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Un passo dovuto, «per non alimentare ulteriormente la tensione»: di fronte alla più grande ondata di manifestazioni degli ultimi dieci anni in Serbia, Milos Vucevic, primo ministro e presidente del Partito progressista serbo, ha annunciato ieri le dimissioni. Da quasi tre mesi, gli studenti di tutto il Paese protestano contro la corruzione che stritola le istituzioni, e chiedono giustizia per le 15 vittime del crollo di una tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, lo scorso novembre.
Con questo abbiamo soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti più radicali. Un passo dovuto per non alimentare ulteriormente la tensione Milos Vucevic
Vucevic, fidato braccio destro del presidente serbo Aleksandar Vucic, è stato sindaco di Novi Sad nel periodo in cui la stazione, snodo dell’alta velocità Belgrado-Budapest, veniva coinvolta dai lavori di ristrutturazione affidati a un consorzio cinese. Assieme a lui, ha annunciato le dimissioni anche l’attuale sindaco della città, Milan Djuric, sulla scia di quanto già fatto nei mesi scorsi dal ministro dei trasporti e da quello del commercio. «Con questo abbiamo soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti più radicali», si è augurato Vucevic, chiarendo che le dimissioni riguardano tutto l’esecutivo serbo. Ora il parlamento ha 30 giorni per scegliere un nuovo governo o si andrà a elezioni anticipate.
IL PASSO INDIETRO è il tentativo estremo di arginare l’enorme protesta che sta investendo Vucic, protagonista indiscusso della politica nazionale da un decennio. Il crollo della tettoia è diventato il simbolo del «sistema» da lui alimentato, in cui le autorità corrotte godono di impunità e la magistratura e i media subiscono ingerenze continue da parte del partito al governo.
Le proteste iniziate nell’Accademia delle arti di Belgrado in autunno si sono riversate a cascata ai quattro angoli del Paese: le università sono occupate, lo scorso venerdì le saracinesche di molti negozi sono rimaste abbassate, per lo sciopero nazionale di “disobbedienza civile” appoggiato da insegnanti, agricoltori e avvocati, e lunedì migliaia di studenti, con tende e cucine da campo, hanno bloccato uno dei più importanti incroci della capitale, l’Autokomanda. Nelle strade non sventolavano bandiere dei partiti dell’opposizione né dell’Ue: solo cartelli con scritto «la corruzione uccide» e mani dipinte di rosso come il sangue.
DA TEMPO I GIOVANI serbi – che hanno incassato il sostegno anche del campione di tennis Novak Djokovic – non si sentivano protagonisti della scena politica come in queste settimane attraversate spesso da un vento di euforia collettiva. Chiedono la pubblicazione di tutti i documenti relativi al progetto di rinnovamento della stazione e la fine delle intimidazioni contro chi manifesta. In due distinti casi una macchina si è lanciata sui cortei a Belgrado, colpendo due persone, ricoverate con ferite non gravi. A Novi Sad, lunedì sera, una squadra di persone armate di mazze da baseball ha attaccato gli studenti, e una ragazza ha subito la lussazione della mandibola.
Nel suo discorso di dimissioni, Vucevic ha spiegato che la gravità di quest’ultimo attacco lo ha convinto a farsi da parte, e non ha rinunciato al vecchio ricettario del complotto, utile al governo di fronte alle proteste: «Ora sono libero di dirlo, tutto ciò è stato ideato all’estero», ha dichiarato a proposito delle contestazioni, mentre i media governativi alludono al rischio di una nuova «rivoluzione colorata» per mano di imprecisati attori stranieri.
TRA LE OPPOSIZIONI, si fa strada la convinzione che Vucic possa indire nuove elezioni, trasformandole in un referendum personale per soffocare le proteste, sicuro del controllo che esercita sui media e sui dipendenti statali. Appena un anno fa, il suo partito ha vinto a mani basse le elezioni parlamentari e si è imposto, nonostante le accuse di brogli, anche a Belgrado, roccaforte di un’opposizione che resta frammentata.
UNO DEGLI ANIMATORI delle proteste, il movimento Kreni-Promeni (Parti e Cambia!), distintosi nelle battaglie ambientaliste, ha chiesto invece un governo di transizione composto da tecnici indicati dai manifestanti.
Il presidente serbo sta affrontando una delle sfide più difficili, nello stesso periodo in cui è in crisi la politica energetica del Paese. Belgrado ha tempo fino al 12 marzo per modificare la struttura dell’azienda pubblica serba dell’energia, detenuta al 55% dai russi di Gazprom, per non finire colpita dalle sanzioni statunitensi. E un «cambio di immagine», per mantenere alta la popolarità, potrebbe essere impellente: lo scorso venerdì Vucic ha organizzato un comizio nella città di Jagodina, sua roccaforte, per annunciare la creazione di un nuovo movimento politico, su cui non ha dato, per ora, altre informazioni. Gli studenti, intanto, fanno sapere che non sono intenzionati a fermarsi: domani è prevista una marcia di protesta a Novi Sad, che dovrebbe culminare venerdì nell’occupazione dei ponti della città.
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