L’enologo Carlo De Biasi:«Guardare fuori dal Trentino, creare connessioni nazionali e internazionali»
L’enologo trentino Carlo De Biasi è l’unico italiano e l’unico europeo tra i cinque finalisti dei Wine Star Award di Wine Enthusiast, la prestigiosa rivista internazionale che ogni anno premia le personalità di spicco del mondo del vino. Una candidatura che arriva dopo che The Drinks Business aveva assegnato a De Biasi il titolo di Green Personality of the year, confermando il suo ruolo di pioniere nelle iniziative ambientali. De Biasi — 56 anni, 33 vendemmie alle spalle, sposato, due figlie — è uno dei più brillanti cervelli in fuga del Trentino, dove è stato direttore generale della Cantina Toblino per sei anni, per poi dimettersi nel 2022 e andare a guidare il gruppo San Felice nel Chianti Classico, Campogiovanni a Montalcino e Bell’Aja a Bolgheri.
Sono due anni che è in Toscana, alla guida di un gruppo importante. Qual è il bilancio?
«Ho conosciuto San Felice durante i miei 17 anni da direttore agricoltura delle 10 aziende vitivinicole di proprietà della famiglia Zonin in Italia e all’estero. Ho sempre avuto molta stima di questo gruppo e ora, dopo due anni che lavoro qui, è aumentata: è una realtà unica in Italia. La mia missione è di dare continuità e slancio al percorso iniziato nel 1968. La mia attività è partita con l’analisi approfondita di quelli che sono i valori di San Felice e i suoi elementi distintivi e da qui ha preso vita la nuova brand identity e, quindi, tutta l’attività successiva. Il grosso del lavoro è stato rivedere la nostra gamma di vini, capire come potevamo razionalizzarla e segmentarla bene. La mia esperienza a San Felice ha una connotazione molto più internazionale di tutte le altre fatte sinora, mi sto arricchendo soprattutto sul fronte internazionale: ho rapporti quotidiani con 52 Paesi esteri».
Qual è la situazione del mercato internazionale?
«In generale è una situazione che ha finito lo slancio del post covid. Il 2023 ha iniziato a tirare il freno a mano, il 2024 ha portato equilibrio: il contesto economico non è semplice, le previsioni parlano di continuo calo dei consumi di vino in tutto il mondo. In questo scenario, però, non mancano buone opportunità per i vini di qualità.
Il crollo dei consumi di vino rosso non vi spaventa?
«Le nostre denominazioni sono importanti, conosciute e riconosciute, ben posizionate sui mercati, quindi diciamo che per noi il problema è molto marginale. Il calo dei consumi di vino rosso riguarda denominazioni molto meno storiche, conosciute e affermate».
La sostenibilità è sempre stata uno dei suoi cavalli di battaglia.
«Sicuramente. Qui a San Felice quest’anno finiremo la conversione biologica e portiamo avanti un modello nuovo in Italia: dall’estate 2023 siamo entrati a far parte della Regenerative Viticulture Association, di cui fanno parte una cinquantina di aziende in tutto il mondo e gli unici italiani siamo noi. Siamo inoltre membri dell’associazione Lien de la vigne, di cui sono vice presidente, associazione creata nel 1992, con sede a Parigi e interamente dedita alla vitivinicoltura internazionale. La sua principale missione è quella di sviluppare l’innovazione della filiera mettendo in contatto ricerca pubblica e professionisti su progetti comuni».
Perché è così importante fare parte di queste associazioni?
«La condivisione dei temi comuni, delle esperienze e delle conoscenze, è un elemento importante per la crescita delle aziende. Questo non vuol dire che poi non ci facciamo concorrenza sui mercati».
Ha trovato questa voglia di condivisione nella sua esperienza in Trentino?
«Su alcuni temi esiste, ma la cosa davvero importante, a mio avviso, sarebbe quella di guardare fuori dal Trentino, creare connessioni nazionali e internazionali. Per l’associazione Lien de la vigne ho cercato di coinvolgere aziende trentine, ma per ora partecipa solo Ferrari».
Che idea ha del vino trentino?
«L’esperienza in Trentino mi ha arricchito molto. Dal mio punto di vista, c’è una vocazionalità viticola ancora fortemente inespressa, così come il potenziale produttivo. L’inespresso è legato soprattutto al mondo delle cooperative, l’atteggiamento è un po’ quello di accontentarsi, mentre avremmo tutte le carte in regola per poter fare diversamente».
Quali sono le potenzialità?
«Le potenzialità sono sul Trentodoc sicuramente, però ci sono anche vini fermi come Nosiola, Pinot Nero e il Teroldego che sono straordinari. Ci vorrebbe un approccio produttivo diverso. Non vedo perché non farlo, è un peccato».
Tornerebbe in Trentino?
«San Felice rappresenta al cento per cento la visione che ho del vino ed è un’azienda dal respiro incredibilmente internazionale. Qui ho trovato il posto dove posso esprimere a pieno il mio pensiero, per questo mi auguro di poter fare un lungo percorso a San Felice, che mi traguardi fino alla fine della mia carriera professionale».
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