Finanza sostenibile per le imprese, le prospettive sono positive

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per le imprese

 


In un contesto attuale sempre più indifferente verso la sostenibilità, se non apertamente contrario, risulta sempre più problematico il raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030 e ancor maggiormente quelli più stringenti del 2050. A meno di imprevedibili mutamenti, soltanto pochi Stati, nel panorama dei circa 200 Paesi nel mondo, riusciranno a conseguire al proprio interno una soddisfacente sostenibilità.

Tuttavia, anche se le classi dominanti delle diverse nazioni sono in varia misura poco sensibili alle tendenze verso uno sviluppo sostenibile, fortunatamente si sono ormai diffuse convinzioni e best practice, in molti strati della popolazione e delle organizzazioni, tali per cui il virtuoso percorso  iniziale compiuto non si esaurirà, ma progredirà, sebbene più lentamente e con maggiori difficoltà rispetto ad uno scenario globale di totale condivisione degli obiettivi. Si tratta, soltanto per fare qualche esempio: del variegato comparto dell’economia sociale, delle imprese e dei consumatori socialmente responsabili, della parte più accreditata della ricerca scientifica, di molti movimenti laici e cattolici e delle stesse imprese for profit, le quali, sempre più numerose, presentano al proprio interno spinte radicali al cambiamento ormai a tutti i livelli (da quelli manageriali e dirigenziali a quelli operativi).

Un movimento dal basso

L’adeguamento alla sostenibilità non si configura più come un processo top down di élite lungimiranti che collaborano in partnership per raggiungere al più presto gli obiettivi desiderati, indirizzando virtuosamente le azioni e le aspettative della società, ma sta diventando, al contrario, un movimento dal basso di cittadini consapevoli che sempre più, con il loro comportamento esemplare, riusciranno a realizzare gli obiettivi ed a convincere gli agnostici sulla validità dei propri percorsi, fino a convertire le classi dominanti più restie.

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Ovviamente, occorre che le iniziative adottate abbiano successo e quindi diventa essenziale che lo sviluppo dal basso si compia nelle sue tre dimensioni fondamentali (economica, sociale ed ambientale). Proprio in questa ottica è importante che la nuova economia e finanza aziendale delle organizzazioni virtuose sia in grado di dare risposte concrete a tale aspettativa.

Uno degli strumenti maggiormente idonei allo scopo è dato dalla finanza sostenibile rivolta a finanziare convenientemente le imprese per le loro attività sostenibili, sia con capitale di rischio che di credito. Data la vastità dell’argomento, in questa sede ci occupiamo soltanto del finanziamento creditizio e particolarmente di quello bancario, che rappresenta la fonte principale per le piccole e medie imprese, le quali abbisognano maggiormente di indicazioni adeguate per superare la fase del cambiamento.

Il credito bancario sostenibile alle imprese

Limitando così la disamina al credito che da sempre le banche forniscono abitualmente alle imprese, giova trovare un elemento di differenziazione tra quello valevole per finanziare qualsiasi iniziativa e quello destinato a coprire i fabbisogni di investimenti specificatamente destinati a realizzare azioni sostenibili (sociali e/o ambientali). Mentre la valutazione della capacità di credito del primo tipo deve tener conto economicamente di tutti i rischi legati alla situazione di incertezza generale che assilla oggigiorno il mondo intero e che, a lungo termine, presenta incognite anche molto sfavorevoli, la valutazione del secondo, pur non potendosi esimere totalmente da tali incertezze, è in grado di attenuare notevolmente vari rischi in virtù di una condotta esemplare sul piano sociale ed ambientale, la quale permette soprattutto una crescita svincolata da tensioni sociali e da eventi naturali dannosi. Basti pensare, ad esempio, al finanziamento di impianti di energie rinnovabili, che conseguono il triplice effetto (oltre ai vantaggi reputazionali) di:

  • svincolarsi dalle incertezze sugli approvvigionamenti energetici e sul loro mutevole costo;
  • ottenere un abbassamento progressivo, fino a quasi l’annullamento completo dei medesimi costi energetici;
  • evitare eventuali costi aggiuntivi derivanti dall’inquinamento e da altri futuri eventi naturali sfavorevoli.

