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A vedere oggi il mondo cattolico in politica rispetto ai numeri di cinquant’anni fa in Italia è evidente che si parli di un “resto di Israele” e non di una massa elettorale, attiva o dormiente che sia. È altresì fuori di dubbio che a nessuno verrebbe in mente di marchiare un partito con un riferimento religioso, nell’Europa laica e pluralista, per chi avesse intenzione di esprimere una maggioranza democratica.
Oltreoceano, invece, arrivano segnali diametralmente opposti: Joe Biden fu il presidente più votato nella storia delle elezioni Usa, e furono gli elettori cattolici a fare la differenza, oltre alla volontà di allontanare Donald Trump, ma Trump torna al potere oggi proprio con il voto dei cattolici che non sono stati convinti da Kamala Harris. Dall’altro lato degli Urali la dittatura putinista fa proseliti un po’ ovunque sbandierando il ruskijmir, un’ideologia che utilizza il cristianesimo quale leva del conservatorismo per combattere la degenerazione dei costumi occidentali. Nel Sud Globale, infine, sono sempre più influenti i partiti a matrice religiosa, islamica principalmente. Dunque non è totalmente vero che nel 2025 il binomio religione e politica (o religione e potere) sia in caduta libera, è forse più realistico dire che nell’Europa cristiana quel binomio è in cerca di una nuova definizione di sè.
D’altra parte Giorgia Meloni ha stravinto le elezioni al grido «Sono Giorgia e sono cristiana». Eppure pare che si possa dire senza tema di smentita e con onestà intellettuale che nè la chiesa ministeriale nè quella del laicato impegnato si ritrovino nelle istanze populiste anti-immigrazione e liberiste. La domanda che viene spontanea ai cattolici è dunque «dove siamo?». Sappiamo di esserci, ma dove.
Il secondo interrogativo che ci si pone spesso è «come siamo?»: siamo una corrente trasversale, un granello insignificante nelle pieghe della storia, che darà i suoi frutti domani, o un seme che cade nelle terre aride del consumismo ( che appare l’unica vera religione)? Non basta autoassolversi ricorrendo ai numeri dell’impegno profuso in una miriade di associazioni di volontariato e cooperative, perché i dati ci dicono che quel popolo non è capace di muovere le coscienze, tanto che gli elettori attivi sono ormai al minimo storico proprio mentre il Terzo Settore raggiunge il suo apice quantitativo. Ci si impegna in forma associata ma pur sempre dentro ad un recinto fatto di individualismo. L’ultimo esempio: oggi la Liguria, con la sua millenaria storia di civismo e attivismo, è addirittura governata con il voto di meno della metà dei liguri.
Forse a quel “dove” ed a quel “come” bisognerà rispondere non tanto con l’idea, quanto con i corpi.
“Dove siamo?” deve smettere di essere una domanda concettuale e diventare una riflessione fisica. Ad esempio : chi abita le aree interne? Chi abita al Sud? Chi è impegnato nei quartieri periferici delle aree metropolitane del Paese? Chi “abita” nelle imprese che abbandonano i loro operai per attività sempre più plateali di dumping? Tutte queste “geografie” delle periferie esistenziali sono oggi profondamente attratte dal populismo forse perché lì non ci siamo abbastanza. Chi ha ambizione a governare nei comuni sotto cinquemila abitanti, dove lo spopolamento, l’emigrazione e l’invecchiamento aggrediscono il futuro, e dove la politica attiva non ha alcuna ricompensa materiale?
Più che ad un partito, ad una corrente, ad una nuova posizione culturale, i cattolici dovrebbero “esserci” dove la periferia grida, e cercare soluzioni insieme a quegli abitanti lì. Provocare nuove forme di democrazia deliberativa e di partecipazione dove tutto è rassegnazione e sfiducia. L’allora giovane sacerdote Angelo Scola, quarant’anni fa, spiegò che «nella chiesa dei laici la democrazia non è un fatto di rappresentanza, ma di carismi». Ma i carismi senza carne sono solo belle intenzioni e la chiesa dei laici senza carismi incarnati non può che rappresentare un cembalo che tintinna, senza nessuna attrattività, nè visione. Non dobbiamo contarci per capire quanti siamo per cogliere una “forza apparente”, dobbiamo contare le periferie e chiederci chi di noi sta organizzando una risposta aperta e partecipata proprio lì, ora.
Il forgotten man di matrice cattolica che oggi vota Trump con la speranza di essere “visto”, dovrebbe in Europa tornare a sentirsi amato da chi promette di fare della politica la più alta forma della carità, non a parole e non solo con grandi riforme centrali, ma con la presenza politica, anche quando la presenza non “conviene”.
È questa forse una delle epifanie attese dei cattolici nella politica contemporanea.
Foto La Presse: Ernesto Maria Ruffini, da molto indicato come il nuovo federatore dei cattolici in politica
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