A livello istituzionale, nel periodo repubblicano dopo la caduta del regime fascista tutto ciò che riguardava il turismo passò dal MinCulPop al Ministero del Turismo e dello Spettacolo (1959). In realtà, nato nel 1959 come Direzione generale del turismo – costola dell’effettivo Ministero del turismo e dello spettacolo – ed evolutosi poi in diverse forme, il Ministero del Turismo rinasce nel 2021 durante il governo Draghi e come risultato della separazione del Ministero della cultura dell’ex Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Con questa decisione, dopo 27 anni dall’abrogazione del Ministero del turismo e dello spettacolo, il Ministero del Turismo viene dotato per la prima volta di portafoglio.
Il Piano strategico del Turismo (PST) 2023-27 (2)
Al di là dell’evoluzione storica del Ministero è però interessante notare ai fini di questa trattazione il ruolo che questo ricopre oggi e le sue specifiche in merito al turismo. Nella sezione “Piano strategico del turismo (PST)” del sito web si parla appunto di “documento chiave per la pianificazione e lo sviluppo del turismo in Italia”, che delinea le priorità e le azioni strategiche per promuovere un turismo sostenibile, innovativo e competitivo a livello internazionale, che affronta sfide come la digitalizzazione, la sostenibilità ambientale e l’inclusione.
Sarà quindi la premessa di questo documento a guidarci nell’analisi della tematica. Come prima cosa viene detto che il turismo è un
settore economico prioritario, trainante (1) e non ancillare ad altri […], un volano per la crescita di numerose nazioni, tra cui certamente l’Italia, traducendosi in fattore di sviluppo capace di amplificare l’impatto degli investimenti effettuati in termini di PIL (1) occupazione (2) reputazione del marchio Italia.
Partendo dal presupposto che è difficile definire il turismo in sé (3), occupiamoci dell’affermazione secondo la quale il turismo è un settore trainante (e non trainato) dell’economia. Un interessante spunto di riflessione è quello fornito da Pagella Politica (4). La questione è posta in primis sul piano metodologico e pone il problema di cosa significhi essere un settore trainante dal punto di vista economico. Ragionando per ipotesi, se il turismo fosse un settore trainante allora dovrebbe soddisfare una di queste due condizioni:
- avere un peso notevole sulla produzione di un Paese o sul valore aggiunto (in pratica sul PIL)
- essere caratterizzato da una forte crescita (indipendentemente dal peso sul PIL).
L’11 novembre in occasione del Forum internazionale del turismo tenutosi a Firenze la ministra Santanchè ha dichiarato che
il settore [turistico] aiuta in modo straordinario il Paese: nel 2023 la spesa complessiva nel comparto del turismo ha raggiunto la quota record di 155 miliardi di euro. E questo si traduce in un incremento complessivo di 366 miliardi, pari quasi al 18 per cento dei pil. Ecco, quei 366 miliardi rappresentano l’impatto del mondo turistico sull’economia italiana, certificato dalla Banca d’Italia».
Affermazioni forti, decise e, qualora vere, porterebbero a spiegare il perché bisognerebbe investire nel turismo. Ma la situazione, come si poteva immaginare, non è proprio questa: salta subito all’occhio come, facendo qualche ricerca su internet, non esista al momento nessuno studio di Banca d’Italia che confermi le affermazioni della ministra e che lo studio dell’Università Tor Vergata di Roma, rilanciato da diversi giornali come base di queste affermazioni, non sia in realtà ancora accessibile perché privo dell’autorizzazione del Ministero per la sua diffusione (Pagella Politica (5)). Presumibilmente si parla di una disponibilità prevista per febbraio 2025, in vista del G7 sul turismo e, fino ad allora, dovremo accontentarci delle dichiarazioni del Ministero che non avendo basi non risultano verificabili.
Al di là della correttezza o meno dei numeri e della mancata trasparenza della questione – questione gravissima su cui, in realtà, andrebbe dedicato tutto un intero articolo poiché si tratta di un gesto che va contro i principi di responsabilità e trasparenza, cardini della democraticità – e, data la mancanza di una definizione chiara di turismo, risulta difficile metodologicamente capire se il turismo sia settore trainante o meno. In questa sede ci limitiamo a commentare i – pochi – dati che attualmente sono disponibili.
Secondo l’ISTAT nel 2017 il valore aggiunto del turismo in Italia si aggirava attorno ai 100 miliardi(circa il 6% del PIL totale (6)): cifre che risultano quindi molto distanti dai 155 (che con il moltiplicatore diventano 366) e dal famoso 18% (7).
L’impatto poi del turismo a livello occupazionale apre un’altra importante questione. Secondo una ricerca del 2011 condotta dalle università di Clemson e Michigan (8), quando si parla di turismo e di mondo del lavoro l’idea è spesso quella che generare posti di lavoro sia utile di per sé, al di là delle condizioni qualitative e salariali. È vero che spesso il turismo è capace di creare molti posti di lavoro, andando ad influenzare sì a livello quantitativo, ma si tralascia però il fatto che la qualità del lavoro stessa è solitamente bassa, caratterizzata da salari precari e contratti part-time o stagionali. Nonostante il turismo possa sembrare una soluzione politica facile e popolare perché capace di generare impatto nel breve periodo e migliorare l’immagine del Paese, questa visione non è sostenibile nel lungo periodo soprattutto perché in realtà non si concretizza né in una crescita effettiva né in migliori condizioni di vita o mobilità sociale per chi lavora nel settore (a meno che non si ricoprano mansioni imprenditoriali che però lasciano spazio a pochi lavoratori).
