Mentre in Turchia si torna a discutere della soluzione dell’annosa questione curda dopo il lancio di una nuova iniziativa da parte del governo, la caduta del regime di Bashar al-Assad rafforza la posizione turca sia nella vicina Siria sia nel più ampio contesto mediorientale. Proprio qui la riduzione dell’influenza iraniana e il rimescolamento degli equilibri regionali sembrano infatti giocare a favore di un accresciuto ruolo di Ankara. Resta da vedere in che modo il governo turco riuscirà a capitalizzare questa nuova “posizione dominante”.
Quadro interno
Negli ultimi mesi la questione curda è tornata al centro del dibattito politico in Turchia. Sembra infatti prospettarsi la possibilità di una ripresa del processo di pace tra lo stato turco e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) dopo quasi un decennio dalla fine del precedente tentativo negoziale. Nel 2015 l’interruzione della tregua da parte del Pkk ha prodotto una nuova ondata di attentati terroristici nel paese, il più recente dei quali è avvenuto a ottobre 2024 nella sede delle Industrie aerospaziali turche (Tai). Il primo passo di quella che è stata definita “iniziativa senza terrore”[1] è rappresentato dall’inedita stretta di mano tra Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp) e partner di governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan all’interno dell’Alleanza del popolo, e alcuni parlamentari del filo-curdo Partito popolare per l’uguaglianza e la democrazia (Dem) in occasione della seduta di inaugurazione della legislatura dell’Assemblea nazionale a inizio ottobre. Ancora più sorprendente è stata l’apertura di Bahçeli, noto per il suo approccio duro nei confronti della questione curda, verso il fondatore del Pkk Abdullah Öcalan (in prigione dal 1999), esortandolo a chiedere apertamente all’organizzazione – considerata terroristica in Turchia, Stati Uniti e Unione europea (UE) – di deporre le armi e cessare qualsiasi attività terroristica, prospettando in cambio la possibilità di una scarcerazione per il leader curdo[2]. Questa apertura, avallata anche dal presidente turco, è stata accolta favorevolmente da Öcalan, cui è stato consentito di ricevere in prigione visite dall’esterno per la prima volta dopo anni. Oltre al nipote Omer Öcalan, deputato del Dem, una delegazione della stessa formazione filo-curda – in parlamento all’interno dell’Alleanza per il lavoro e la libertà (57 seggi) – si è recata nel carcere sull’isola di İmralı nella parte meridionale del Mar di Marmara[3]. La visita del 28 dicembre ha così dato avvio a una serie di incontri tra la delegazione del Dem ed esponenti delle formazioni della maggioranza – Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) e Mhp – e dell’opposizione – tra cui il Partito repubblicano del popolo (Chp), il Partito della democrazia e del progresso (Deva) e il Partito del Benessere – con l’obiettivo di portare avanti un dialogo ampio a livello politico per la soluzione dell’annosa questione curda[4]. In questa prima fase ai parlamentari del Dem è stato consentito di visitare anche Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, co-presidenti del Partito democratico dei popoli (Hdp, predecessore del Dem) in carcere dal 2016[5].
Il consenso dimostrato finora dalle forze politiche turche nei confronti dell’iniziativa è certamente un segnale positivo, tuttavia, i passi da compiere sono ancora molti, nonostante l’ottimismo del presidente turco su una sua conclusione in tempi brevi[6]. La svolta da parte dell’Akp e del Mhp, dopo anni di dura repressione nei confronti delle formazioni partitiche curde per legami (reali o presunti), con il Pkk, sarebbe motivata sia da ragioni di carattere interno sia dalle trasformazioni a livello regionale. Sul piano interno, ci sarebbe innanzitutto una volontà di porre fine allo scontro e alla violenza che in quarant’anni ha provocato decine di migliaia di morti. Dalla ripresa delle ostilità nel luglio del 2015, dopo che il Pkk ha rotto il cessate il fuoco che aveva unilateralmente proclamato nel 2012, sarebbero oltre 7.000 le vittime tra civili, militari e miliziani curdi in Turchia e nel nord dell’Iraq[7].
Inoltre una riconciliazione con la componente curda della popolazione (tra il 15% e il 20% del totale secondo le stime) potrebbe consentire a Erdoğan e al suo partito di riguadagnare consensi presso questo ampio bacino elettorale, soprattutto alla luce della sconfitta alle amministrative del 2024, nonché di avere il supporto del Dem per raggiungere in seno all’Assemblea nazionale la maggioranza necessaria (360 su 600) a portare avanti la riforma della Costituzione e abolire il limite dei due mandati presidenziali. L’attuale presidente punterebbe infatti a ricandidarsi per un ulteriore quinquennio nel 2028[8]. Eletto per la prima volta nel 2014 dall’Assemblea nazionale, quando in Turchia c’era il sistema parlamentare, Erdoğan è stato confermato alla guida del paese con elezioni dirette nel 2018 e 2024 dopo l’entrata in vigore del sistema presidenziale (votato tramite referendum nel 2017). Al di là della questione dei mandati, la riforma dell’attuale carta costituzionale – emanata nel 1982 dopo due anni di regime militare seguito al colpo di stato del 1980, ha subito negli anni una ventina di emendamenti – rimane uno dei punti principali nell’agenda del governo[9].
