Nella riunione della scorsa settimana del Tavolo della Moda il ministro Adolfo Urso ha annunciato la disponibilità di 250 milioni di euro per il settore. Il Tavolo è stato istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy per affrontare la situazione di crisi del settore che comprende imprese del tessile, abbigliamento, calzature e accessori. Si tratta di una buona notizia per il settore e per le Marche, tenuto conto del peso significativo che questi comparti hanno per l’occupazione e per il Pil regionale. Il 2024 è stato un anno difficile per molti di questi comparti a causa della generalizzata caduta della domanda interna e internazionale. Per il settore nel suo complesso si stima una riduzione dei ricavi del 3,5% rispetto al 2023. Questo quadro congiunturale sfavorevole si inserisce all’interno di una situazione di calo strutturale. La moda è uno dei settori più noti e riconosciuti del Made in Italy. Tuttavia, negli ultimi decenni ha subito un progressivo ridimensionamento. Per rimanere alle Marche, nell’ultimo ventennio gli occupati nelle imprese calzaturiere sono quasi dimezzati rispetto ai livelli massimi raggiunti all’inizio del secolo. Riduzioni simili, seppure non così accentuate, hanno interessato tutti i principali distretti produttivi italiani. Il sistema della moda italiano è schiacciato da due fattori che riducono la capacità competitiva delle imprese. Dal basso vi è la competizione dei paesi a basso costo del lavoro. Le produzioni della moda sono caratterizzate da bassi livelli di tecnologia e alta intensità di lavoro. Per questo è fra primi settori ad essere sviluppati dai Paesi che si affacciano all’industrializzazione e che godono di costi del lavoro molto più bassi di quelli del nostro paese. Rincorrere questi Paesi sulla convenienza di costo sarebbe impossibile. Dobbiamo difenderci con la qualità delle produzioni e l’immagine di marca con cui comunicare e valorizzare tale qualità. Qui subentra il secondo fattore di debolezza delle imprese italiane. Affermare e gestire marchi a livello internazionale comporta investimenti ingenti ed è per questo che il settore del lusso si va sempre più concentrando nelle mani di poche grandi multinazionali. Molti marchi italiani sono finiti nel portafoglio di questi player. Nella gran parte dei casi nel nostro Paese è rimasta l’attività produttiva ma con il rischio che la produzione può essere spostata in altri paesi in funzione delle convenienze di chi controlla marchi e distribuzione. Anche quando questa crisi congiunturale sarà superata, è probabile che continui il progressivo ridimensionamento degli occupati e della capacità produttiva del settore. La politica industriale verso il settore della moda deve quindi muoversi in un difficile equilibrio fra le politiche di sostegno alle imprese in difficoltà, per consentire loro di superare il momento di difficoltà, e gli interventi che consentono di aumentare la competitività a lungo termine delle imprese. Le misure proposte dal ministro Urso sembrano muoversi lungo questo equilibrio poiché gran parte dei 250 milioni sono destinati a sostenere investimenti nella digitalizzazione e nella sostenibilità. Le nostre imprese, in particolare quelle di minore dimensione, mostrano difficoltà nell’acquisire le tecnologie finalizzate alla transizione digitale ed ecologica. Elevare il livello tecnologico è l’unica strada che può consentire alle nostre imprese di difendersi dalla competizione dei paesi a basso costo del lavoro. Le analisi che conduciamo da diversi anni su questo fronte evidenziano chiaramente che la capacità di assorbimento delle nuove tecnologie dipende non solo dalla disponibilità di risorse finanziare ma soprattutto dalla disponibilità di risorse umane qualificate. Per questo, l’indicazione da dare alle imprese al fine di sfruttare al meglio questi incentivi è di investire prioritariamente nella formazione e nell’aggiornamento dei propri dipendenti e nell’assunzione di nuove figure professionali. Le tecnologie digitali, anche le più avanzate, sono disponibili a tutti; quello che farà la differenza sarà la capacità di sfruttarle in modo efficace e per questo le persone continuano ad essere l’elemento chiave.
*Docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche
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