Il 16 gennaio 2025 la Camera dei Deputati ha approvato il testo della proposta di legge di riforma costituzionale in tema di separazione delle carriere (p.d.l. n. C. 1917, di iniziativa della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio). Il disegno di legge è ora all’esame del Senato (d.d.l. n. S. 1353).
Si tratta di una riforma controversa, di cui è necessario comprendere la portata e gli impatti. Ma prima ancora occorre esporne gli elementi qualificanti.
Di cosa parliamo in questo articolo:
La proposta di legge
Il testo normativo, ribadendo che la magistratura è indipendente da ogni altro potere, introduce il principio delle «distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti», la cui disciplina viene demandata alle norme sull’ordinamento giudiziario. Il magistrato deve scegliere all’avvio del suo percorso se essere giudicante o requirente. In altre parole, chi inizia come giudice non potrà mai diventare pubblico ministero (PM), e viceversa.
Le competenze dell’attuale e unico Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) vengono ripartite in tre nuovi organi. Innanzitutto, si istituiscono due CSM: quello della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente, presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica. Si prevede un sorteggio da un elenco per i laici, un sorteggio secco per i togati. A ciascun CSM spettano le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati.
Viene inoltre istituita un’Alta Corte disciplinare, cui è attribuita «la giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti», funzioni oggi svolte da un’apposita commissione disciplinare del CSM e dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili (in sede di impugnazione). L’Alta Corte è composta da 15 giudici: tre nominati dal presidente della Repubblica; tre estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento; sei estratti a sorte tra i magistrati giudicanti e tre estratti a sorte tra i magistrati requirenti, in possesso di specifici requisiti. Contro le sentenze dell’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, dinanzi alla stessa Alta Corte, che però giudica in una diversa composizione, cioè senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso alla prima decisione.
Dalla Relazione illustrativa del disegno di legge si evince che la scelta di separare le carriere dei magistrati persegue un duplice obiettivo: da un lato, garantire la parità delle parti nel processo, elemento essenziale del sistema accusatorio, qual è quello previsto nel nostro ordinamento, nonché la terzietà e l’imparzialità del giudice; d’altro lato, migliorare la qualità della giurisdizione. Sulla riforma sono state espresse argomentazioni contrastanti. Per consentire a chi legge di farsi una propria opinione, può essere utile spiegare le posizioni contrapposte sulle figure del giudice e del PM, con qualche cenno anche allo sdoppiamento del CSM.
Il giudice
Nell’attuale sistema – dice chi è favorevole alla riforma delle carriere dei magistrati – la contiguità tra la parte che svolge la funzione dell’accusa (il PM) e quella che svolge la funzione giudicante sarebbe idonea a creare fra di esse uno spirito corporativo, minando l’efficienza e l’equilibrio del sistema, che sarebbe invece garantito da una separazione assoluta.
Il giudice può essere “controllore” degli esiti dell’azione penale promossa dal PM solo se tra i due non sussista «alcun sentimento di “amicizia” ordinamentale». Con una metafora si potrebbe dire che non è possibile per «l’arbitro indossare la maglia e frequentare lo spogliatoio di una delle due squadre in campo», anche perché i cittadini potrebbero essere indotti a pensare che quel giudice non sia veramente terzo ed imparziale rispetto alla causa trattata.
Ma non si tratta solo di “apparire” super partes. Per chi sostiene la riforma, la stretta contiguità tra giudice e PM ha finito nel tempo per permeare il primo della cultura dell’accusa. «La vicinanza ordinamentale del “controllato” e del “controllore” fa sentire i suoi effetti ai danni dei diritti e delle garanzie del cittadino, mandando in sofferenza gli interi equilibri processuali». Perciò si rende necessario che il giudice sia reso «effettivamente terzo, portatore di una nuova cultura del limite, scrutinatore attento e severo dell’azione del pubblico ministero e tutore delle garanzie dell’indagato». Per conseguire questo obiettivo, il magistrato requirente e quello giudicante «non possono appartenere a un unico ordine, non possono essere sottoposti al potere disciplinare di un unico organo, non possono condividere i medesimi meccanismi di selezione elettorale della loro classe dirigente».