All’interno dell’iniziativa di riconciliazione si inserisce anche la decisione dell’esecutivo di investire 14 miliardi di dollari[10] per favorire lo sviluppo socioeconomico delle regioni sud-orientali della penisola anatolica a maggioranza curda, di fatto le più arretrate del paese. D’altra parte il governo ha continuato la stretta nei confronti degli amministratori locali di etnia curda. Il caso più recente risale a metà gennaio e riguarda i due co-sindaci di Akdeniz, città della provincia meridionale di Mersin, arrestati con l’accusa di svolgere attività terroristiche[11]. Negli anni, soprattutto dopo le amministrative del 2019, sono stati decine gli amministratori locali curdi destituiti dai loro incarichi pubblici e/o arrestati con accuse simili e successivamente sostituiti con commissari di nomina governativa. Contestualmente, nell’ambito di un’indagine relativa ad appalti pubblici truccati ha destato clamore anche l’arresto del sindaco del distretto di Beşiktaş (nella parte europea di Istanbul), Rıza Akpolat in quota Chp[12]. Nelle fila del principale partito dell’opposizione sono infatti in molti a ritenere che questo arresto rientri in un’azione del governo volta a indebolire il popolare sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, riconfermato alla guida del principale centro finanziario e culturale del paese nelle elezioni del 2024 in cui il Chp è risultato primo partito del paese per la prima volta dopo decenni[13].
Sul piano economico si iniziano a vedere i primi effetti delle politiche restrittive adottate dal governo in campo monetario e fiscale dopo la vittoria elettorale del 2023, segnando un ritorno all’ortodossia economica dopo anni di politiche “non ortodosse”. Il primo segnale positivo è dato dal progressivo calo dell’inflazione negli ultimi mesi dell’anno, tasso che a dicembre si è attestato al 44,38%[14]. Sebbene il valore rimanga elevato, si tratta di una flessione significativa rispetto al picco annuale del 75,5% registrato lo scorso maggio. Questo risultato ha spinto la Banca centrale turca a tagliare di 2,5 punti il tasso di interesse portandolo al 47,5% per la prima volta da febbraio 2024 quando era stato aumentato al 50%[15]. Altro segnale positivo è la riduzione del 31,5% del deficit commerciale nei primi nove mesi dell’anno, attestandosi a 60,1 miliardi di dollari[16], e delle partite correnti: 9,7 miliardi di dollari rispetto ai 38,9 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente[17]. L’inversione di marcia del governo rispetto alle precedenti politiche espansive, oltre al calo dei consumi, ha inevitabilmente portato a un rallentamento della crescita del prodotto interno lordo (Pil), che nel terzo trimestre dell’anno è sceso al 2,1%, rispetto al 2,4% del secondo trimestre e al 5,3% di quello precedente[18]. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale la crescita annua turca sarebbe del 3,0% nel 2024, con una contrazione al 2,7% nel 2025[19].
Relazioni esterne
La rapida e inattesa caduta di Bashar al-Assad lo scorso 8 dicembre è stata accolta con grande favore dalla Turchia che, dopo oltre tredici anni, vede realizzato l’obiettivo del regime change in Siria. Lo scoppio del conflitto siriano nel 2011 aveva rappresentato un punto di svolta per la politica di Ankara in Medio Oriente, accrescendone il coinvolgimento anche sul piano militare. A partire dal 2016 infatti l’esercito turco ha condotto diverse operazioni di terra nel nord della Siria in chiave anti-curda con lo scopo di impedire la formazione di un’autonomia territoriale delle aree a maggioranza curda del nord del paese sotto il controllo delle Unità di protezione popolare (Ypg), milizie che Ankara considera strettamente legate al Pkk. Il contrasto alle Ypg ha prodotto negli anni forti contrasti con Washington, che hanno avuto nelle forze curde il principale partner sul terreno nella lotta allo Stato islamico (IS) a partire dal 2014, e continua rimanere una questione critica tra i due alleati della Nato.