Sulla convenienza economica degli investimenti sociali e di quelli ambientali, infatti, si è discusso in due miei precedenti articoli di Futura Network dell’11 ottobre e del 13 dicembre 2023. Sulla base delle argomentazioni ivi indicate, allora, un credito che finanzia simili investimenti presenta certamente minori rischi di mancato o ritardato rimborso e quindi dovrebbe essere concesso più facilmente e ad un tasso d’interesse inferiore. Se ciò non avviene, gli istituti di credito, da un lato, continuano a finanziare investimenti più rischiosi (aumentando così il proprio profilo di rischio) e, dall’altro, rinunciano a nuove opportunità di crescita con attività meno rischiose (anche se meno redditizie per la percezione di interessi attivi più bassi). D’altro canto, in relazione alla redditività aziendale, un impiego meno rischioso è più facilmente solvibile e quindi si può aumentare richiedendo al debitore una remunerazione inferiore.

Tale impostazione valutativa fatica ancora ad affermarsi nel sistema bancario, ma le autorità creditizie europee ormai l’hanno assimilata e, soprattutto con riferimento al rischio climatico, hanno già avviato indagini presso gli istituti maggiori (estendibili poi anche alle altre banche) sui loro rischi derivanti da un mancato allineamento al finanziamento delle azioni climatiche delle imprese – clienti, anche al fine ultimo di conseguire uno degli obiettivi energetici dell’Agenda 2030, cioè quello di ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 (pacchetto Fit for 55). Anzi, se questo concetto dovesse essere esteso alla protezione futura del sistema bancario mondiale, tanto importante per gli Accordi internazionali di Basilea, si potrebbe affermare che i vincoli maggiori rispetto a quelli attuali, previsti per gli accantonamenti di capitale delle aziende di credito con l’introduzione di Basilea III, potrebbero essere meno stringenti se si tenesse conto del minor rischio derivante dai finanziamenti sostenibili. Inoltre, anche le garanzie pubbliche che lo Stato italiano presta sui finanziamenti bancari alle PMI potrebbero essere ugualmente interessate da tali criteri di valutazione, proprio per assicurare al carico pubblico prestiti meritevoli che invece i rating tradizionali considerano di dubbia solvibilità.

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Ma, a parte queste ultime due soluzioni, alle quali al momento ancora nessuno ha pensato, anche i risultati emersi dalla predetta indagine della Banca centrale europea non sono stati soddisfacenti e le rilevazioni hanno denunciato una prevalenza dei finanziamenti ad imprese che ricorrono in misura predominante a consumi energetici fossili, anche se si sono rivelati in aumento i crediti per l’acquisizione di fonti rinnovabili. Ma è pure da notare che recentemente alcuni fondi comuni e grandi banche a livello mondiale hanno disdetto i propri impegni futuri nei confronti della sostenibilità sul mercato dei capitali (la cosiddetta Nzba: Net zero bank alliance). Per di più, le differenze di tasso d’interesse tra le due destinazioni di finanziamento (fossili e rinnovabili) si sono rivelate favorevoli per le seconde mediamente soltanto di appena lo 0,2 per cento. E’ ben vero che il credito a breve (entro i 18 mesi) e quello sistematicamente rinnovabile (ma soggetto a revisione periodica da parte della banca) risentono marginalmente del loro tipo di impiego, perché utilizzati prevalentemente per la liquidità aziendale e per coprire fabbisogni di capitale a breve che poco riguardano l’evoluzione futura della gestione dell’impresa debitrice, ma tutti gli altri crediti, sia a medio termine (dai 18 mesi ai 5 anni) che a lunga scadenza (oltre i predetti 5 anni), dovrebbero essere concessi a tassi molto differenti, a seconda che i programmi strategici prevedano o meno investimenti di concreta sostenibilità.   

