Le aree idonee per impianti a fonti rinnovabili: dove e come?

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L’adozione di un modello di produzione energetica meno inquinante e più sostenibile dal punto di vista ambientale è un nodo cruciale della ‘transizione ecologica’, che richiede una trasformazione soprattutto in ambito sociale ed economico. Infatti, la transizione energetica è al centro della maggior parte delle politiche ‘verdi’ nazionali e internazionali.

Limitandoci a osservare la nostra parte di mondo, notiamo che – almeno a parole – i nostri governanti nazionali e sovranazionali (ad esempio, i rappresentanti delle istituzioni europee) sono convintamente impegnati a far sì che la transizione energetica si realizzi nel più breve tempo possibile.

Il percorso di decarbonizzazione imboccato dall’Unione Europea nel 2019 con l’adozione del Green Deal prevede che, a livello comunitario, il 45% della produzione energetica provenga da fonti rinnovabili entro il 2030.

Nel 2024, dopo essersi riuniti a Venaria Reale (Torino) sotto l’egida della presidenza di turno italiana, i ministri dell’ambiente dei Paesi del G7 hanno affermato la propria volontà di “raggiungere una completa o quasi completa decarbonizzazione del settore energetico entro il 2035”.

Sempre nel 2024, il governo italiano ha reso pubblica l’ultima versione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), nella quale si prevede che entro il 2030 il 69% del fabbisogno energetico nazionale sarà coperto da fonti rinnovabili, con una potenza energetica installata di 131 Gigawatt (GW) (+74 GW circa dal 2021).

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Insomma, aumentare il numero di impianti in grado di produrre energia da fonti rinnovabili (acqua, vento, sole, energia geotermica, moto ondoso) è cruciale per la decarbonizzazione del pianeta. In questo percorso, l’Italia si trova idealmente in una posizione privilegiata, essendo il suo territorio ampiamente dotato di fonti rinnovabili di energia da cui si potrebbe trarre beneficio.

Per il nostro Paese, si può forse rintracciare l’inizio organico di questo percorso di valorizzazione delle fonti di energia pulita nel recepimento della direttiva europea del 2018 nota come RED-II (Renewable Energy Directive II), con un decreto legislativo (d.lgs. 199/2021) pubblicato nel 2021.

Questo decreto prevede l’innalzamento al 60% della copertura del fabbisogno energetico di edifici nuovi o ristrutturati tramite fonti rinnovabili. Inoltre, all’articolo 20, il decreto 199/2021 disciplina l’individuazione di aree “idonee” per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili di tipo eolico e fotovoltaico. Tuttavia, l’elaborazione dei criteri e dei principî per l’individuazione delle aree idonee era stata demandata, nel 2021, a “uno o più decreti” che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, o MASE (al tempo di questo d.lgs. noto come Ministero della Transizione Ecologica) avrebbe dovuto emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto stesso.

Il “decreto aree idonee” del 2024

Ebbene, pur con un discreto ritardo rispetto alla linea temporale ipotizzata nel 2021, il decreto che detta i criteri per l’individuazione delle aree idonee è arrivato: si tratta del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 del MASE, di concerto con il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 2 luglio 2024, che regola la “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.

L’obiettivo principale di questo atteso decreto era fare chiarezza sui criteri per individuare i luoghi in cui sarà previsto “un iter accelerato e agevolato” per costruire quegli impianti eolici e fotovoltaici che sono così cruciali per l’avvicinamento dell’Italia agli obiettivi nazionali (delineati nel PNIEC) e comunitari (indicati dal Green Deal) di decarbonizzazione. Il decreto offre una classificazione delle aree idonee e non idonee alla costruzione di impianti a fonti rinnovabili e una lista di “principi e criteri omogenei” validi su scala nazionale e utili per la classificazione delle diverse aree. Nell’alveo tracciato dal Ministero, le amministrazioni regionali e locali sono poi chiamate a valutare in concreto – attraverso decreti regionali e, nello specifico, caso per caso – la fattibilità dei progetti presentati. L’idoneità o meno di un’area come definita dal decreto ministeriale non è, dunque, altro che una valutazione presuntiva: in altri termini, se un’area viene dichiarata idonea è più probabile, ma non certo, che l’amministrazione regionale locale dia parere positivo alla costruzione di impianti a fonti rinnovabili. Per ogni singolo caso, infatti, vale la legislazione regionale e va vagliato il bilanciamento dei diversi interessi anche alla luce delle specificità geografiche, sociali ed economiche locali.