Con la fine del regime siriano la Turchia vede anche rafforzata la propria posizione in Siria rispetto ai due tradizionali alleati di Assad, Russia e Iran, che di fatto non sono stati in grado di assicurarne la sopravvivenza politica di fronte all’avanzata dei ribelli guidati da Hay’at Tahrir al-Sham. Un’avanzata che Ankara ha indirettamente favorito attraverso il reiterato sostegno a gruppi sunniti dell’opposizione siriana. Su questo sfondo non sorprende dunque che l’ambasciata turca a Damasco sia stata riaperta pochi giorni dopo la caduta di Assad e che il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan sia stato il primo a recarsi in Siria, il 22 dicembre, per incontrarne il de facto leader Ahmed al- Sharaʿ, meglio conosciuto come Abu Mohammad al-Jawlani. E non sorprende neanche che nell’occasione il ministro turco abbia sottolineato che “l’integrità territoriale della Siria non è negoziabile e non c’è posto per Pkk/Ypg in Siria”[20]. Il sostegno turco al nuovo governo di transizione si accompagna infatti all’interesse nel contrastare qualsiasi ambizione territoriale e autonomistica da parte curda, questione su cui c’è piena convergenza con la nuova leadership siriana. Non c’è dubbio che Ankara intenda capitalizzare la sua nuova posizione dominante in Siria e lo ha dimostrato già all’indomani della caduta di Assad supportando l’avanzata dell’Esercito nazionale siriano (Sna, composto da gruppi sunniti di opposizione) verso le aree del nord-est del paese dove le Forze democratiche siriane (Sdf), di cui fanno parte anche le Ypg, hanno perso il controllo di porzioni di territorio a est di Afrin, comprese le città di Tell Rifaat e Manbij, situate a ovest del fiume Eufrate[21].
Altro obiettivo di Ankara è il ripristino di una situazione di sicurezza che possa favorire il ritorno dei rifugiati siriani (oltre 3,2 milioni, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite) nel loro paese. La presenza dei rifugiati è da tempo diventata fonte di crescente malcontento socioeconomico in Turchia e la questione del loro rimpatrio è stata uno dei temi della campagna elettorale del presidente Erdoğan, e anche delle opposizioni, nel 2023. Se un ritorno in massa dei siriani sembra difficile senza che venga prima intrapreso un significativo sforzo di ricostruzione del paese, ai rifugiati presenti sul territorio turco il governo ha di recente consentito la possibilità di recarsi in Siria per verificare le condizioni delle loro abitazioni e di rientrare poi in Turchia, abolendo un divieto precedentemente in vigore[22]. Senza dubbio la ricostruzione della Siria è nell’interesse di Ankara così come degli altri paesi della regione[23], ma il paese potrebbe diventare anche nuovo spazio di competizione tra stati mediorientali, desiderosi di estendere la propria sfera di influenza, nonché terreno di scontro con Israele che per garantire la sicurezza del proprio territorio ha ampliato la zona cuscinetto occupando una nuova porzione di territorio siriano. A ciò si aggiunge il timore di Ankara per un eventuale sostegno di Tel Aviv alle milizie curde nel nord-est[24].
Se la Siria potrebbe rappresentare una nuova fonte di contrasto nei già tesi rapporti tra Turchia e Israele, l’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza è stata accolta con grande favore da Ankara, che non ha mancato di fare la sua parte con costanti contatti tra la sua intelligence ed esponenti dell’organizzazione palestinese nella fase negoziale. Nel corso dei mesi la guerra a Gaza ha ampliato la distanza tra i due stati, sebbene non ci sia stata una rottura ufficiale delle relazioni a livello diplomatico. E a inizio novembre il governo turco si è fatto anche promotore di una richiesta, cui hanno aderito 52 stati in seno alle Nazioni Unite e due organizzazioni internazionali, per bloccare le esportazioni di armi verso Israele[25].
Sul piano regionale, al deterioramento dei rapporti con Tel Aviv fanno da contraltare il riavvicinamento con l’Egitto, culminato con la visita del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in Turchia a inizio settembre, e il rafforzamento della cooperazione con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Una cooperazione che dal campo economico si sta progressivamente estendendo anche al settore della difesa, con la fornitura di droni e di tecnologia militare turchi alle due monarchie del Golfo[26]. Nel 2024 sono ben 185 gli stati in cui la Turchia ha esportato prodotti della sua industria della difesa, le cui forniture hanno raggiunto un valore di 7,2 miliardi di dollari nel 2024, il 30% in più rispetto all’anno precedente (5,5 miliardi di dollari)[27]. Nel settore della difesa un importante sviluppo riguarda l’apertura della Germania alla vendita di caccia Eurofighter Typhoon alla Turchia[28]. Il miglioramento delle relazioni di Ankara con Atene con l’avvio di un processo di distensione è tra la ragioni che hanno spinto Berlino a rivedere la sua posizione dopo che gli altri membri del consorzio (Gran Bretagna, Italia e Spagna) avevano espresso parere positivo.
