TRENTO. Un’opera non solo inutile, ma perfino dannosa, a maggior ragione in un’area con condizioni ambientali precarie e a forte rischio idrogeologico; oppure un’inderogabile necessità per soddisfare le esigenze idriche della pianura e mitigare i conflitti territoriali?
Giorno dopo giorno, il dibattito sul progetto della diga del Vanoi si sta facendo sempre più divisivo, tra schieramenti “pro” e “contro” la grande opera sul torrente: opera contro la quale però non si stanno scagliando “solo” cittadini e associazioni (che hanno peraltro raccolto 14.000 firme per fermarne la costruzione). Anzi, la partita ora è anche (e quasi solo) politica.
E così fa riflettere che a mettersi di traverso sul progetto da decine di milioni (forse 80, ma chi lo sa) fortemente voluto dalla Regione Veneto siano state le amministrazioni provinciali dei territori coinvolti, quelle di Trento e Belluno. E fa persino sorridere, amaramente, rilevare come si stia assistendo a un clamoroso (ma non sorprendente) cortocircuito politico che fa emergere le contraddizioni di un modo di amministrare il territorio spesso troppo miope.
Una visione limitata al “particolare” che fatica a trovare soluzioni condivise quando si parla di grandi opere strategiche che hanno impatti e conseguenze specifiche all’interno di un disegno più ampio.
A CHE PUNTO SIAMO.
Contestualizziamo la situazione. La diga del Vanoi è un’opera di cui si parla da anni, ma il nuovo progetto è stato rilanciato solo in tempi recenti, spinto da quella straordinaria (nel bene e nel male) forza propulsiva chiamata “fondi del Pnrr”.
Nel documento originale venivano proposte 4 alternative progettuali. La più accreditata oggi è la cosiddetta opzione C: questa, tecnicamente la meno impattante delle 4, prevede una diga più piccola rispetto al “gigante” originale e arretrata in territorio trentino nella Val Cortella, sotto Canal San Bovo. Soluzione ritenuta la migliore per bilanciare le esigenze di sicurezza, ambientali e funzionali, a fronte di un volume di invaso (circa 20 milioni di metri cubi) un po’ ridotto rispetto alle aspettative iniziali.
Non più tardi del 24 gennaio il Consorzio di Bonifica del Brenta ha presentato la conclusione del Dibattito Pubblico: un percorso avviato nel 2023 con il Docfap (Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali) che ha incluso incontri in presenza e online, raccolto numerose osservazioni e fatto confluire il tutto nel “Documento delle risposte”.
Nella relazione conclusiva, il responsabile del Dibattito, l’ingegnere Gennaro Mosca, ha sottolineato la trasparenza e la partecipazione garantite dal processo: lo ha fatto riconoscendo, al tempo stesso, che alcune tematiche rimangono aperte e saranno affrontate (eventualmente) nelle fasi progettuali successive.
“A fronte della discussione ampia e complessa che caratterizza opere come le dighe e i relativi invasi – situazione riscontrata anche nel Dibattito Pubblico su questa specifica opera – è comprensibile che sarebbe più facile non fare nulla, lasciare le cose come sono e non scontentare nessuno”, recita la conclusione del documento.
“Tuttavia, le circostanze stanno diventando gravi, sia in termini di carenze idriche, sia per il rischio idraulico che interessa vasti territori molto antropizzati. Il serbatoio del Vanoi può salvare vite umane e prevenire gravi rischi di alluvione, e questo non può lasciare indifferente nessuno. Allo stesso modo, non lascia indifferente il Consorzio la necessità di realizzare l’opera garantendo la massima sicurezza e tutela per i territori locali: l’input dato ai progettisti è che la sicurezza sia messa al primo posto. Inoltre, si ritiene che la sopravvivenza di settori agricoli e ambientali di rilevante importanza per ampie Comunità non possa essere lasciata senza risposte. Anche la decisione di non agire o di rinunciare alla realizzazione richiede un’assunzione di responsabilità“.
Insomma, “palla alla politica”: si andrà avanti nonostante il parere contrario delle province di Trento e Belluno, in nome della necessità di soddisfare le esigenze idriche della pianura e mitigare i conflitti territoriali?
CORTOCIRCUITO POLITICO.
L’opera come detto è stata fortemente voluta dalla Regione Veneto, nonostante la maggior parte del territorio interessato (specialmente nel caso dovesse prevalere l’opzione C) si collocherebbe in Trentino.