Il decreto descrive quattro categorie classificatorie per le aree potenzialmente candidabili ad ospitare impianti a fonti rinnovabili:

  • Aree idonee: “aree in cui è previsto un iter accelerato e agevolato per la costruzione ed esercizio degli impianti a fonti rinnovabili e delle infrastrutture connesse”;
  • Aree non idonee: “aree le cui caratteristiche sono incompatibili” con l’installazione di questi impianti;
  • Aree ordinarie: aree che non ricadono nelle prime due categorie, e per le quali si applicano regimi di autorizzazione dettati dal decreto legislativo 28/2011, che stabiliva precisi incentivi e regolamentazioni per la costruzione di questi impianti;
  • Aree agricole in cui vige il divieto di “installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”, con l’obiettivo di evitare il consumo di suolo in quanto bene scarso e non rinnovabile.

I criteri delineati nel provvedimento sono piuttosto ampi, e non si discostano in modo sostanziale da quelli già individuati nel decreto del 2021. Sono i seguenti:

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  • massimizzazione delle aree da individuare per agevolare il raggiungimento degli obiettivi di capacità rinnovabile alla luce della suddivisione tra regioni della percentuale di capacità produttiva da installare;
  • rispetto delle “esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”;
  • rispetto delle aree idonee già individuate mediante precedenti decreti (specialmente il decreto 199/2021);
  • possibilità di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto.

Tutte le aree comprese all’interno del perimetro di beni sottoposti a tutela (dicitura che comprende sia beni culturali che beni paesaggistici) sono automaticamente considerate non idonee, così come tutte le aree che ricadono in “una fascia di rispetto” di vicinanza a questi beni, la cui estensione, fino un massimo di 7 km, è decisa dalle singole regioni.

Il decreto prevede che, laddove non esistano già provvedimenti regionali in tal senso (come nel caso del Veneto, che è già intervenuto sul tema con la L.R. Veneto 17/2022), le regioni identifichino le aree idonee e non idonee all’interno dei propri territori di competenza entro 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento – termine la cui scadenza era stata fissata al 30 dicembre 2024. Il rapporto “Regioni e Aree idonee” di Legambiente, pubblicato a novembre 2024, puntualizza che dall’emanazione del decreto ministeriale di luglio 2024, cinque regioni (Sardegna, Calabria, Lombardia, Puglia, Piemonte) hanno legiferato sul tema delle aree idonee. In caso di inadempienza da parte delle amministrazioni regionali, il decreto prevede interventi “di natura sostitutiva” in capo al Ministero dell’Ambiente.

Il burden sharing

Un altro elemento centrale del provvedimento di luglio 2024 consiste nella definizione del cosiddetto burden sharing (letteralmente, condivisione degli oneri), ovvero la divisione tra ogni regione della capacità di produzione energetica rinnovabile (misurata in GW) da garantire attraverso la costruzione di impianti a fonti rinnovabili. Come risulta evidente nella tabella allegata al decreto, la distribuzione tra le diverse regioni non è uguale in termini numerici (anche se si suppone che, in base alle specificità territoriali, sia equa).

L’obiettivo nazionale è l’installazione di 80 GW entro il 2030. Per raggiungerlo, a ogni regione è stata assegnata una capacità minima: il meccanismo di burden sharing è stato introdotto proprio per calcolare l’equa distribuzione degli obiettivi parziali tra le diverse regioni, tenendo conto di fattori come la potenza degli impianti già esistenti nei territori, il tipo di fonte rinnovabile utilizzata e le caratteristiche dei territori stessi.

