From Ground Zero. Stories from Gaza: un apprezzamento del popolo palestinese

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Riflessioni sull’esperienza di vedere il film From Ground Zero. Stories from Gaza, insolito nella concezione e commovente nella sua trasparenza come esperienza cinematografica.

Questo straordinario film, From Ground Zero. Stories from Gaza, nella rosa dei candidati all’Oscar 2024 per i documentari, è composto da 22 episodi messi insieme dal noto regista palestinese Rashid Masharawi, ma senza alcuno sforzo apparente per curare un’esperienza narrativa del calvario di Gaza, giunto ormai al 15° mese. La potenza del film nel suo complesso deriva dall’impatto cumulativo della popolazione civile di Gaza, assolutamente indifesa e vulnerabile, che cerca di sopravvivere nonostante le schiaccianti sfide alla sicurezza e la perdita pervasiva di persone care, case, quartieri, scuole e luoghi sacri/storici nella piccola e sovraffollata Striscia di Gaza [25 miglia di lunghezza, 3,7-7,5 miglia di larghezza, popolazione stimata di 2,3 milioni]. I vari episodi esprimono sia la peculiarità della cultura palestinese vissuta, il suo ricco patrimonio storico, sia l’universalità di una devastante saga di vittimizzazione prolungata.

Ho letto una serie di recensioni ammirate che sottolineavano queste caratteristiche di resilienza e creatività palestinese di fronte a questo crudele e immeritato destino collettivo. Nessuno degli episodi approfondisce la storia della sofferenza palestinese causata dal progetto sionista per oltre un secolo. Non c’è nemmeno un collegamento esplicito tra il calvario di Gaza e la geopolitica patologica dei presunti bastioni della democrazia liberale degli Stati Uniti, con la loro facciata costituzionale di fedeltà allo stato di diritto e alla protezione internazionale dei diritti umani. Da un punto di vista cinematografico, ciò purifica il messaggio del coraggio di fronte alla sofferenza, le variazioni esistenziali di tale esperienza che hanno il potenziale di ispirare notevoli atti di memorizzazione e comportamenti trascendenti, come la realizzazione di opere d’arte da frammenti di vetro o pezzi di macerie.

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Questi silenzi sollevano inevitabilmente domande come: “Questa preclusione di risposta è stata un adattamento pragmatico alle realtà del mercato, ai timori fondati di soppressione ideologica se il film avesse osato esaminare anche solo di sfuggita l’impulso politico sottostante, il genocidio degli autori, il contesto dell’attacco del 7 ottobre e la sistematica noncuranza della legge e della morale da parte dei principali attori politici? Molte sale americane hanno proiettato il film che ha ricevuto il plauso dei recensori e la meritata attenzione dei festival cinematografici. From Ground Zero ha ricevuto nomination per ambìti premi cinematografici. Sembra lecito ipotizzare che questo auspicabile risultato non si sarebbe verificato se i palestinesi avessero espresso la loro rabbia verso le fonti della loro miseria.

Ciò che forse non sapremo mai è se questa serie di preclusioni siano state poste e monitorate dal curatore per rendere il film adatto al pubblico occidentale del Nord America e dell’Europa o se ciò rappresenti il suo giudizio estetico di mantenere una costante attenzione universalizzante su una terribile tragedia umanitaria, in qualche modo mitigata dal coraggio e dallo spirito interiore delle sue vittime. Insomma, considerare gli effetti del genocidio piuttosto che il crimine e i suoi autori.

Almeno nella mia rassegna di critici cinematografici mainstream non c’è stato alcun commento su questa questione dei confini, consapevolmente o meno imposti a questi 22 registi di Gaza. Uscendo dal cinema mi ha colpito il fatto che nessuno dei personaggi abbia menzionato le parole “genocidio”, “Israele”, “sionismo”, “Stati Uniti”, “Nazioni Unite”, “diritto internazionale” e “Corte internazionale di giustizia”. Va detto che non si sono menzionate nemmeno le parole “Hamas”, “terrorismo” e “ostaggi”.