Come allora appare evidente, esistono effettive prospettive positive sul credito sostenibile alle imprese che ancora non sono state sfruttate, soprattutto per i finanziamenti concessi ad aziende non investment grade (cioè con un rating non ottimale), le quali oggigiorno ancora stentano a riequilibrare la propria sorte di incipiente precarietà proprio perché non trovano sufficiente credito a condizioni sopportabili, in grado di finanziare quegli investimenti sostenibili che permetterebbero il superamento delle attuali difficoltà. Alla lunga, se non si interviene radicalmente e per tempo, le inefficienze e le insostenibilità non corrette provocheranno il deterioramento anche dei crediti esistenti e quindi l’insolvenza. Bisogna intervenire almeno prima che lo squilibrio finanziario (derivante dai primi debiti non pagati) finisca per causare perdite economiche irreversibili che rendano negativo il patrimonio netto. Ma poiché abbiamo visto che il ritorno degli investimenti sostenibili è lento e crescente in maniera graduale, è importante arrivare a concedere credito sostenibile parecchio tempo prima che si verifichino i predetti scompensi finanziari.

Comunque, quanto sin qui esposto rappresenta una incisiva politica di sviluppo sostenibile che le banche potrebbero attuare nel loro particolare interesse ed autonomamente “dal basso”, ossia senza alcuna autorizzazione, né incentivo pubblico. Al riguardo esistono già molte iniziative spontanee di singole banche, ma la tendenza potrebbe essere più generalizzata con indubbi vantaggi per lo sviluppo sostenibile complessivo.

La domanda di credito sostenibile

Naturalmente non basta che le aziende di credito offrano finanziamenti sostenibili, occorre che pure le imprese lo richiedano in misura adeguata. Ma, come è stato accennato all’inizio, nemmeno le aziende produttive sono generalmente molto sensibili verso le azioni di sviluppo sostenibile, per la sfiducia diffusa che regna nei confronti di tali pratiche. Comunque, si è detto che le spinte dal basso sono crescenti e che questa tendenza porta di conseguenza verso lo stesso credito sostenibile, considerato che gli investimenti relativi sono generalmente molto elevati e quindi non realizzabili con l’autofinanziamento aziendale.

Allora, a questo punto, sorge l’esigenza di presentare alle banche una documentazione istruttoria soddisfacente per evidenziare la “validità” dell’investimento, che permetta un rimborso puntuale del capitale preso in prestito e dei corrispondenti interessi alle scadenze prestabilite. Si tratta, cioè, di fornire dati, informazioni, indicatori e previsioni finanziarie idonee, che illustrino come, dagli investimenti sostenibili, possano scaturire flussi di liquidità capienti per il rimborso del prestito.

Ovviamente tali evidenze non sono facili da valutare e dimostrare, ma, soprattutto in un primo tempo, in presenza di tante incertezze ancora diffuse, sono necessarie. Al riguardo, per le grandi imprese, proprio quest’anno si dovranno per la prima volta rendicontare, nei bilanci da approvare relativi al 2024, i dati contabili economico-finanziari correlati con le azioni intraprese anche in ambito sociale ed ambientale.

