La disponibilità economica è la metà di quella lombarda. Il declino dell’agricoltura e dell’industria
La Campania è tra le realtà più povere d’Italia. Le famiglie hanno un reddito che è quasi la metà di quelle lombarde, hanno una disponibilità di spesa inferiore del resto delle famiglie italiane e il Pil campano, nonostante una crescita in linea con la media nazionale, se calcolato per abitante, risulta essere la metà di quello delle regioni più ricche del Paese.
L’analisi
A dipingere l’ennesimo quadro di un’Italia sempre più diseguale, che nel divario tra Nord e Sud rischia di sprofondarci, sono, ancora una volta, i dati pubblicati dall’stat. l’Istituto Nazionale di Statistica attraverso il suo «Report sui conti economici territoriali» evidenzia gli aspetti economici della crisi meridionale; una crisi nella quella la Campania rappresenta l’esempio perfetto per analizzare l’affanno cronico del Mezzogiorno.
Il sostentamento
Risulta infatti, tra tutte le regioni italiane, l’ultima in classifica nella spesa per consumi finali delle famiglie e cioè «la quantità di denaro speso per il soddisfacimento diretto dei bisogni primari». Le famiglie campane spendono in media 15 mila euro per il sostentamento, meno di quelle pugliesi (16 mila euro) e di quelle siciliane (17 mila euro). La cifra campana è inferiore rispetto alla media nazionale (21,2 mila euro) ed è quasi la metà di quella della Valle d’Aosta (30,5 mila euro), di quella lombarda (24,3 mila euro) e di quella dell’Emilia Romagna (24,4 mila euro).
La spesa
Anche la crescita del volume di spesa vede la Campania ultima in Italia con un tasso di appena 0,4%, meno della metà della media nazionale (1%). Eppure il Pil del Mezzogiorno fa registrare una crescita dell’1,5%, più alta rispetto alla media nazionale (0,7%) e a quella del Centro (0,3%), del Nord-ovest (0,4%) e del Nord-est (0,4%).
Il reddito disponibile
Un’espansione, quella del Pil meridionale, che però non ha effetti concreti sul reddito disponibile che, seppure in aumento anche al Sud (+ 4,7%), rimane inferiore all’inflazione (5,7%) che erode ogni tipo di beneficio.
Agricoltura e industria
Se si analizzano i dati economici nel dettaglio si può notare come la crescita del Pil, sopratutto nel Mezzogiorno, è trainata quasi esclusivamente dal settore delle costruzioni che è quello che apporta il maggior valore aggiunto (7,3%). Nel Sud, infatti, decresce il settore agricolo (-2,1%) e quello industriale resta quasi fermo (0,1%). I dati campani mostrano con maggior chiarezza questo processo. Se l’agricoltura campana fa registrare nel 2023 un -1,3%, l’industria -0,7% e i servizi -1,8%, l’edilizia raggiunge un netto +42,4%. Un record spiegato facilmente dall’aumento valore degli investimenti pubblici che, per il settore delle costruzioni, sono cresciuti in Campania, rispetto al 2019, del 97%, un tasso triplo rispetto al Centro-Nord. Dunque la crescita di questo comparto, e di conseguenza in gran parte anche del Pil regionale, è sostenuta, se non addirittura dopata, da un supporto pubblico che, attraverso il Superbonus e le altre agevolazioni, ha indirizzato e spinto il mercato. A questo va aggiunto anche il beneficio derivante dal Pnrr che, sebbene limitato fino alla fine del 2022 a causa dei ritardi e delle lungaggini burocratiche e delle false partenze, inizia a produrre risultati concreti.
Il Pil
Calcolando il Pil campano per abitante e confrontandolo con quello delle altre regioni si può facilmente notare che la Campania con 23.200 euro ha il terzo Pil procapite più basso d’Italia, meno della metà di quello lombardo (49.100 euro) e nettamente inferiore anche a quello del Lazio (41.000), dell’Abruzzo (31.000 euro) o della Basilicata (30.500 euro). Campania povera dunque dove però prospera un’economia sommersa che, per quel che l’Istat riesce a calcolare, rappresenta il vero tessuto regionale. Un’economia invisibile che è comune a tutto il Sud e che, se misurata anche approssimativamente, sovverte le classifiche.
Il sommerso
Secondo i dati dell’Istat, nel 2022 l’economia non osservata (definita dalla somma della componente sommersa e di quella illegale) in Italia rappresenta l’11,2% del valore aggiunto complessivo (+1,1%), e se al Nord resta sotto il 10% al Sud supera il 16%. A traino di quest’economia non osservata c’è la Campania (16,9%), preceduta solo da Calabria (19,1%) e Puglia (17,2%). Una realtà invisibile che però muove flussi di denaro, impiega lavoratori e, dopo aver condizionato il passato oggi incide sul futuro del Mezzogiorno.
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