Il Governatore leghista Luca Zaia ha già ottenuto che il Ministero dell’Agricoltura pagasse la progettazione dell’opera ed ha inserito la diga tra le opere strategiche in termini di difesa idraulica e contrasto alla siccità. Insomma, la giunta veneta ritiene l’infrastruttura prioritaria: lo stesso Zaia però dopo un iniziale entusiasmo ha prodotto anche un’improvvisa marcia indietro lasciando intendere che “finché non sarà risolto fino in fondo anche l’ultimo micrometrico dubbio la nostra posizione è di chiusura, vogliamo che le carte siano chiare“. Semmai, insomma, la “colpa” sarà dei tecnici.
E non più tardi dello scorso novembre il presidente leghista della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti si è scagliato contro l’iniziativa, dichiarandola “illegittima” e impugnando il progetto, incaricando “la Direzione generale a sottoporre urgentemente alla Conferenza Stato-Regioni o anche alla Conferenza Regioni-Province Autonome la questione del conflitto di attribuzioni”.
Dello stesso tenore, anzi più tranchant, le considerazioni del presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin, infastidito anche dalla contrapposizione tra pianura e montagna sottolineata da Gennaro Mosca nelle conclusioni del Dibattito pubblico. “Sì, siamo muro contro muro, ovvero in presenza di un dialogo tra sordi”, è arrivato a scrivere lo stesso Mosca alle prese con il ruolo – non certo facile – di mediatore tra le parti.
“La linea della Provincia rimane immutata e non scalfita – dice Padrin –: siamo contrari alla diga del Vanoi e lo abbiamo detto e ripetuto in tutte le sedi e con atti ufficiali. Quel che più dispiace è che si continui a sollevare la contrapposizione – che non esiste assolutamente – tra montagna e pianura, e che si dica che le acque a monte non vengono utilizzate e quindi devono essere messe a disposizione dei territori a valle che ne hanno necessità. È un’impostazione che non solo è errata, ma risulta addirittura pregiudizievole dei rapporti tra enti e tra territori, perché l’obiettivo non deve essere quello di sfruttamento, come continua invece a ribadire il Consorzio Brenta, bensì della tutela di un corpo idrico. La solidarietà che il Consorzio chiede non può essere a senso unico”.
Insieme alle due province, i sindaci del feltrino e delle valli trentine fanno opposizione dura: ma una cinquantina di loro colleghi delle province di Vicenza e Padova sono favorevoli alla diga, necessaria, a quanto dicono, “per garantire la sopravvivenza idrica di migliaia di piccole imprese”. Una gran confusione.
“Un’evidenza chiara emerge, ed è l’incapacità degli amministratori leghisti di procedere in modo lucido nella gestione del territorio”, ha detto il portavoce dell’opposizione in consiglio regionale del Veneto, Arturo Lorenzoni parlando senza mezzi termini di una ”Caporetto leghista”.
“Mettere in palese conflitto sindaci della montagna contro sindaci della pianura, Regione contro Provincia autonoma di Trento, Regione contro il Ministero, amministrazione del Consorzio Brenta contro tutti, è un capolavoro di incapacità. Tutti a guida leghista, si badi bene. E ambiscono ad essere il partito sindacato del territorio. Purtroppo per il nostro territorio non basta il consenso alle urne per saper amministrare”.
Sulla questione Vanoi rimangono accesi anche i riflettori europei. “In questa fase, non si può escludere che il progetto relativo al serbatoio, se realizzato, avrà un impatto negativo sul deflusso del fiume”, ha detto Maroš Šefčovič, vicepresidente esecutivo della Commissione Europea, che ha risposto a nome dell’esecutivo guidato da Von der Leyen alla lettera di denuncia formalizzata il luglio scorso dall’allora neo-eletta eurodeputata Cristina Guarda.
“Si è trattato del mio primo atto da parlamentare europea”, specifica Guarda, componente del gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo. “Come Verdi – conclude Guarda – siamo fortemente contrari a questo progetto, perché la diga è una soluzione costosa e lunga da realizzare, che non risponde in modo efficace e rapido alla crisi idrica, penalizzando l’ambiente e la sicurezza pubblica. Le alternative esistono, sono meno costose e più efficienti: la ricarica controllata delle falde, il miglioramento dei sistemi di irrigazione, il potenziamento delle infrastrutture esistenti e l’adozione di pratiche di conservazione dell’acqua. Perché non valutarle seriamente?”.
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