Praesidium: “Vendita CRO, l’ennesima occasione persa dal territorio”

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Tempo di lettura: 3 Minutei

di Praesidium

Come ampiamente annunciato (Bye Bye Cassa di Risparmio di Orvieto) si è chiusa la trattativa tra Mediocredito Centrale (MCC) e la Banca del Fucino per l’acquisizione della Cassa di Risparmio di Orvieto (CRO).

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A parte le assicurazioni di rito che sono tipiche del comunicato che sempre viene emesso in queste circostanze, crediamo valga la pena mettere in luce le problematiche sottese e che cosa cambia da questo momento per il nostro territorio.

La storia è chiara: il “Terremoto Banca Popolare di Bari,” si è abbattuto sulla CRO, provocando a sé stessa, ai suoi clienti ed al suo socio (Fondazione), un danno di circa 150 milioni di euro.

Lo Stato, attraverso il MCC, ha provveduto a salvare con un’iniezione di liquidità di 27 milioni di euro la CRO che, una volta risanata, è stata messa sul mercato e la sua quota di maggioranza è stata acquisita dalla Banca del Fucino.

Si potrebbe pensare che nulla cambi in quanto sono tantissimi anni che la quota di maggioranza della nostra Banca è stata venduta, ma non è così.

Nessuna istituzione locale infatti ha più titolo per intervenire sulla gestione della Banca

Fino all’ultimo aumento di capitale, la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto aveva una quota di minoranza qualificata e attraverso patti parasociali esprimeva il presidente e due consiglieri nel CDA di CRO; questa presenza avrebbe dovuto essere, cosa che non è stata, anche una garanzia per il territorio.

Oggi, al netto del contenzioso sul valore della ricapitalizzazione che vedremo come si chiuderà, la Fondazione è un semplice socio investitore di minoranza senza particolari diritti e, come i recenti fatti dimostrano, se il socio di maggioranza lo decide non esprime nemmeno un consigliere, pertanto, non può più esercitare alcuna particolare azione di controllo.

La sua partecipazione è semplicemente finanziaria è l’unica cosa che ci si può attendere sono gli utili, se riprenderanno dopo tanti anni a essere distribuiti.

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Politiche di efficientamento, riduzione costi e presidio commerciale saranno totalmente gestiti dal socio di maggioranza secondo la logica di mercato.

Sarà importante e interessante vedere come il socio di maggioranza gestirà i rapporti con la nostra Fondazione che oggi ha tutto l’interesse a vendere la sua partecipazione residua.

Occasione persa

Il fatto che per alcuni anni la Banca sia stata gestita dal MCC, poteva per il nostro territorio essere una occasione importante per sviluppare politiche a favore dello sviluppo di imprese; questa attività, infatti, è svolta per statuto dal socio di maggioranza.

Né le amministrazioni locali, né la regione, hanno saputo approfittare di questa circostanza attivando specifici obiettivi e capacità progettuali, e dire che vista la situazione recessiva del territorio ce ne sarebbe stato fortemente bisogno.

Oggi la regione ha sicuramente a disposizione, al di là delle dichiarazioni, un asset in meno per le sue politiche di sviluppo economico.

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Al di là delle dichiarazioni di rito, una volta passato il periodo di passaggio, sarà necessario conoscere il piano industriale che Banca del Fucino prevede per il nostro territorio.

– Quale sarà il rapporto con la Fondazione con cui è pendente un contenzioso? Non è un buon segno che non si siano mai sentiti?

– Quale la politica di investimento sul territorio che di per sé stesso è fragile e ha bisogno di nuove metodiche e che permetta di impiegare la raccolta per il nostro sviluppo?

– Quale il piano di costi e ricavi che permetterà di aumentare la redditività della CRO?

-Quali funzioni corporate rimarranno ad Orvieto al di là delle minime necessarie?

-Chi si pensa di coinvolgere nel CDA a tutela del territorio?

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Poiché chi si brucia si fa attento anche all’accensione di una fiammella, ricordiamo che la proprietà dell’istituto bancario si trova in altra regione e, a parte la raccolta, le sollecitazioni e le politiche di investimento possono essere più forti altrove.

Ricordiamo che in passato la Vigilanza sia locale che istituzionale ha clamorosamente fallito.



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