Comunità energetiche rinnovabili: a che punto è la normativa che le disciplina?

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Con un anno e sette mesi di ritardo, il 23 gennaio 2024 è stato approvato il decreto attuativo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), riguardante le modalità di incentivazione per l’energia condivisa per le comunità energetiche e le configurazioni di autoconsumo collettivo, ovvero un insieme di almeno due consumatori che si associano per condividere l’energia elettrica autoprodotta dall’impianto di produzione da fonte rinnovabile e che si trovano nello stesso edificio – ad esempio gli inquilini di uno stesso condominio in cui è installato un impianto fotovoltaico.

Comunità energetiche rinnovabili (CER) e gruppi di autoconsumo collettivo erano già normati dal Decreto legislativo 199/2021, risalente all’8 novembre 2021, a sua volta attuazione della direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Un iter legislativo estremamente lento che sembra allontanare ulteriormente gli obiettivi climatici fissati al 2030, che prevedono 90 GW di nuove installazioni di rinnovabili.

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Sempre da parte del MASE, il 23 febbraio 2024, esattamente un mese dopo, sono state approvate le Regole operative del Gestore Servizi Energetici (GSE) per l’accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso e al contributo PNRR. Si tratta di un primo passo significativo, che permette di passare – come fa notare il team di ènostra – da un periodo di sperimentazione di forme di autoproduzione e condivisione dell’energia, all’inizio di una nuova fase di progettazione e implementazione del modello CER.

Le comunità energetiche rinnovabili sono decisiva alla transizione energetica.
NORMATIVA A RILENTO

Secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto annuale sulle comunità energetiche rinnovabili realizzato da Legambiente, ad oggi, in base ai dati del GSE, sono 154 le forme di energia condivisa che si sono realizzate nel nostro Paese, tra comunità energetiche rinnovabili e configurazioni di autoconsumo collettivo.

Grazie al contributo di tante realtà diverse, come AESS, Caritas, Become, il programma NextAppenino, AzzeroCO2, ènostra, Legacoop, Enel X, il Comune di Roma, La Sapienza, Regalgrid, Fondazione con il Sud, Banco dell’Energia, al netto dei ritardi legislativi e delle insidie burocratiche, Legambiente ha stimato che avrebbero potuto essere molte di più sul territorio nazionale. Ben 400 comunità energetiche rinnovabili in più, con il conseguente coinvolgimento di centinaia di famiglie, imprese, soggetti del terzo settore, amministrazioni comunali.

Le criticità che costellano il decreto attutivo sono ancora numerose

“Secondo i numeri che il MASE ha indicato alla Commissione europea nella notifica del decreto – si legge nel Rapporto di Legambiente, a proposito di cifre – le tariffe incentiveranno circa 210.000 iniziative con due milioni di aderenti, mentre il contributo in conto capitale supporterà circa 85 mila progetti di autoconsumo collettivo e comunità energetiche rinnovabili. Per le tariffe incentivanti è previsto un costo di 175 milioni di euro all’anno, per un totale di 3,5 miliardi di euro in vent’anni, finanziato con la componente Asos della bolletta”.

I LIMITI DEL DECRETO ATTUTATIVO

I numeri promettono un notevole slancio alle comunità energetiche rinnovabili, eppure secondo l’analisi di Legambiente il decreto attuativo presenta ancora delle falle. Il testo individua due possibilità di incentivazione per le configurazioni di autoconsumo, cumulabili tra loro. Il primo è un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili – finanziato dal PNRR e rivolto alle comunità energetiche nei piccoli Comuni con meno di 5.000 abitanti – che supporterà lo sviluppo di appena 2 GW complessivi. Il secondo è una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale, per favorire al massimo lo sviluppo di 5 GW complessivi di impianti di produzione di energia rinnovabile.

Comunita energetica 2
I moduli fotovoltaici hanno una grande versatilità e adattabilità al supporto su cui vengono istallati.

Il decreto inoltre prevede una tariffa incentivante differenziata per potenza dell’impianto, senza però fare una distinzione tra le varie tipologie di impianto per la produzione di rinnovabile. “Solare, eolico e idroelettrico hanno, per unità di potenza, costi diversi e per massimizzare i vantaggi per le comunità energetiche – che, ricordiamo, si possono fare con tutte le tecnologie rinnovabili – è bene che venga presa in considerazione anche la differenza di costo, al fine non solo di valorizzare le diverse fonti e risorse ma anche di garantire tempi di rientro consoni dei diversi investimenti”, sottolinea Legambiente nel report.

Le criticità che costellano il decreto attutivo sono ancora numerose. Per esempio non si menziona alcun incentivo per coloro che intendono condividere energia termica, nonostante i costi per il riscaldamento siano tra i più onerosi per le tasche degli italiani. Ma soprattutto il testo non prevede lo scorporo diretto in bolletta per l’energia condivisa dagli utenti. Di conseguenza gli utenti pagheranno l’energia per intero in bolletta e solo in un secondo momento si vedranno riconosciuta economicamente l’energia immessa in rete e l’incentivo per quella condivisa nelle CER: forse un passaggio ulteriore che si sarebbe potuto evitare a monte, all’emissione della bolletta.

Altre questioni da chiarire riguardano più strettamente la pubblicazione del bando PNRR a carico delle piccole comunità, così come la possibilità o meno di avanzare una richiesta di ammissione al finanziamento da parte di una comunità energetica rinnovabile in via di costituzione e non già esistente.

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Comunità energetiche rinnovabili: a che punto è la normativa che le disciplina?
Impianti fotovoltaici sui tetti di alcune abitazioni.

Se a livello centrale la normativa continua a disseminare una serie notevole di ostacoli alle forme di incentivo per le comunità energetiche rinnovabili, negli interminabili mesi di ritardo e attesa del decreto attuativo a livello regionale le amministrazioni di quasi tutta Italia si sono mosse a vario titolo per incentivare lo sviluppo delle CER. Sono ben 15 le regioni italiane che hanno sviluppato delle leggi ad hoc prevedendo anche importanti risorse, per oltre 30 milioni di euro sulla base dei fondi nazionali previsti dal PNRR.

Dalla propria, il MASE – in collaborazione con la Rete Nazionale delle Agenzie per l’Energia Locali (RNAEL) – ha annunciato l’avvio a livello nazionale dei primi One Stop Shop (OSS): punti operativi aperti al pubblico, di supporto ai territori sul tema delle energie rinnovabili e la riqualificazione energetica, con particolare attenzione allo sviluppo alle Comunità Energetiche Rinnovabili. Un’iniziativa che nelle parole del ministro Pichetto Fratin, potrà dare «un’ulteriore spinta alla conoscibilità e all’affermazione delle CER come modello vincente di produzione e condivisione di energia rinnovabile».

E se finora l’apparato legislativo e burocratico sembra abbia intralciato e ritardato non poco la transizione energetica, le intenzioni della politica sembrano opposte. Lo sviluppo di forme di autoproduzione e diffusione dell’energia è innanzitutto un cambiamento culturale che può essere direzionato dalla politica, a volte ritardato dagli ingranaggi della burocrazia, ma la cui spinta propulsiva non può che nascere dal basso. E il crescente interesse per questa forma di produzione e condivisione tra utenti ne è la riprova.



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