La riforma, secondo i suoi sostenitori, sarebbe necessitata anche dall’art. 111 della Costituzione, il quale comporta che il giudice sia non solo imparziale, ma anche terzo. E la terzietà non potrebbe che essere garantita dalla separazione delle carriere, la quale assicurerebbe un giudice forte e autorevole, nonché realmente indipendente dal PM, che sarebbe a propria volta davvero autonomo. Chi è contrario all’intervento costituzionale sostiene, invece, che il richiamo all’art. 111 è frutto di «fraintendimento», trattandosi di una disposizione che «disciplina il processo e non l’assetto organizzativo della magistratura». «A presidio dell’imparzialità del giudice vi sono gli istituti processuali dell’incompatibilità, dell’astensione, della ricusazione e della rimessione del processo, mentre a presidio della terzietà vi è il principio dispositivo che affida l’iniziativa del processo e delle prove alle parti». Peraltro, l’alto numero di sentenze riformate in appello e il 40% di assoluzioni attesterebbero che la terzietà dei giudici è già nei fatti: la circostanza di appartenere alla stessa carriera non li induce ad allinearsi alle richieste dei PM.
Ancora, se pure il giusto processo (imparzialità e terzietà del giudice, parità delle parti) fosse messo a rischio dai passaggi di funzione, la quantità di quelli che si registrano ogni anno è talmente irrilevante da vanificare le preoccupazioni di quanti ritengono necessario impedire una qualsiasi osmosi tra i magistrati requirenti e quelli giudicanti. “Negli ultimi cinque anni – spiega la prima presidente della Cassazione, Margherita Cassano – solo lo 0,83% dei PM ha deciso di diventare giudice, e lo 0,21% dei giudici ha compiuto il percorso inverso”. Quindi, in concreto, la separazione delle funzioni si è già realizzata. Ciò è dipeso anche dal fatto che la riforma Cartabia del 2021 ha permesso un solo cambio in tutta la carriera, e solamente nei primi dieci anni di attività. Insomma, l’inconsistenza numerica dei mutamenti di funzione renderebbe inutile la riforma.
Infine, fanno notare i critici, se la netta divisione tra inquirenti e giudicanti fosse così indispensabile, essa dovrebbe essere sancita anche per la giustizia militare e per quella contabile. Ma nulla si dispone al riguardo.
Il PM
La separazione delle carriere, secondo chi è favorevole alla riforma, si rende necessaria perché il sistema attuale «ha reso protagonisti assoluti della giurisdizione non i giudici, cioè coloro che decidono se sei colpevole o innocente, se vai arrestato, se debbono esserti sequestrati i beni, ma una parte processuale, cioè il Pubblico Ministero». Una figura molto forte, che dispone della polizia giudiziaria, che non risponde dei propri errori di valutazione e che, «in sinergia con il potere dei media» – ove «conta l’accusa, non il processo; l’arresto, non la sentenza» – svolge in via di fatto il ruolo di “giudicante”. «La separazione delle carriere vuole riequilibrare questa anomalia, restituendo al giudice la piena indipendenza dall’inquirente, e la effettiva equidistanza dalle parti».
I critici sostengono che sarebbe, invece, proprio il disegno di legge costituzionale a rafforzare il PM, ponendolo al di fuori del «perimetro della cultura della giurisdizione». Con «la costituzione di un secondo e autonomo potere giudiziario, indipendente da ogni altro potere dello Stato e dallo stesso potere pertinente alla giurisdizione in senso stretto», si determinerebbe «l’obiettivo rafforzamento, oltre ogni ragionevole limite, della sfera di influenza (…) dell’organo di accusa». Quest’ultimo, munito di ampie risorse investigative e di forti garanzie di autonomia e indipendenza, assumerebbe «il ruolo di incontrastato vertice della polizia giudiziaria», rispondendo solo a se stesso del modo in cui esercita il proprio potere.
