l’intervento del consigliere Ponti riflette sulla memoria storica

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Nella giornata di ieri a Sassari, presso il Palazzo Ducale, si è tenuto il consiglio comunale solenne per la celebrazione della “Giornata della memoria”. Prima della seduta consiliare si è svolta la commemorazione, in piazza d’Italia n. 28, davanti alla pietra d’inciampo e a quella che fu l’abitazione di Zaira Coen Righi, professoressa di scienze allontanata dal Liceo “Azuni” di Sassari nel gennaio 1938 in quanto ebrea e morta nel 1944, dopo essere stata deportata nel campo di sterminio di Auschwitz.

Successivamente, durante la seduta solenne, il consigliere di minoranza Alessandro Ponti (candidato nelle file di Azione-Soluzioni per Sassari), docente in materie letterarie presso l’Istituto Tecnico Enrico Fermi di Ozieri, ha tenuto un lungo e sentito discorso per commemorare e riflettere sullo sterminio di milioni di vittime dell’Olocausto. Queste le sue parole in aula:

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. (Italo Calvino, Le città invisibili). Queste parole di Calvino – commenta il consigliere – ci devono ferire, perché sono luminosamente vere. Perché la giornata di oggi? Perché porre davanti ai nostri occhi un evento tragico della nostra storia? Perché ricordare un evento funesto, costringerci a una rievocazione di una ignobile violenza? Che valore ha la memoria? Si potrebbe obbiettare che nessuno di noi ha compiuto quei crimini e quindi sentirlo lontano, come se non ci riguardasse. Ma chiediamocelo lealmente: riguarda noi, uomini e donne, ragazzi e ragazze del XXI secolo? A scuola, con gli studenti, risulta troppo evidente che le violenze perpetrate dal regime nazista e fascista rimangono il paragrafo di un capitolo cupo del libro di storia. È un argomento lontano dalla vita al quale, salvo in qualche raro caso, si guarda con sufficienza se non, talvolta, con indifferenza. D’altronde, si afferma, abbiamo imparato la lezione per non ripeterla. Basta sfogliare i quotidiani per comprendere l’infondatezza di tale affermazione”.

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“Anche se necessaria, forse non è sufficiente la sola condanna del fatto storico – prosegue -. Dovremmo insieme interrogarci, non rinunciare a guardare in faccia il male per cercarne il senso, non per giustificarlo – impossibile –, ma per individuare cosa ha da dire della nostra struttura umana. Quanti hanno pensato, organizzato e operato tali efferatezze erano uomini e donne come noi, con le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, le nostre aspirazioni. ‘Eichmann non era uno Iago né un Macbeth, e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che ‘fare il cattivo’ — come Riccardo III — per fredda determinazione. Eccezion fatta per la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva motivi per essere crudele, e anche quella diligenza non era, in sé, criminosa […]. Per dirla in parole povere, egli non capí mai che cosa stava facendo. […] Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza d’idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo’. Così Hanna Arendt rispetto ad Adolf Eichmann. Non possiamo nascondercelo, non dobbiamo nascondercelo: il male è una realtà possibile a ciascuno di noi e forse meno ne prendiamo consapevolezza più ne siamo soggetti“.

William Congdon, rinomato esponente dell’Action painting newyorkese, che entra nel campo di Bergen Belsen come autista di ambulanze il 2 maggio 1945, centra il punto: ‘Dire che il campo di Bergen Belsen è stato un fenomeno tedesco è fuori luogo. Certamente lo è stato, ma si è trattato di una cosa tanto enorme che non può essere interpretata così superficialmente. Il fatto che degli esseri umani abbiano potuto fare questo ad altri esseri umani è più importante. Proprio perché rivela che voi ed io, che pure siamo esseri umani, avremmo potuto fare lo stesso, la maggior parte di noi preferisce la rassicurante reazione di confinare la cosa ai tedeschi. Bergen Belsen può essere accettato solo nei termini del rapporto di ciascuno di noi con l’esistenza’. Questa possibilità del male che ritroviamo in noi – commenta Ponti -, non possiamo strapparcela di dosso. Nessuna educazione, nessuna istruzione, nessun programma, nessuna commemorazione può eliminarla. Per quanto sia – per dirla eufemisticamente – fastidiosa, ha a che fare con il nucleo misterioso che ci costituisce, la libertà. Nel ’49 Winston Churchill, in risposta al discorso introduttivo del direttore dell’Istituto di Tecnologia di Boston, commentò lapidariamente: ‘Il decano di studi umanistici ha parlato con venerazione della abilità scientifica che sta avvicinandosi al controllo dei pensieri umani con precisione. Io sarò assai contento, prima che ciò accada, di essere morto'”.

“Ma – chiosa il consigliere – Calvino ci indica un altro atteggiamento. Il secondo modo per non soffrire l’inferno ‘è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio’. Grazie a Dio, persino nei contesti peggiori di quell’epoca e della nostra, non sono poche le testimonianze di chi non si è abituato al male, ma l’ha denunciato, gli ha dato il suo nome proprio e ha affermato e vissuto il bene e la verità, implicandosi fino a immolarsi per essi. Dobbiamo farci ascoltatori e imitatori di queste vite; la memoria di oggi non è vana se nel male cerchiamo il bene, nell’orrore la bellezza, nel fango l’oro. E, per quanto difficile sembri, non possiamo rinunciarci, pena una disperazione nichilista. Concludo con le parole di Tolkien: ‘Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte’. Questo è il nostro compito nei riguardi dei nostri figli e delle nostre figlie: facciamo memoria e viviamo la fede di Tolkien e di Calvino per non disperare, per assecondare il bisogno di bene e di vero per cui il nostro cuore è fatto”.



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