Ritengo che questo allineamento, questa combinazione tra capacità e fortuna, non sarà mai abbastanza valutata nel suo reale valore. L’uomo giusto al comando fa vincere o perdere battaglie, guerre, che determinano il corso di nazioni e continenti.
Ho già avuto modo di citare le peculiarità di alcuni soldati in grado di cambiare la storia delle operazioni militari, con la loro capacità di analisi, il loro coraggio, la loro determinazione: non serve qui ricordarli ancora.
Per chi scrive, l’ammiraglio USN Raymond Spruance fa parte di questo ristrettissimo numero di comandanti.
Quando si vuole scrivere di un uomo che ha dedicato gran parte della sua vita al servizio della Marina Militare del suo paese, lungo due conflitti mondiali, di solito si elencano gli scontri e le battaglie a cui ha preso parte. Nel caso di Ray Spruance sarebbe il classico errore di guardare il dito e non la Luna.
Molti lo conoscono di riflesso: la U.S. Navy gli ha dedicato un’importante classe di cacciatorpediniere (nella foto seguente lo USS. Spruance nel 1987) durante la Guerra Fredda.
Il nome di Spruance è legato alla battaglia di Midway, un punto di svolta della 2a guerra mondiale ma, al solito, Hollywood recentemente ha indicato figure più “eroiche” di cui ricordarsi. Per chi invece i film li valuta solo per ciò che sono, Midway ha “semplicemente” determinato la fine della flotta combinata di Yamamoto e Nagumo e, di fatto, ha permesso la sconfitta in tre anni dell’impero giapponese.
Vorrei chiarire che, a mio avviso, il Giappone si era battuto da solo nel momento in cui scelse una strategia “offensiva” basata sulla volontà di costringere ad una trattativa gli americani dopo averli colpiti a Pearl Harbor: una contraddizione in termini così assurda da sembrare persino ridicola. Una cosa peraltro simile l’avrebbe pensata pure Hitler che, si dice, volesse venire a patti con gli inglesi. Si dice che chi si somiglia…
Ho sottolineato tre anni perché questo del tempo e delle risorse impiegate per ottenere la vittoria è il vero valore aggiunto che fa la differenza tra un militare-politico, che a volte non è neanche un militare di carriera, ma altro (ogni riferimento a Putin è voluto) e uno stratega.
Lo stratega, nonostante la sua determinazione tattica, non dimentica mai di vedere in prospettiva l’esito strategico della battaglia, i suoi costi ed i suoi futuri sviluppi. ll militare-politico antepone sempre la “sua” vittoria tattica a qualsiasi considerazione strategica: esempi a bizzeffe nella storia, anche recente.
Se torniamo a ciò che avvenne nei giorni di Midway, non si può che ringraziare tutti gli dei della guerra, e non solo loro, per la psoriasi che colpì l’ammiraglio Halsey nei giorni precedenti, comandante di Spruance fino a quel momento, a cui però va dato atto di averlo indicato a Nimitz come suo sostituto in comando. Ma non senza suscitare parecchie perplessità, dato che egli non era un aviatore di marina ma un marinaio puro, un comandante di incrociatori, fregate e cacciatorpediniere di scorta alle portaerei, appunto. Eppure Halsey, che non pochi nella flotta definivano una primadonna un po’ ottusa, soprannominato “Bull” (Toro), lo indicò a Nimitz senza alcuna esitazione, determinando così sostanzialmente l’esito dello scontro. Magari senza nemmeno esserne consapevole.
Mi sono sempre chiesto perché lo avesse fatto. Forse lo reputava un concorrente meno “pesante” di Frank Fletcher e degli altri comandanti di portaerei. Non lo sapremo mai. In ogni caso, solo per questo, bisognerebbe erigergli un monumento. Va detto peraltro che Halsey ebbe modo di dimostrare la sua contraddittoria capacità di comando e controllo nella battaglia del Golfo di Leyte, dove molti analisti, e parecchi suoi ex colleghi, lo definirono, molto poco amichevolmente, sostanzialmente un idiota.
Leggendo di Spruance, le varie biografie, gli studi a lui dedicati dalle accademie navali, le interviste fatte agli uomini al suo comando, emerge la figura di un uomo semplicemente straordinario. Straordinario anche nella sua riservatezza, educazione, gentilezza.