Ciò è quanto afferma anche il CSM in un parere contrario alla riforma: si creerebbe «un corpo separato di funzionari pubblici numericamente ridotto e altamente specializzato, deputato alla direzione della polizia giudiziaria e all’esercizio dell’azione penale, un corpo essenzialmente autoreferenziale. Il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea, per cui sarà ineluttabile che di esso assuma il controllo il potere esecutivo». Peraltro, nei paesi in cui la carriera del PM sia separata da quella del giudice, quasi sempre il PM stesso dipende dall’esecutivo.
A quest’ultimo riguardo, i fautori dell’intervento costituzionale replicano che lo spauracchio dei rischi per la democrazia rappresentato da un PM sottoposto all’esecutivo è neutralizzato dalla riforma stessa: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente», ribadisce l’art. 104 della Costituzione. Pertanto, la dipendenza dei PM da un qualche potere potrebbe essere realizzata solo mediante una nuova riforma costituzionale. Sarebbero infondati anche gli allarmi e i timori che la figura del PM si rafforzi oltremodo con la nuova legge: «le decisioni saranno comunque assunte da un giudice terzo ed imparziale, non condizionabile, nemmeno psicologicamente, da rapporti di colleganza o di appartenenza a comuni formazioni sindacali». A ciò, tuttavia, si obietta che un potere così forte, quale sarà quello dei PM, necessiterà di un bilanciamento, che il legislatore però non ha previsto. E se è vero che la riforma ribadisce che l’organo requirente non sarà sottoposto all’esecutivo, è anche vero che un contrappeso andrà comunque trovato, e il rischio che esso si vada a rinvenire proprio nell’esecutivo «non è poi così così distante».
Sulla figura del PM è molto netto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio: «nel sistema attuale esso è già un superpoliziotto, con l’aggravante che godendo delle stesse garanzie del giudice egli esercita un potere immenso senza alcuna reale responsabilità». Oggi, prosegue il ministro, «il PM non solo dirige le indagini, ma addirittura le crea, attraverso la cosiddetta clonazione del fascicolo, svincolata da qualsiasi parametro e da qualsiasi controllo, che può sottoporre una persona ad indagini occulte, eterne, che creano disastri finanziari irreparabili». Si pensi «a quante inchieste sono state inventate, nel vero senso della parola, si sono concluse con “il fatto non sussiste” e sono costate milioni di euro».
Ma, secondo i critici della riforma, non sarà la separazione delle carriere a frenare le degenerazioni nel sistema giustizia, che sarebbero causate non dalla posizione del PM, ma dal progressivo «slittamento dal diritto penale della prova al diritto penale del sospetto, dal diritto penale della repressione al diritto penale della prevenzione».
I due CSM e l’Alta Corte disciplinare
La Relazione di accompagnamento al ddl afferma che la previsione di due distinti CSM, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, si inquadra in una scelta di «continuità rispetto all’attuale ordinamento». «I due Consigli sono esattamente sovrapponibili tra loro – per caratteristiche, funzioni e garanzie – e anche all’attuale Consiglio superiore, con una soluzione idonea a garantire appieno l’indipendenza di entrambe le magistrature anche nel nuovo assetto delle carriere separate».
Secondo i critici, in particolare lo stesso CSM, la scelta di creare due organi separati e autonomi potrebbe avere «ricadute negative sull’esercizio in concreto delle rispettive attribuzioni e, di conseguenza, sull’adempimento del compito ad essi affidato (non solo di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ma anche) di contribuire al buon andamento del sistema giustizia».
