Per l’Unrwa è il giorno più duro. Oggi nuovo scambio di prigionieri

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Non si segnalavano movimenti ieri sera intorno al quartier generale dell’Unrwa, a Gerusalemme Est. E all’interno si intravedeva solo qualche luce. All’ingresso però il personale di sicurezza dell’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, era in stato di allerta. Cosa accadrà questa mattina e durante la giornata nessuno può prevederlo. Entro stasera, secondo le leggi approvate dalla Knesset, non dovrà più essere presente nel quartiere generale il personale locale e internazionale dell’Unrwa che Israele considera «complice di Hamas» – accusa respinta con forza dal capo dell’agenzia, Philippe Lazzarini – e con la quale non collaborerà più in alcun modo. È una sede dell’Onu, quindi protetta da intese internazionali firmate anche da Israele. Eppure, non mancano i timori. «Speriamo che non ci siano problemi – ci ha detto ieri sera un dipendente dell’Unrwa –, ancora ricordo le tensioni provocate dagli estremisti (israeliani) intorno alla nostra sede quando (tre mesi fa) giunse la notizia del voto della Knesset».

L’ultima tenue speranza di un cambio di rotta si è spenta ieri. La Corte Suprema di Israele ha respinto il ricorso contro le leggi anti-Unrwa presentato il 16 gennaio dal centro legale Adalah per conto di dieci profughi palestinesi e della ong Gisha poiché le leggi approvate violano gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale e la loro attuazione porterà a «conseguenze umanitarie catastrofiche». L’Unrwa gestisce scuole e altre strutture educative a Gerusalemme Est che dovranno passare a una amministrazione diversa. Il Comune israeliano ha proposto di sostituire le scuole con aule mobili da allestire entro otto mesi, una soluzione che lascerebbe gli studenti senza lezioni per il resto dell’anno scolastico. Grave è anche la probabile interruzione dell’assistenza sanitaria, un altro servizio essenziale che l’agenzia dell’Onu garantisce quasi gratuitamente con i suoi ambulatori. I profughi palestinesi a Gerusalemme Est dovranno aderire a una costosa assicurazione sanitaria israeliana. Istruzioni e sanità a rischio anche in Cisgiordania dove l’Unrwa continuerà ad operare, ma, si prevede, in forma molto più limitata. A Gaza le restrizioni, si stima, porteranno a una riduzione di circa 100 camion di aiuti umanitari al giorno.

Nel giorno più difficile per l’Unrwa nei Territori palestinesi occupati, avverrà, nell’ambito dell’accordo di tregua tra Israele e Hamas, il terzo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Il quarto è previsto sabato. Il movimento islamico libererà oggi due civili, la 29enne Arbel Yehud e l’80enne Gadi Mozes, e la soldatessa ventenne Agam Berger. Assieme a loro saranno rilasciati cinque lavoratori thailandesi. Si tratta di semplici manovali – giunti dal loro paese attraverso agenzie di lavoro e senza alcun coinvolgimento nello scontro tra israeliani e palestinesi – che si trovavano nei campi coltivati e nei kibbutz accanto a Gaza il 7 ottobre del 2023. Hanno pagato un prezzo alto senza avere responsabilità. A Gaza resteranno altri otto lavoratori thailandesi, un nepalese e un tanzaniano: due thailandesi e il tanzaniano sono stati dichiarati morti. Per i cinque thailandesi Israele non scarcererà palestinesi. Hamas li libera con un tardivo gesto di buona volontà. Invece in cambio della soldatessa Agam Berger saranno rimessi in libertà 50 palestinesi, di cui 30 condannati all’ergastolo. Per Arbel Yehud lasceranno il carcere altri 30 palestinesi: adolescenti e donne. Per Gadi Mozes usciranno di cella 30 detenuti, di cui tre condannati all’ergastolo.

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Contro l’accordo di tregua a Gaza, continua la protesta dei coloni e della destra estrema israeliana. Il movimento Nachala, che spinge per costruire colonie ebraiche a Gaza e per mantenere il controllo militare della Striscia, ha lanciato una nuova campagna con lo slogan «Occupare, espellere e insediarsi». Nachala ha aggiunto «espellere» al suo programma in omaggio all’idea avanzata da Donald Trump di «ripulire Gaza» e di trasferire «a breve o a lungo termine» i suoi abitanti in Giordania e in Egitto (i due paesi continuano a respingere questa soluzione).

Del futuro di Gaza, il premier israeliano Netanyahu discuterà con Donald Trump durante l’incontro che i due avranno il 4 febbraio a Washington. Il presidente americano gli darà il benvenuto con la sua decisione di revocare i visti agli studenti stranieri che definisce «simpatizzanti di Hamas», ossia quelli che hanno partecipato l’anno scorso alle proteste nelle università americane contro i massacri di palestinesi e la distruzione di Gaza.

Con Netanyahu ieri ha avuto un colloquio l’inviato di Trump per il Medio oriente, Steve Witkof, che in precedenza era entrato a Gaza con l’esercito israeliano. Del colloquio si è saputo poco o nulla. Invece durante quello che Witkof ha avuto in Arabia saudita con il segretario dell’Olp, Hussein Sheikh, vicino al presidente Abu Mazen, si sarebbe discusso, secondo i media arabi, della partecipazione attiva dell’Autorità nazionale palestinese nella gestione futura di Gaza «senza Hamas». Il movimento islamico ha dimostrato dopo l’inizio della tregua di avere ancora il controllo della Striscia.



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