Shoah, Meloni ammette «la complicità fascista». Ma le omissioni restano

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 Proseguono le ammissioni delle responsabilità storiche del fascismo. Ma la simbologia e le omissioni sulle stragi ancora non sono superate

Prosegue la lunga marcia di Giorgia Meloni nel rivisitare la memoria storica della destra, ora che è al governo. Nella giornata della Memoria che è anche l’ottantesimo anniversario dall’apertura dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, la premier ha ricordato che la «premeditata ferocia» dello sterminio del popolo ebraico è stato un piano «condotto dal regime hitleriano, che in Italia trovò anche la complicità di quello fascista, attraverso l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni».

Le parole di Meloni si pongono in diretta continuità con la linea già portata avanti per le celebrazioni della giornata della Liberazione del 25 aprile. Prima in un editoriale su Corriere della Sera nel 2023 e poi in un intervento nel 2024, la premier ha scritto che «i partiti che rappresentano la destra in parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo» e che «il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana». Criticando tuttavia la scelta politica di «usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico».

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La linea – nelle due celebrazioni che più direttamente chiamano in causa il retaggio culturale di Fratelli d’Italia – è dunque quella di prendere le distanze dal fascismo storico che fu direttamente responsabile dell’alleanza con la Germania nazista e promulgò le leggi razziali, considerate il vero errore del regime mussoliniano. Una scelta sottile, che rimane lontana da una dichiarazione di antifascismo ma rinsalda il legame sempre più stretto del governo italiano con quello israeliano di Benjamin Netanyahu.

Del resto, in occasione della commemorazione dell’assassinio di Giacomo Matteotti e dopo un chiarissimo intervento del capo dello Stato, infine Meoni ha riconosciuto in modo esplicito le responsabilità dello «squadrismo fascista». Eppure, fino all’ultimo la destra di governo ha sostanzialmente ignorato la ricorrenza dei cento anni dal primo omicidio del fascismo.

Le omissioni

Uno dei padri della destra italiana come Gianfranco Fini – che definì inequivocabilmente il fascismo come «male assoluto» – ha ricordato in una intervista alla Stampa come la svolta di Fiuggi del 1995 con la trasformazione del Movimento sociale italiano in Alleanza nazionale abbia risposto alla «necessità di fare i conti con la storia da parte di chi non aveva fatto parte dell’assemblea costituente», riconciliando «la destra con i valori e i principi della prima parte della Costituzione».

Anche questo passaggio, per Meloni, è tutt’altro che consolidato. Vengono riconosciute e si prendono le distanze dalle responsabilità storiche del regime e in particolare le leggi razziali, ma non sono ancora rigettati i simboli: il braccio teso del saluto romano, il rito dei “presente” o la fiamma tricolore nel simbolo, che richiama quella che arde sulla tomba di Benito Mussolini. Non solo folklore, ma rappresentazioni identitarie ancora solide e rivendicate dalla base politica e dai dirigenti del partito. Primo tra tutti il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che in una intervista al Corriere dela Sera del luglio 2024 ha ammesso sì di aver avuto da giovane un «atteggiamento forse troppo benevolo verso il Ventennio» che cambiò «quando mi resi conto delle leggi razziali. Da ragazzo non me ne aveva parlato quasi nessuno». Poi però ha spiegato le ragioni del suo non volersi dire antifascista: «Non accetto di rispondere come una scimmietta ammaestrata, oltre che per il ricordo degli anni Settanta». E proprio in questo è il punto ancora irrisolto anche per Meoni.

Il rigetto della parola «antifascismo», mai pronunciata dalla premier, sottintende mancata presa di distanza da ogni aspetto del regime fascista e soprattutto dai fatti che seguirono: la lotta armata degli anni Settanta. Come hanno dimostrato le consuete manifestazioni ad Acca Larentia a Roma, il rigetto della simbologia delle braccia tese è ancora impossibile. Lo stesso vale per il grande rimosso sulle responsabilità del neofascismo per le stragi di piazza della Loggia, piazza Fontana e della stazione di Bologna.

Nel 2023, nel ricordare la bomba del 2 agosto 1989 a Bologna, il presidente del Senato Ignazio La Russa parlò di «matrice neofascista secondo la verità giudiziaria». Identica e anche più esplicita la scelta lessicale di Meloni, che nel 2024 ha parlato di atto di terrorismo, «che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste». Una posizione che viene ancora più sfumata nel ricordare piazza della Loggia nel 2024, in cui la premier ha parlato di necessità di «lottare contro ogni forma di terrorismo», senza alcun riferimento agli autori della strage.

Insomma: le bombe dei terroristi neofascisti sono eventi tragici, ma per il governo sono ancora prive di colori politici. Colori che invece vengono ricordati correttamente, per esempio nel ricordo del rogo di Pimavalle a Roma in cui persero la vita due figli del segretario locale dell’Msi: «La notte del 16 aprile 1973 dei militanti di Potere Operaio incendiarono la casa di Mario Mattei», ha ricordato la premier sui social.

La Meloni di governo, dunque, procede a piccoli passi verso una presa d’atto di tutte le responsabilità del fascismo. Una presa di coscienza che vada oltre i più conclamati fatti storici, però, appare ancora impossibile.

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