa. La nuova asimmetria consente all’azienda di sostituire a piacimento i lavoratori con altri o con nuove applicazioni tecnologiche, sfruttando un ulteriore grado di libertà nella gestione delle risorse umane, perdendo di vista qualsiasi responsabilità sociale. L’impoverimento del capitale umano crea ulteriore potenziale diseguaglianza.

Il potere decisionale delle aziende sull’uso dell’AI

Oggi l’azienda ha il potere di scegliere se AI debba avere un impatto di automazione (perdita di posti di lavoro) o di aumento delle capacità dei lavoratori che la utilizzano. Essa guida l’uso di AI. Ma è possibile guidare AI nel senso proposto da Acemoglu e da Autor (tra gli altri)?

L’analisi dell’impatto dell’innovazione tecnologica ha fatto progressi con la scomposizione delle mansioni per obiettivi o task. Nell’analisi tradizionale i lavoratori più qualificati risultano meno esposti all’impatto dell’innovazione e in particolare dell’AI.

L’analisi per task consente di comprendere la ragione per cui  la computerizzazione e l’intelligenza artificiale non competono con le posizioni dei lavoratori più qualificati, ma le integrano, le potenziano. Compiti come la raccolta di dati, i calcoli e certi tipi di scrittura e di controllo degli errori possono essere svolti dal computer, perché si basano su istruzioni deterministiche.

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Compiti come guidare un team, avanzare ipotesi, immaginare come testarle e/o falsificarle, ideare come meglio comunicare i risultati, sono compiti non deterministici, che la mente umana svolge meglio dei computer.  Accompagnati dai computer e dall’intelligenza artificiale i lavoratori con maggiore qualifica ottengono risultati più soddisfacenti ed in tempi minori. I lavoratori che si occupano solo dei task più esposti alle applicazioni AI perdono posizioni o perdono il loro lavoro: la diseguaglianza aumenta.

Questo è il rischio, sostengono Autor e Acemoglu, ma non per questo le loro proposte appaiono di facile applicazione. Le risposte sono: la formazione, il riequilibrio del potere tra azienda e lavoratori, le politiche della ricerca.

Il ruolo della politica e dell’innovazione nella gestione dell’AI

Con l’educazione dei lavoratori, è possibile aumentare le probabilità che essi non vengano sostituiti semplicemente dai processi di automazione, ed abbiano chances di poter aumentare le loro capacità per effetto delle nuove tecnologie. Quegli economisti propongono di ribilanciare l’equilibrio del potere tra azienda e lavoratori, in particolare nelle grandi aziende tecnologiche, superando il “corporate capitalism” che ha segnato la storia di successi dell’economia digitale negli ultimi 40 anni. Il compito, in realtà, appare difficile: la forza del sindacato fu decisiva nell’affermazione del welfare state e dello stato fiscale nel corso del Ventesimo secolo. Oggi, quella forza di aggregazione degli interessi dei lavoratori è stata ridimensionata, mentre sono cresciute le risorse e il potere della grandi aziende tecnologiche.

Solo uno Stato intenzionato e capace di bilanciare questo enorme squilibrio potrebbe avviare una politica di così ampio respiro. Senza l’appoggio “esterno” dei sindacati, come avveniva ai tempi delle socialdemocrazie nordeuropee, il riequilibrio appare una missione impossibile. L’ultimo strumento, la politica di promozione dell’innovazione, è più abbordabile, soprattutto se destinato ad affiancare il primo strumento, l’educazione. Gli incentivi all’innovazione potrebbero prevedere crediti di imposta per la qualificazione e la riqualificazione dei lavoratori coinvolti nell’utilizzo delle nuove tecnologie. “I compiti  (task) che le macchine potranno svolgere sono sconosciuti, come il tasso di emersione delle innovazioni, e la diffusione del loro impatto sociale. Ma queste tecnologie hanno un campo di applicazione molto largo, più delle precedenti e di conseguenza più ampio è il nostro margine di incertezza. L’intelligenza artificiale ha il potenziale di aiutare l’umanità ad affrontare le sfide più complesse: cambiamento climatico, malattie, povertà, malnutrizione, educazione inadeguata. Ma rimane incerto e sostanzialmente indeterminato se le società saranno capaci di realizzare le potenzialità positive o invece sperpereranno le opportunità o, peggio ancora, le useranno in modo dannoso”.[7]

Internet si diffuse e crebbe come tecnologia e come sistema economico negli anni successivi alla fine della Guerra Fredda, quando l’egemonia americana era al culmine e il mercato mondiale si stava spalancando a chi lo voleva cavalcare con le proprie idee.

Oggi il mondo è segmentato e lo sarà in misura crescente: ciò che maggiormente lo tiene in contatto sono la scienza e la tecnologia che, tuttavia, da sole non possono certo mutare il corso dell’evoluzione politica ed istituzionale o individuare nuove strategie di collaborazione internazionale, come quelle maturate nel secondo dopoguerra e dopo la caduta del muro di Berlino. L’Unione Europea ha segnato risultati importanti nella regolazione dei nuovi mercati, e potrebbe essere protagonista del tentativo di indirizzare AI verso l’obiettivo di allargare le potenzialità del lavoro, invece che di semplice automazione. Ma questa sua leadership sarà messa in discussione dalla sua mancanza di leadership generale, dalla modesta potenza militare e politica che esprime: gigante economico e nano politico, come si diceva della Germania prima della riunificazione.

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Note


[1]) Daron Acemoglu: Big Tech poses risks as AI reshapes society, Harvard Business School, 11 luglio 2024.

[2]) David Autor, The labor market impacts of technological change: From unbridled enthusiasm to qualified optimism to vast uncertainty, National Bureau of Economic Research, Cambridge,

Massachusetts, 2022.

[3]) Le occupazioni con più alto indice AIOE includono ingegneri, scrittori, e autori. Felten E, Raj M, Seamans R, Occupational, industry, and geographic exposure to artificial intelligence: A novel dataset and its potential uses. Strategic Management Journal 42 (12) :2195–

2217, 2021. Vedi anche: Felten EW, Raj M, Seamans R. Occupational heterogeneity in exposure to generative ai. Available at SSRN 4414065, 2023.

[4]) Ozge Demirci, Jonas Hannane, Xinrong Zhu, Who Is AI Replacing? The Impact of GenAI on Online Freelancing Platforms, CESifo Working Paper No. 11276, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=4991774 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4991774, 2024.

[5]) Ozge Demirci, Jonas Hannane and Xinrong Zhu, Research: How Gen AI Is Already Impacting the Labor Market, Harvard Business Review,November 11, 2024.

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[6]) Nick Deschacht, Sarah Vansteenkiste, The effect of unemployment duration on reservation wages: Evidence from Belgium, Labour Economics Volume 71, August 2021, 102010.

[7]) Autor, op. cit.



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