Il Testo Unico delle Rinnovabili

A corredo del decreto aree idonee, il 12 dicembre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 190/2024, che disciplina “i regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili”, cioè raccoglie in un unico corpus normativo le regole e disposizioni che si applicano alla costruzione e all’esercizio di impianti a fonti rinnovabili. Questo decreto “assicura, anche nell’interesse delle future generazioni, la massima diffusione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili mediante la razionalizzazione, il riordino e la semplificazione delle procedure in materia di energie rinnovabili e il loro adeguamento alla disciplina dell’Unione europea, nel rispetto della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, dei beni culturali e del paesaggio”.

Il decreto, in vigore dal 30 dicembre 2024, individua tre regimi amministrativi entro i quali è possibile inquadrare gli interventi di costruzione ed esercizio di impianti a fonti rinnovabili:

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  • attività libera: permette la realizzazione di alcuni interventi (principalmente impianti a potenza ridotta, destinati all’autoconsumo, o rifacimento di impianti già esistente a patto che non si modifichi l’area occupata);
  • procedura abilitativa semplificata (PAS): consiste nella presentazione al comune di competenza di un progetto, redatto seguendo un modello unico e corredato da specifiche documentazioni;
  • autorizzazione unica (AU): si presenta un’istanza alla regione territorialmente competente e al Ministero dell’Ambiente, corredata dai documenti e i progetti “previsti dalle normative di settore”; le amministrazioni competenti valutano e, a seguito di una eventuale valutazione di impatto ambientale, si procede a fornire o meno l’autorizzazione.

Possibili criticità

Uno degli aspetti del decreto aree idonee che ha generato maggiori perplessità – peraltro, di segno contrapposto – è la ripartizione tra le regioni delle quote di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Come sottolinea il rapporto “Regioni e aree idonee pubblicato da Legambiente a novembre 2024, da una parte vi è il rischio che i criteri individuati dalle singole regioni a completamento di quelli nazionali limitino fortemente lo sviluppo del settore dell’energia rinnovabile su scala locale. È quanto sta accadendo, ad esempio, in Sardegna, dove l’amministrazione regionale ha varato un provvedimento molto conservativo, il cui obiettivo dichiarato è “difendere il territorio sardo” non solo vietando l’installazione di nuovi impianti, ma anche bloccando i cantieri già esistenti. Nel rapporto di Legambiente si legge che “nella Legge sarda, che […] nei fatti rende non idoneo quasi il 100% del territorio regionale, spicca un generalizzato contrasto alle rinnovabili”.

D’altro canto, anche gli obiettivi nazionali di aumento di capacità energetica prospettato dal PNIEC e dal decreto del MASE si rivelano gravemente insufficienti “se confrontati con la potenza da installare che dovremo raggiungere al 2035 e al 2050”.

Un’altra potenziale criticità del decreto, sottolineata da più parti, riguarda i criteri per la classificazione delle aree come idonee o non idonee. È chiaro che, a fronte delle necessità energetiche di un Paese come il nostro, la transizione verso l’energia pulita causerà un certo grado di modificazione di molti paesaggi. Ma è importante, sottolinea Legambiente nel suo rapporto, che gli impianti a fonti rinnovabili non vengano “nascosti” o relegati nelle aree marginali, ma che siano piuttosto “ben integrati nei diversi territori o ambiti urbani, ricordando che questi non saranno né perfetti né trasparenti”.

Anteporre alle necessità di una inevitabile e urgente transizione un concetto statico di paesaggio è controproducente: come si legge nel rapporto di Legambiente, il paesaggio “non può essere considerato come forma immutabile, da conservare identica a sé stessa. L’identificazione delle aree idonee, pertanto non può limitarsi alle sole aree prive di vincoli, ma deve estendersi anche a quelle dove è possibile e più facile trarre beneficio, locale, regionale e nazionale, dalla presenza degli impianti”.

È necessario, insomma, trovare un bilanciamento tra le diverse esigenze – sociali, economiche, ambientali, culturali – mantenendoci in linea con le raccomandazioni UE 2022/822 del 18 maggio 2022 e n. 1343 del 13 maggio 2024, in forza delle quali, come puntualizzano gli esperti dello studio legale LCA, gli “Stati Membri dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui l’energia rinnovabile non può essere sviluppata”.

 

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Si ringrazia per la consulenza giuridica l’avv. Paolo Pinto, PhD.

 

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