Se, al di là della questione degli Eurofigther, le relazioni di Ankara con i paesi europei non hanno registrato sviluppi significativi negli ultimi mesi, con gli Stati Uniti nuovi scenari si potrebbero aprire sotto la seconda presidenza Trump. Nonostante permangano delle criticità a livello bilaterale – dalla cooperazione di Ankara con Mosca al sostegno statunitense alle milizie curde siriane –, una maggiore affinità sul piano personale di Erdoğan con Donald Trump rispetto a quella con Joe Biden potrebbe favorire un miglioramento e avviare una nuova fase. Molto dipenderà dall’approccio che l’amministrazione Trump adotterà in concreto sui quei dossier internazionali e regionali – dalla guerra in Ucraina alla ricostruzione della Siria e al conflitto a Gaza – che direttamente o indirettamente coinvolgono anche la Turchia. Per entrambi i leader il mandato presidenziale scadrà nel 2028, un tempo congruo per ricucire gli strappi esistenti, ma anche per provocarne di nuovi.
[1] “Terror-free Türkiye: An initiative to end PKK violence”, Daily Sabah, 10 gennaio 2025.
[2] Ibidem.
[3] “Post-İmralı dialogue expands: DEM Party plan second visit to foster reconciliation”, Medyanews, 17 gennaio 2025.
[4] Ibidem.
[5] “DEM Party delegation visits jailed HDP co-chair Figen Yüksekdağ amid peace efforts”, DuvaR.english, 12 gennaio 2025.
[6] “Turkey’s Erdoğan claims peace process ‘near completion’”, DuvaR.english, 18 gennaio 2025.
[7] International Crisis Group, “Türkiye’s PKK Conflict: A Visual Explainer”, 20 gennaio 2025.
[8] https://x.com/ragipsoylu/status/1855652826396963106; “Fourth term for Erdoğan ‘on our agenda’, ruling AKP spokesperson says”, duvaR.english, 14 gennaio 2025.
[9] “New constitution an apparatus of reform: Turkish Parliament Speaker”, Daily Sabah, 11 ottobre 2024.
[10] N. Devranuglu, “Turkey announces $14 billion regional development plan for Kurdish southeast”, Reuters, 29 dicembre 2024.
[11] “Ankara arrests pro-Kurdish party mayors, appoints trustee”, duvaR.english, 14 gennaio 2025.
[12] “Thousands protest outside Beşiktaş Municipality after call to arrest CHP mayor”, duvaR.english, 17 gennaio 2025.
[13] Ibidem.
[14] Turkish Statistical Institute, “Consumer Price Index, December 2024”, 30 novembre 2024.
[15] Economist Intelligence Unit, Bank cuts policy rate, citing confidence on inflation, 2 gennaio 2025.
[16] Economist Intelligence Unit, Turkey’s trade deficit is likely to narrow further, 8 ottobre 2024.
[17] Economist Intelligence Unit, Summer current account surplus underpins Turkish reserves, 15 ottobre 2024.
[18] Turkish Statistical Institute, “Quarterly Gross Domestic Product, Quarter III: July-September, 2024”, Press Release, 29 novembre 2024.
[19] International Monetary Fund, World Economic Outlook, ottobre 2024.
[20] E. Tekin e S. Sevencan, “Syria’s territorial integrity ‘non-negotiable,’ no place for PKK/YPG terror group in country: Turkish foreign minister”, Anadolu Agency, 22 dicembre 2024.
[21] A. Zaman, “Syria’s Kurds faced with all-out war as Turkey, Sunni allies target Kobani”, Al-Monitor, 10 dicembre 2024.
[22] E. Akin, “As Turkey eases ban, Syrian refugees can now visit before deciding to return”, Al-Monitor, 10 gennaio 2025.
[23] I. Khazen, “Arab-international meeting on Syria opens in Saudi capital”, Anadolu Agency, 12 gennaio 2025.
[24] E. Akin, “Turkey’s ruling party hits out at Israel’s support for Kurdish-led SDF”, Al-Monitor, 10 gennaio 2025.
[25] United Nations, Joint call to halt arms transfers to Israel signed by 52 Member States and two international organizations – Letter from Türkiye (A/79/572-S/2024/802).
[26] Si veda V. Talbot, “Türkiye in an Evolving Middle East: Stabilisation Through Normalisation?”, in V. Talbot (a cura di), Economic Cooperation: A Driver of Stability in the MENA Region?, Ledizioni, dicembre 2025.
[27] D. Aslan, “Türkiye ranks 11th in countries exporting defense products”, 15 gennaio 2025.
[28] “Germany took step toward clearing Turkey’s Eurofighter jet buy, Turkish official says”, Reuters, 14 novembre 2024.
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