Torniamo al discorso sulle retribuzioni. Come mostra un’elaborazione di Riccardo Trezzi sui dati ISTAT, è possibile notare come nel settore manifatturiero e della ricerca e sviluppo queste abbiano visto negli ultimi anni una crescita del 40-45%, mentre quelle del settore prettamente turistico (servizi di ristorazione ed hotel) una crescita tra il 24 e 27% (9).
Quindi no, il turismo non è un settore trainante, non è attrattivo per il mercato del lavoro, è lontano da dinamiche e prospettive di crescita e non è dunque da inquadrare quale settore capace di favorire la crescita del paese perché semplicemente non è questo quello che fa.
Per completezza va anche sottolineato che le attività economiche che maggiormente si legano al settore turistico (alberghi e ristoranti, trasporto e noleggio, servizi culturali, sportivi e ricreazione, agenzie di viaggio, ecc. che, tra le altre cose pesano per il 71,9% delle imprese totali coinvolte nel turismo) hanno una dimensione molto ridotta: il 90% è costituito da microimprese, aventi dagli uno ai quattro addetti. A queste imprese corrisponde il 15% dell’occupazione nazionale (10).
Infine, è dal 2011 che si sollevano dubbi in termini di qualità dei servizi, trasporti e produttività (11).
- Qualità: come l’economia è cambiato anche il turismo, in termini sia di quantità – più viaggi ma meno lunghi soprattutto grazie alla rivoluzione dei low cost – sia di qualità: “la necessità di servizi ed esperienze di qualità non è limitata al mercato dei servizi di lusso. I visitatori si aspettano servizi ed esperienze di qualità a prescindere dal tipo e dal livello del prodotto. A causa della struttura dell’offerta italiana la gestione della qualità turistica è un aspetto che richiede particolare attenzione. Le imprese di piccole dimensioni di solito non offrono servizi standardizzati e non sono in grado di utilizzare metodi industriali di gestione della qualità”. Lo stesso discorso può estendersi anche all’utilizzo delle tecnologie, difficilmente impiegate dalle microimprese italiane.
- Produttività: pilastro in termini di competitività, nel settore turistico è un argomento delicato in quanto la quasi totale presenza di microimprese e la dipendenza dal capitale umano (la cosiddetta manodopera) rendono molto difficoltoso un incremento in termini di produttività.
Il turismo e la sostenibilità
E’ stato affermato “meno industria, più turismo, più ambiente” come se il turismo possa davvero essere la soluzione più auspicabile in termini ambientali. In realtà ormai i danni del settore turistico sono sotto gli occhi di tutti, ad eccezione del Ministro che afferma che parlare di over tourism è una bestemmia ignorando ad esempio l’esistenza del cosiddetto “caso Venezia”, esempio emblematico di over tourism di cui si parla da anni e a cui è stato cercato di porre rimedio con una serie di regole di accesso tra cui la famosissima tassa di 5 euro per i visitatori giornalieri. Altri danni provocati dal turismo riguardano l’aumento dei prezzi locali: la forte domanda turistica gonfia i prezzi di beni e servizi andando così ad incidere negativamente sulla vita dei residenti che, il più delle volte, per ovviare al problema decidono di trasferirsi. Altri esempi riguardano la perdita di identità culturale dovuta alla trasformazione delle più grandi mete – ma non solo – in luoghi da cartolina. Si potrebbe poi parlare anche dei problemi relativi al traffico e alla congestione stradale causati dall’enorme afflusso turistico – di cui certamente vedremo notizie anche per l’attesissimo Giubileo-, dei danni agli ecosistemi (si pensi a questo proposito a quelle spiagge o luoghi naturali in cui è imposto un ticket all’ingresso per evitarne l’erosione, il danneggiamento delle barriere coralline o altro ancora, come ad esempio la Grotta della Poesia in Puglia), di gentrificazione o ancora di neoturistificazione, nonché la trasformazione dei quartieri/luoghi turistici in aree commerciali e/o residenziali costruite ad hoc per i turisti (si pensi ad esempio alla polemica degli affitti brevi, dei b&b, ecc.).
Conclusione
È evidente come per ciascuna di queste problematiche servirebbe in realtà dedicare una trattazione a sé essendo i problemi e le implicazioni ad esse collegate numerosissimi e di conseguenza anche le possibili soluzioni ruotando tutte intorno al concetto di diminuzione dei flussi turistici. Il turismo è sì in qualche modo un valore aggiunto in termini sociali perché arricchisce l’esperienza di ciascuno di noi ma sicuramente non lo è nella forma che vediamo più diffusa ora, ovvero quella del turismo mordi e fuggi. Va da sé che la soluzione non sia certamente quella di vietare in toto il turismo, ma bensì quella di prendere consapevolezza del problema, di evitare di gonfiare continuamente di sussidi il settore e di vendere a tutti l’immagine di “Paese per turisti”. Inoltre, come si è detto, è ampiamente dimostrabile come il turismo non sia in alcun modo un volano per l’economia, motivo per cui bisogna smettere di propinarlo come settore di forte crescita, sviluppo, nonché addirittura associandolo a parole come “sostenibilità” sia in termini sociali che ambientali.
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