Le retate di Trump hanno raggiunto New York

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La numero uno della Homeland Security, Kristi Noem, con il giubbetto anti-proiettile dell’Immigrazione, istruisce gli agenti prima delle retate a New York City – Ansa

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Chicago, Seattle, Atlanta, Boston, Los Angeles, New Orleans e, ora, New York. Le retate anti-immigrati di Donald Trump hanno fatto irruzione, nella notte tra lunedì e martedì, nella Grande Mela, a lungo la più simbolica delle “città santuario” statunitensi. Durante la precedente Amministrazione, la metropoli ha vissuto il maggior flusso dall’era di Ellis Island anche a causa dei bus spediti per direttissima dal governatore-falco del Texas, Greg Abbott. Il sindaco democratico, Eric Adams, si era mobilitato, al principio, per dare assistenza ai nuovi arrivati. Di fronte al lievitare della spesa e alle relative critiche di una parte dell’opinione pubblica, ha iniziato a fare marcia indietro. Tanto che, dopo l’elezione di Donald Trump, ha garantito la propria collaborazione alle «espulsioni di massa» annunciata dal leader repubblicano. In realtà, all’operazione di ieri, la polizia di New York non ha partecipato, come prevede la politica dei “santuari”. A effettuare gli arresti, poco prima dell’alba, sono stati gli agenti dell’Immigration and customs enforcement (Ice), con il supporto dell’Agenzia anti-droga (Dea) e quella per la prevenzione di alcol e armi da fuoco. Proprio la partecipazione di vari uffici del dipartimento di Giustizia nonché di quello per la Sicurezza interna costituisce una delle novità dell’era Trump. I fermi di “indocumentados” – persone senza documenti – sono drammatica consuetudine dagli anni novanta. Nel 2013, durante il mandato di Barack Obama, la media era di 636 migranti catturati al giorno, tanto da valere al leader dem il soprannome di “Deporter in chief”, “deportatore capo”. Nell’ultimo anno di Biden si è arrivati a poco più di 700. Dall’entrata del tycoon alla Casa Bianca, la cifra è cresciuta ancora, con quasi 1.200 arresti quotidiani da domenica. Dovrebbero arrivare a 1.500 in seguito alla recente imposizione di 75 catture al giorno a ciascuna delle venti sezioni Ice sparse per gli States. Più dei numeri, la svolta consiste nell’esibizione del pugno di ferro, accompagnata da un indurimento dei procedimenti a uso e consumo dei social. Non a caso, la neo-segretaria della Sicurezza interna, Kristi Noem, è volata a New York per prendere parte all’operazione, come ha scritto lei stessa su X, accanto alla sua foto in divisa dell’Ice: «Sono qui!». «Continueremo a rimuovere questa immondizia dalle nostre strade», ha aggiunto sotto l’immagine di un immigrato appena catturato. Noem ha tenuto ha precisare che fra i fermati – di cui non si conosce il numero esatto – c’erano «delinquenti». Come Anderson Zambrano-Pacheco esponente della gang venezuelana Tren de Aragua. Del resto, la Casa Bianca ha detto più volte di dare priorità ai «criminali». Lo ha ripetuto anche ieri la portavoce, Caroline Leavitt. Dei 1.179 catturati lunedì, però, circa la metà non aveva commesso reati – entrare in modo irregolare è un illecito civile –, ovvero 566. Non si sa, poi, per quanti degli altri 613, il delitto consistesse nell’essere tornati negli Usa dopo una prima espulsione. «Arresti collaterali», li ha definiti lo “zar” della frontiera Thomas Homan. Dei dieci ordini esecutivi in ambito migratorio emanati finora da Trump, c’è, in realtà, la possibilità di effettuare blitz nei “luoghi sensibili”– scuole, ospedali, chiese, cantieri –, prima intoccabili. Questo aumenta la possibilità che siano presi migranti senza pendenze giudiziarie. Il presidente ha, inoltre, reso più facili le cosiddette “espulsioni express” – rimpatrio senza necessità di sentenza del giudice – per quanti si trovano in territorio Usa da meno di due anni. E autorizzato l’impiego di aerei militari – non quelli commerciali o la flotta di dieci velivoli dell’Ice come avvenuto finora – per riportarli in patria. A bordo i migranti sono ammanettati e incatenati. Anche prima accadeva, almeno quando si trattava di autori di crimini. Ora, però, è diventato prassi e il tutto è sistematicamente immortalato e ostentato in Rete. «Ci sono 300 persone sedute su un aereo ognuna delle quali è un assassino, un narcotrafficante, un boss. E voi pilotate quell’aereo. Non andrà a finire bene», si è giustificato lo stesso presidente di fronte alle critiche durante un evento in Florida, dopo aver annunciato il congelamento dei contributi a fondo perduto e prestiti per progetti per assistenza, transizione ecologica, non profit: in alcuni Stati i siti di Medicare risultavano così bloccati. Proprio il «trattamento indegno», come l’ha definito, ha spinto il colombiano Gustavo Petro a rifiutare l’arrivo dei rimpatriati domenica, salvo poi fare marcia indietro di fronte all’incremento dei dazi sulle esportazioni del 25 per cento. Ieri, è atterrato il primo volo – inviato stavolta da Bogotà – dal Texas: almeno i 91 a bordo non avevano le manette. L’Amministrazione, però, è determinata ad andare avanti, senza cedimenti. Mentre proseguono le retate-show, il vero obiettivo è lo ius soli, la cittadinanza automatica per chiunque nasca negli States. «È incostituzionale», ha detto ieri Leavitt, annunciando l’intenzione di ricorrere alla Corte Suprema. O, meglio, di far sì che, sentenza dopo sentenza, il caso arrivi al massimo tribunale il quale, nel passato recente, ha già ribaltato misure date ormai per assodate





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