Nel Giorno della Memoria si è parlato anche di Gaza

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Un’istituzione antifascista come l’Anpi e ONG che hanno subito perdite gravi nelle guerre accusati di antisemitismo nel giorno dedicato alla Memoria. Un’iniziativa non firmata, evidentemente tollerata dalle autorità che devono aver chiuso un occhio – perché sì, adesso sta indagando la Digos su ignoti, ma come si fa a proiettare su una parete della Piramide Cestia e un’altra del Palazzo della FAO a Roma senza lasciare alcuna traccia? – che porta questo testo: “Se Israele avesse bombardato i treni per Auschwitz, vi sareste schierati con Hitler. Ipocrisia e antisemitismo le vostre bandiere. Buon Giorno della Memoria”. La frase grottesca, che segnala peraltro una certa ignoranza storica dato che la nascita di Israele è nel 1948, è stata immortalata in alcuni scatti che hanno cominciato a circolare su Internet. Presi di mira nell’immagine, e sfigurati, i loghi di Amnesty International (che diventa “Amnesy”), Emergency (“Hypocrisy”) e così via, con Medici Senza Frontiere, Croce Rossa Italiana e Anpi.

L’iniziativa ha scatenato l’indignazione delle associazioni offese – Amnesty ha definito l’uso indebito del suo marchio “ignobile” – ed è stata invece giustificata da alcuni leader della comunità ebraica, che interpretano le scritte come una risposta alle distorsioni della memoria e alla propaganda pacifista: segnala, insomma, sedici mesi di catastrofi comunicative e politiche dei gruppi filo-Israele radicali. Nel suo essere cringe, come direbbero i più giovani, avrà l’effetto di istigare ancora di più le discussioni sul termine “genocidio” e sulla strumentalizzazione della lotta all’antisemitismo. Complimenti a chi l’ha pensata.

I crimini contro l’umanità

La Shoah va ricordata nella sua tragica unicità, ma il ricordarla ha più valore se coltiva l’attenzione verso il perpetuarsi di crimini contro l’umanità che colpiscono indiscriminatamente civili e intere popolazioni. È quanto dicono altri studiosi ebrei che non hanno paura a farsi avanti, in una stampa italiana che sembra poter ancora liberarsi dal conformismo. Anna Foa, sul Corriere, spiega che chiudere la Shoah in una cassaforte identitaria del solo ebraismo è un errore. Gaza è genocidio o sono “semplici” crimini di guerra? La disputa non la appassiona più, e spiega che ciò che conta è che Israele agisce ormai come uno Stato illegale e criminale. Non solo, Foa rifiuta categoricamente il paragone tra il 7 ottobre e la Shoah, e accusa la comunità ebraica milanese, che nei giorni scorsi aveva chiesto di vietare le manifestazioni pro-Palestina, di voler “evitare che si parli contro l’attuale Governo israeliano”.

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Ricordare la Shoah ha più senso se aiuta a non distrarsi rispetto a Gaza (e alle altre Gaza passate, presenti e future), dice Gad Lerner. Che scriveva sui social mesi fa, ricordandosi della retorica piena di orrendi luoghi comuni «antisorosiani» di Giorgia Meloni o di Donald Trump: “Noi ebrei dovremmo ricordarci in questi momenti drammatici di diffidare di certi presunti nuovi amici. Oggi si proclamano paladini della lotta all’antisemitismo, mentre tra di loro ne coltivano proprio gli stereotipi più infami”. Oggi Lerner dice che gli anatemi scagliati dai portavoce di alcune Comunità ebraiche contro l’Anpi, il Papa e i costruttori di ponti il 27 gennaio sono un controsenso della storia e – soprattutto – non rappresentano i valori dell’ebraismo italiano, bensì una sorta di radicalizzazione a destra, autolesionista e sbagliata.

Su MicroMega, rivista della sinistra laica e libertaria non certo radicale sul tema Palestina, l’antropologo Bruno Montesano, dell’Università di Torino, scrive che Gaza oggi e l’Europa di 90 anni fa mostrano il lato oscuro della democrazia: movimenti etnonazionalisti che rivendicano lo Stato escludendo gli Altri. Ricordando la Shoah, la memoria deve servirci per fare i conti con le macerie di Gaza ma anche con i detriti mai rimossi in casa nostra, e non solo in Medio Oriente.

I baroni dell’informazione

Mentre la Meloni dei post contro i “complotti di Soros” si piega al rassicurante conformismo, in un mondo parallelo, ma che sembra lontano anni luce, il presidente irlandese fa un discorso equilibrato, umano, per nulla antisemita, che ricorda il dramma di Gaza e i rischi della disumanizzazione del nemico. Il calibrare bene le parole non è servito a risparmiargli il fuoco d’attacco dei gruppi di pressione filo-israeliani online e i fischi di alcuni attivisti, prontamente fatti uscire e per questo vittimizzati dagli influencer di Benjamin Netanyahu: una bolla che ha perso il controllo della narrazione, illiberale, incapace di riformarsi. Come la presidente delle Unione delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, secondo cui quel messaggio contro Anpi e Ong non solo è giustificato, ma parla di:”propagande che descrivono come genocidio o crimini di guerra quello che è assolutamente diverso, totalmente inesistente”.

Se è vero che la sinistra radicale, lasciata sola nella critica a Israele per molti anni, presenta una tendenza nociva a banalizzare la Shoah, a slegarla dall’identità ebraica, usarla per attaccare gli ebrei – lo ricorda su Radio Rai la brava Anna Momigliano – queste dinamiche sono favorite proprio dal paragone tra il 7 ottobre e la Shoah imposto a canali unificati dai baroni dell’informazione. Stabilire un’equivalenza tra Hamas e la superpotenza industriale del Terzo Reich, oppure tra i sogni genocidi di parte dei palestinesi e dei pro-Pal al nazismo novecentesco ha contribuito a banalizzare proprio quel discorso olocaustico che si voleva e doveva proteggere.

Affrontare la memoria

Il paradosso è leggere appelli per reprimere attivisti e pacifisti che chiedono “mai più” con parole talvolta rozze, ma senza alcun potere, mentre Musk è trattato coi guanti di velluto dai Governi occidentali dopo aver spiegato all’ultradestra di AfD, in un comizio, che non si deve sentire in colpa per i nonni nazisti. Sfortunatamente, il cosiddetto “principio di carità interpretativa” immaginato dal filosofo Donald Davidson, che consiste nel presupporre (perlomeno in un primo momento) che quello che dice il nostro interlocutore abbia un senso, è determinato per lo più da due fattori: dal censo e dalla ragion di Stato. La maggior parte di chi scrive, oggi come nei giorni scorsi, è terrorizzata dall’idea di scivolare dai confini del conformismo, alienandosi élite che si aspettano una banalità e cecità rassicurante, mentre i nuovi mecenati possono permettersi di dire quello che vogliono.

Banalizzare l’Olocausto, separarlo dall’ebraismo è sbagliato e preoccupante. Ma la lezione dovrebbe essere chiara: certe tendenze vanno comprese e non rigettate con il solo autoritarismo. Nonostante i tentativi di censura, nel Giorno della Memoria si è parlato e si continuerà a parlare di Gaza. Soprattutto, sono d’aiuto a una democrazia antifascista che voglia affrontare pienamente le memoria né un mercato delle idee asfittico, né l’associazione autolesionista tra ebraismo e l’Israele di oggi.

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