Ciò solleva la questione se l’assenza di tali riferimenti rappresenti uno sforzo di adottare una posizione di neutralità apolitica per ragioni estetiche o pragmatiche. Forse non lo sapremo mai, e le motivazioni del curatore sarebbero importanti al di là dell’interesse umano? Allo stesso tempo, trovo inaccettabile nascondere il male del genocidio dietro una cortina di fumo politica “a due facce” che equipara i crimini dell’oppressore agli eccessi criminali della resistenza da parte degli oppressi. Il film evita completamente anche solo un accenno a una sorta di implicita parità di responsabilità per le sofferenze inflitte alla popolazione di Gaza.

From Ground Zero evita anche di evocare la nostra pietà in modo frontale, mostrando scene ospedaliere di amputazioni o ferite gravi, che ovviamente abbondano a Gaza insieme al numero di morti giornalieri. Grazie alle mie precedenti visite a Gaza, dove sono stato a contatto con questi tormenti visibili, conosco il potere esercitato dal contatto diretto con queste vittime. Non dimenticherò mai l’impronta lasciata dopo molti anni nel vedere un padre sconvolto che portava in braccio il suo giovane figlio sanguinante e gravemente ferito mentre gridava rabbiosamente in arabo. Non capivo le parole, ma i sentimenti che esprimeva erano trasparenti e non avevano bisogno di traduzione. La decisione consapevole o inconsapevole di escludere questo materiale dal film può averne diminuito l’impatto immediato, ma ha approfondito la comprensione a lungo termine del calvario umanitario che il popolo palestinese sta sopportando.

L’allusione politica più vicina al film è quella di un coinvolgente burattino che, in uno degli ultimi episodi, pronuncia un’accusa pesante: “Tutto è scomparso e il mondo sta a guardare”. Ci sono anche brevi e isolati riferimenti alla Nakba e alle espulsioni forzate dalla loro patria che almeno 700.000 palestinesi hanno subito nel 1948 e che da allora vivono come rifugiati a cui Israele ha illegalmente negato il diritto al ritorno. Questi riferimenti esprimono le radici profonde della sofferenza palestinese, ma senza puntare un dito accusatore, e probabilmente non saranno notati se non da quegli spettatori non palestinesi che hanno seguito la miseria palestinese nel corso dei decenni. Mentre per i palestinesi queste allusioni al passato serviranno probabilmente come cupi promemoria di realtà familiari.

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Nel complesso, plaudo alla resa dell’esperienza palestinese in questo modo autentico e originale. È di per sé un trionfo dell’immaginazione palestinese sui tormenti quotidiani che sono diventati una realtà delle loro vite 24 ore su 24.

Non si tratta solo dell’insopportabile perdita della famiglia e della casa, ma anche del minaccioso suono notturno delle esplosioni vicine e del costante rumore dei droni sopra la testa. Gli episodi sono uniformi nell’esporre la totale vulnerabilità dei palestinesi e l’inosservanza dei limiti imposti dal diritto internazionale e dalla morale, aggravata dall’imposizione deliberata di una disperata lotta per la sussistenza derivante dall’ostacolo alla consegna degli aiuti umanitari, che provoca morte e malattie in tutte le misere tendopoli in cui i gazesi sono costretti a vivere dopo la distruzione delle loro case. La vita quotidiana alla ricerca di cibo e acqua potabile è disponibile, se non altro, a livelli inferiori alla sussistenza.

Naturalmente, spero che From Ground Zero riceva un Oscar alla prossima notte degli Academy Awards.

NOTA

Proiezione del film venerdì 31 gennaio 2025 alle ore 20.30 presso la nostra sala Poli di via Garibaldi 13 a Torino, nell’ambito di Give Peace A Screen OFF – Edizione invernale 2025. Usa questo link per ulteriori informazioni e/o acquistare il biglietto di ingresso.


Fonte: Blog di Richard Falk, 22 gennaio 2025

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis



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