Chi è Luigi Li Gotti, l’avvocato che ha denunciato Meloni: «Io di sinistra? Ero missino, ora vicino al Pd»

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di
Virginia Piccolillo

L’avvocato ha tenuto a precisare di non aver denunciato Giorgia Meloni per motivi politici

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La denuncia l’avvocato Luigi Li Gotti l’ha presentata venerdì scorso. Ma la bomba è esplosa ieri con la rivelazione, fatta in un video dalla stessa premier Giorgia Meloni, dell’avviso di avvenuta iscrizione, mandato a lei, al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, Alfredo Mantovano, al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e a quello dell’Interno, Matteo Piantedosi. Mentre lui, in treno, andava a Padova «ascoltando Renato Zero e I migliori anni della nostra vita».
A Giorgia Meloni ne ha fatto trascorrere uno dei peggiori. Perché? «Per dignità», risponde lui. E spiega: «Quando ho letto le bugie che venivano dette sulla storia del generale libico Almasri mi sono detto: ma perché prendere in giro i cittadini? Allora non era meglio stare zitti? Opponevi il segreto di Stato su tutta la vicenda e la storia finiva lì».

Calabrese di Mesoraca, dal ’74 a Roma, sposato, due figli e due nipoti, mattiniero («ogni giorno mi sveglio alle 3 e mezzo e mi metto a studiare») Li Gotti sostiene di aver avuto un moto di stizza a «vedere che si nascondevano dietro un cavillo». Quello ripetuto ieri dalla premier: «Dicono che Almasri è stato espulso per motivi di sicurezza, perché scarcerato dalla Corte d’appello. Ma la Corte ha sollecitato il ministro. Ha cercato l’interlocuzione. Lui non ha risposto. È stato inerte. Ma era già tutto organizzato. E la prova è che nel frattempo un Falcon è stato mandato a Torino. Allora perché il ministro dice che stava consultando il fascicolo?».




















































Se gli si fa notare quel «non sono ricattabile» e gli si chiede se allude a lui, Li Gotti ride di gusto: «Ehh! Come no? Ho un armadio di scheletri!». Mentre ammette la sua lontananza politica «dalla destra». Anche se viene dall’Msi: «Sono stato sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi II, portato dall’Italia dei valori. E poi senatore Idv. Ma se la vogliamo dire tutta a sedici anni ero presidente della Giovane italia. Poi sono stato consigliere comunale a Cosenza del Movimento sociale e segretario di federazione Msi. Ho fatto parte del consiglio nazionale del Fronte della gioventù. Ma parliamo degli anni Settanta. E poi io ero della corrente di Sinistra Nazionale che faceva capo a Filosa e poi a Nicolai che era socialista», ci tiene a precisare. 
Iscritto ad An fino al 1998, sottolinea: «Mi iscrivevano automaticamente gli amici ma da quando sono arrivato a Roma nel ’74 di politica non ne ho più fatta».

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Meloni rimarca che era vicino a Prodi. Lui specifica: «Ho aderito a Idv con Di Pietro, contro le leggi ad personam, e ho fatto il sottosegretario alla Giustizia. Prodi non l’ho mai incontrato». Ora dice di sentirsi vicino al Pd. Ma assicura che la denuncia, «che non ho consegnato a Lo voi ma inviato via computer» non l’ha fatta per motivi politici.

I suoi clienti citati da Meloni «Buscetta, Brusca e altri mafiosi» li rivendica: «Ho difeso tanti collaboratori di giustizia. Ma anche la famiglia Calabresi, la scorta di Moro e sono stato parte civile al processo di piazza Fontana».

L’accusa, dice, «è favoreggiamento personale ad Almasri che è scappato». E traccia una differenza con il caso Abedini, il trafficante iraniano scambiato con Cecilia Sala: «L’estradizione è un atto amministrativo che spetta al ministro, il mandato di cattura è giudiziario. Ma la Corte non c’entra: lui doveva attivarsi».

E la ragion di Stato? «Se temevano che la Libia spalancasse le celle dei migranti allora potevano fare come fecero per Abu Omar: opponevano il segreto di Stato. Ma la presa in giro, ecco, proprio no».

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29 gennaio 2025 ( modifica il 29 gennaio 2025 | 12:30)

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