Con l’introduzione della Csrd (Corporate sustainability reporting directive), che ha sostituito la Nfrd (Non financial reporting directive), le maggiori imprese (ma progressivamente anche vari tipi di Pmi) devono rendicontare la doppia materialità (finanziaria e socio – ambientale) della propria gestione, secondo prescritti standard di rendicontazione europei  (Esrs: European sustainability reporting standards) in un’ottica di impatto attuale e potenziale, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione in esame. Senza entrare nei dettagli tecnici delle prescrizioni comunitarie, peraltro laboriosi e complessi e che hanno fatto sorgere anche numerose critiche da parte delle stesse imprese coinvolte, giova sottolineare che, pur con alcune opportune semplificazioni, tali informazioni saranno risolutive per valutare gli interventi sostenibili effettivamente realizzati ed il loro impatto economico, sociale ed ambientale, sia attuale che potenziale. Sulla base di indicazioni tanto precise, sarà quindi molto più facile per le banche valutare un rating affidabile, in grado di comprendere l’adeguatezza dei prestiti sinora concessi e delle eventuali correzioni future, sia per il loro ammontare che per le condizioni del saggio d’interesse, arrivando così ad attuare effettivamente quanto teoricamente si è detto sull’attenuazione del rischio specifico dell’investimento sostenibile.

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Per le Pmi tali obblighi di rendicontazione non sono proponibili, data la loro complessità ed il relativo onere. Ma bisogna tener presente che sono comunque obbligate a fornire indicazioni soddisfacenti in proposito: quelle che appartengono alle catene produttive di grandi imprese,  quelle che fanno parte di un gruppo aziendale coordinato da una capogruppo soggetta alla rendicontazione europea, quelle emittenti titoli quotati in Borsa e più estensivamente tutte quelle che ricevono finanziamenti da parte di grandi banche. Inoltre, dovranno comunque facoltativamente rendicontare la loro sostenibilità tutte le unità che intendono affermarsi sul mercato in virtù proprio dei requisiti Esg in loro possesso. Ma, al di là di tali fattispecie determinate, ogni impresa che abbia l’esigenza di ottenere un prestito a condizioni eque dovrebbe produrre sufficienti informazioni all’istituto di credito, per una valutazione finanziaria della propria capacità di credito in base alle azioni che sta attuando (od intende attuare) in relazione agli aspetti sociali ed ambientali che ne derivano.

Già esistono modelli di documentazione e standard molto semplificati per facilitare le Pmi in tale compito. Tra questi, giova sottolineare quello definito recentemente dal ministero dell’Economia e finanze, denominato “Dialogo di sostenibilità tra Pmi e banche” e già segnalato nella news ASviS dal titolo “Pmi e banche: uno strumento per favorire sostenibilità e dialogo trasparente”.

Tale documento ha il fine non soltanto di facilitare specificatamente i rapporti tra banca ed aziende minori, ma anche quello più generale di creare una presentazione efficace sul mercato di dette imprese dal punto di vista della sostenibilità. Si compone di 40 informazioni standardizzate, raccolte in cinque sezioni (informazioni generali – mitigazione e adattamento al cambiamento climatico – ambiente – società e forza lavoro – condotta d’impresa). Pubblicato nel dicembre 2024, questo modello semplificato sembra diffondersi rapidamente, pure ad opera di associazioni imprenditoriali e di camere di commercio, in quanto permette di sintetizzare con pochi indicatori le caratteristiche di sostenibilità delle aziende. Forse manca ancora qualche legame con i dati di bilancio, ma la presentazione del documento stesso si presume associata ai risultati economico – finanziari. Anzi, uno schema simile, con le opportune modifiche, potrebbe essere definito ed adottato anche da parte delle organizzazioni del terzo settore, che pure abbisognano sempre più di credito per espandere le proprie attività sostenibili.

Per concludere, con una tale politica dal basso, tutta privatistica, senza alcun incentivo pubblico, il sistema produttivo sensibile alla sostenibilità può progredire verso lo sviluppo anche nella difficile situazione attuale, affermandosi poi pure economicamente nei confronti della restante parte del sistema che non ritiene di adeguarsi alle sfide future. Comunque, sebbene modeste e di difficile accesso, esistono pure agevolazioni pubbliche per alcune iniziative sostenibili, di cui è il caso di approfittare, se possibile.   

* L’autore è consulente e ricercatore in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile            



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