La riforma, infatti, sembra non considerare l’esigenza di un coordinamento fra i due organi e fra ciascuno di essi e il Ministro della Giustizia; né scongiura il rischio di un conflitto tra i due Consigli, nel quale potrebbe essere indirettamente coinvolto il Presidente della Repubblica, in veste di Presidente di entrambi. Si porrebbe, peraltro, anche il problema di «garantire, in termini strettamente organizzativi, al Capo dello Stato la possibilità di presiedere i lavori di entrambi gli organi». I critici rilevano, inoltre, che «non è mai bene moltiplicare gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale. Si moltiplicano le occasioni per dare incarichi e posizioni di potere (una nuova ondata di “carriere parallele” di magistrati fuori ruolo, due organizzazioni burocratiche, staff distinti, due sedi…), e ciò può avvenire a prezzo di intralci e difficoltà procedurali».
Quanto alla scelta di nominarne i membri attraverso sorteggio, si afferma essa sarebbe garanzia «di uguaglianza dei magistrati, di imparzialità dell’organo, di partecipazione diretta e, non ultimo, di prevenzione delle attuali oligarchie nascoste dietro la formula vuota di “corrente”». Il sorteggio potrebbe depotenziare le correnti della magistratura e il loro condizionamento nello svolgimento delle funzioni dei CSM, pur non rappresentando una garanzia assoluta rispetto alle logiche di appartenenza, che possono sorgere anche successivamente alla composizione dei Consigli. Secondo i critici, invece, il sorteggio sarebbe «espressione della logica qualunquista dell’uno vale uno», oltre a far passare l’idea dell’incapacità dei magistrati di esprimere i propri rappresentanti. Sarebbe svilente affidare alla sorte la rappresentanza in un organo costituzionale.
Con la riforma, la giurisdizione disciplinare passerebbe dal CSM all’Alta Corte disciplinare. I critici osservano che le carriere giudicante e requirente, separate dall’intervento normativo, verrebbero “riunificate” nella stessa Alta Corte, la quale con collegi composti anche da giudici e pubblici ministeri valuterebbe l’applicazione di sanzioni disciplinari nei riguardi di tutti i magistrati ordinari, indistintamente. Ciò appare in contrasto con finalità della riforma. Resterebbero, peraltro, estranei all’Alta Corte i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati appartenenti ai plessi delle giurisdizioni speciali (militare, amministrativa, contabile), e non se ne comprende la ratio.
I sostenitori partono, invece, dalla considerazione della scarsa funzionalità dei vigenti meccanismi sanzionatori dei comportamenti illeciti dei magistrati. Ciò deriverebbe dalla circostanza che i giudizi di responsabilità sono affidati alla stessa magistratura cui appartiene il soggetto incolpato e alle istituzioni del suo autogoverno: la mancanza di terzietà condizionerebbe l’atteggiamento del giudice disciplinare, eccessivamente assolutorio nei riguardi dei colleghi. Quanto al requisito dell’indipendenza, nell’apposita Sezione istituita presso il CSM, dinanzi a cui si svolge il primo grado di giudizio, essa sarebbe minata dalle cosiddette correnti, nonché da membri laici scelti dal Parlamento, qualificabili come soggetti politici. Tutto questo comprometterebbe la credibilità complessiva del sistema giudiziario e la fiducia del cittadino, cui potrebbe giovare un’Alta Corte collocata al di fuori e al di sopra delle magistrature e degli organi di autogoverno.
Per concludere, una domanda: la riforma costituzionale in esame è idonea a risolvere problemi della giustizia quali la lentezza dei processi, l’efficienza dei tribunali o il sovraffollamento delle carceri? L’intervento normativo non ha alcun impatto sulla risposta alla esigenza di “giustizia” che viene dalla gente, risponde chi è contrario alla riforma. Chi invece è favorevole replica che questo non è un buon motivo per non intervenire su distorsioni del sistema. Comunque la si pensi, essenziale è esprimere opinioni informate, alle quali con questo scritto abbiamo provato a contribuire.
Immagine in anteprima: European Union, Attribution, via Wikimedia Commons
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