Come spesso accade guardando questi uomini, il suo aspetto era tutto fuorché quello del classico guerriero. Vestito in modo quasi dimesso, la voce bassa e le pause che prendeva analizzando le domande che gli venivano fatte, prima di rispondere con garbo all’interlocutore.
La sua riservatezza, credo innata, era comunque figlia del contraccolpo subito dalla U.S. Navy negli anni in cui vari ammiragli erano assurti all’onore della cronaca spinti dai giornali che scrivevano della guerra ispano americana, alla ricerca di eroi da proporre poi come futuri politici. Un disastro di immagine che la Marina USA impiegherà anni a sanare.
La sua gentilezza ed educazione erano senz’altro frutto della sua intelligenza. Un tratto comune a diversi uomini eccezionali.
Dalle interviste ai suoi uomini, emerge soprattutto la costante caratteriale a cui tutti fanno riferimento: la sua incredibile capacità di concentrazione e analisi della situazione tattica, il saper configurare nella sua mente gli schemi e gli schieramenti di battaglia, calcolando le possibili variabili approssimate ai dati che gli venivano forniti dai vari centri di comando e dalla sua relativa fiducia nelle capacità di ricognizione e di decrittazione del traffico radio giapponese.
Dicono che, una volta informato, osservasse la distesa del mare dalla sua poltrona di comando, mentre tutto intorno a lui si faceva silenzio, mentre tutti aspettavano che “Electric Brain” (Cervello Elettrico), questo il suo soprannome, ad un certo punto parlasse, impartendo gli ordini elaborati dalla sua mente. Quando questo avvenne, la sera dopo l’affondamento di tre delle quattro portaerei giapponesi partecipanti alla battaglia, a fronte della perdita di “solo” una americana, un risultato ben al di là di quanto anche solo sperato fino a qualche ora prima, si determinò la svolta nella guerra aeronavale nel Pacifico.
Nonostante Nimitz gli avesse indicato di valutare con cautela l’eventualità di impegnarsi in scontri diretti con le portaerei giapponesi, allora superiori sia in numero che in qualità di aerei imbarcati e, si pensava, per la superiorità dimostrata nel loro utilizzo tattico, in quella che passò alla storia come Lettera del Rischio Calcolato, dato che in quel momento il suo gruppo navale era l’unica forza per arginare un eventuale attacco e invasione del territorio metropolitano USA, sulla costa ovest, improbabile ma pur sempre possibile.
Eppure questo non dissuase Spruance dal comunicare (ordinare) al suo e a tutti i comandi che si sarebbe andati immediatamente e risolutamente alla caccia della quarta portaerei giapponese, in quel momento indecisa se tentare quello che sarebbe stato un attacco pressoché suicida ma ancora possibile, e una ritirata.
Tre portaerei affondate, la quasi totalità di aerei e preziosi esperti piloti abbattuti, non significava che Spruance avesse vinto: aveva… stravinto! Da quel momento si sarebbe potuto impostare pressoché da zero tutta la strategia, l’iniziativa passava in mano agli USA.
Cercare la quarta portaerei era, anche per molti suoi comandanti, un azzardo e persino una violazione dell’indicazione (ordine?) di Nimitz di calcolare, valutare, il rischio tattico e strategico. Ma Spruance, con la sua solita calma razionale, la sua mente iper concentrata, che si può definire sostanzialmente come la capacità di vedere, di saper leggere il futuro, impose la sua scelta.
E la guerra nel Pacifico, non la battaglia di Midway, se si tende un filo rosso tra tutti i successivi scontri navali, praticamente fu vinta in quel preciso momento.
Quante vite americane ha salvato l’ammiraglio Raymond Spruance, quanto ha influito strategicamente per gli Stati Uniti, negli anni successivi nell’area Asia-Pacifico, la sua determinazione in quel preciso momento?
L’uomo giusto, nel posto giusto, nel momento giusto.
Uno dei pochi.
Fonti:
Admiral Raymond a Spruance Usn a Study in Command.
The Quiet Warrior: A Biography of Admiral Raymond A. Spruance.
Foto: web / U.S. Navy
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